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LA TRISTE STORIA DEL 25ENNE MARCO BROCCA CHE, A CAUSA DI UNA DERMATITE, VIVE SEPOLTO IN CASA DA 7 ANNI: “I COMPAGNI DI CLASSE MI CHIAMAVANO LEBBROSO. SO DI ESSERE UN HIKIKOMORI. STO AL PC DALLE 10 ALLE 23: ALLENO PATITI DI VIDEOGIOCHI. A VOLTE RIMEDIO 400 EURO MENSILI, A VOLTE NIENTE. MI TURBA ESSERE MINIMIZZATO A FORMICA: ORMAI VALI SOLO PER IL TUO LAVORO, PER QUANTO RIESCI A VENDERE DI TE STESSO - L'ULTIMA VOLTA CHE SONO STATO FELICE E' STATO QUANDO AVEVO 4 ANNI..."

Stefano Lorenzetto per il “Corriere della Sera”

 

MARCO BROCCA

Nel suo bunker tiene appeso lo stemma della Polizia stradale. Un paradosso, perché Marco Brocca, 25 anni, dal 2013 a oggi ha visto solo le strade che separano Treviso da Padova (due volte), Vicenza, Milano, Vigevano, Lucca, 2.238 chilometri fra andata e ritorno. A spanne, in totale fanno 875 metri al giorno. Per il resto, non più di una cinquantina di uscite nel circondario. «Mi recai anche a Pesaro con Blablacar. Avrei desiderato riallacciare i rapporti con mio padre, che non vedevo da anni, ma la trasferta finì male».

 

Brocca soffre di un disagio adattivo sociale tipico dei ragazzi giapponesi. È un hikikomori. Significa «stare in disparte». Lui lo fa nella taverna di casa, una stanza disadorna, due finestre poste a livello del suolo, un divano, un appendiabiti e la scrivania con sopra il monitor del computer, davanti al quale passa 12 ore al giorno.

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È il suo unico contatto con il resto del mondo. Mette fuori la testa solo per prepararsi da mangiare, quando la madre Patrizia, infermiera al Servizio di emergenza 118, e la sorella diciottenne sono assenti. «I primi tre anni furono di clausura completa. Adesso incontro qualche amico, una volta al mese. Esco unicamente per le visite mediche».

 

Che cosa le è successo?

«Soffro da sempre di una dermatite cronica. Per il 40 per cento è stata all'origine della separazione dei miei. Mio padre è un no vax, voleva curarmi con l'omeopatia. Sosteneva che ero stato rovinato all'età di 3 mesi dalle vaccinazioni obbligatorie. Ma è falso: nel suo ramo familiare esiste traccia di questo eczema».

 

Le manca il papà?

 «Mi manca una figura paterna».

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Ricorda quando iniziò questa storia?

«In seconda superiore. Frequentavo l'Itis Max Planck di Villorba. Intorno a Pasqua fui ricoverato per una decina di giorni in Dermatologia. Mentre attendevamo il certificato di dimissioni, mia madre mi disse: "Domani torni a scuola". Decisi che non lo avrei fatto. Una scelta inconscia. Mi sentivo dentro una fossa».

 

E che fece?

«Mi barricai in camera, con il letto davanti alla porta per impedire a chiunque di entrare. Dopo due giorni, la mamma smise di urlare. Però staccò Internet e mi requisì il pc. Leggevo Topolino , Harry Potter e Le Cronache di Narnia ».

 

A scuola era vittima dei bulli?

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«Già dalla prima media. La mia è una diversità che si nota subito e non potevo farci nulla. Non riuscivo ad accettarmi. I rush cutanei su braccia, gambe e collo mi provocano un prurito irresistibile. Grattandomi, la dermatite diventa ancora più evidente, sfocia nel sanguinamento. I compagni mi guardavano schifati».

 

La offendevano?

«Mi chiamavano lebbroso, ma sottovoce: da 1,70 di statura ero passato a 1,95 e mi temevano. Oppure zombie, perché il bruciore mi teneva sveglio la notte e mi presentavo in aula con le occhiaie».

 

Non poteva chiedere aiuto ai docenti?

«Lo feci, ma fu inutile. Vigeva il cameratismo, dovevi dimostrare di essere maschio con pugni e schiaffi. Un mio compagno riferì a un professore d'aver ricevuto un cazzotto nello stomaco e la risposta fu: "Ma sì, dài, scherzavano"».

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Sua madre non si rivolse al preside?

«La implorai di non farlo. Per il prurito incessante non riuscivo mai a finire i compiti. Mamma e insegnanti si convinsero che fossi pigro, così decisi di dar loro ragione e cominciai ad andare male intenzionalmente in tutte le materie».

 

Sino a quando?

«Sino alla fine della terza media. Nel passaggio alle superiori cominciai ad avere molta, molta, molta, molta, molta ansia. Un picco di stress, quindi di dermatite. Sembravo un pomodoro».

 

Non c'è cura?

«No, a parte l'Atarax, un ansiolitico».

 

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Più ritornato sui banchi?

«M' iscrissi ai corsi serali dell'Itis Mazzotti a Treviso. Uscivo alle 17 e rincasavo alle 23. In terza, a dicembre, smisi».

 

Ha studiato per conto suo?

«Solo le lingue. L'inglese alla perfezione. Lo spagnolo lo capisco benissimo. Il russo lo so a metà. Il francese e il tedesco poco, non mi piacciono».

 

Da piccolo che cosa voleva diventare?

«Un paleontologo».

 

A che età ha avuto il suo primo pc?

«A 13 anni. Allora mi sentivo estroverso e normalissimo».

 

E il primo telefonino?

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«A 10. Un Nokia. Me lo regalò mia zia Cristina per la prima comunione. Ma io non lo volevo. Non l'ho mai adoperato».

 

Quando ha scoperto i social?

«A 20 anni. Ho account su Instagram e Twitter. Facebook lo uso di rado».

 

Com' è la sua giornata tipo?

«Sto al pc dalle 10 alle 23. Mi fermo solo per cucinarmi qualcosa, a volte alle 17 anziché alle 13. Mi corico all'1 o 2 di notte, senza spegnere il computer. Se non riesco a dormire, torno a usarlo».

 

Naviga in Internet?

«Lavoro. Alleno patiti dell'e-sport di tutto il mondo, che vogliono diventare campioni di Overwatch o di Valorant».

 

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Sanscrito, per me.

«Videogiochi. Il secondo è uno sparatutto, creato dall'americana Riot. Organizza tornei in cui mette in palio anche 50.000 dollari. Faccio consulenze a 10 euro l'ora per chi vuole perfezionarsi nel combattimento. A volte rimedio al massimo 400 euro mensili, a volte niente».

 

La sofferenza dei suoi non le pesa?

«Sì, certamente, quella di mia madre in particolare. Mio padre è stato più che altro un despota. Con mia sorella il rapporto non è buono. Ho una mia idea della giustizia: il male che provochi, prima o poi con il karma ti torna indietro».

 

Nessuno le ha dato una mano?

«Marco Crepaldi, fondatore e presidente di Hikikomori Italia. Non sapevo che esistesse un'associazione così, credevo d'essere l'unico afflitto da questa sindrome. È stato un amico ad aprirmi gli occhi: "Secondo me, tu sei un hikikomori". Tornato a casa, mi sono messo a cercare sul web. Ho provato sollievo, non mi sono più sentito solo.

 

Ho scoperto che almeno 100.000 italiani soffrono il mio stesso disturbo. Però ci ho messo cinque mesi prima di decidermi a scrivere a Crepaldi. È merito suo se sono uscito di casa per incontrarlo a Milano. Mi ha segnalato alla psicologa Giovanna Borsetto per una terapia, iniziata via Skype e proseguita di persona a Mestre».

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Perché pensa che il fenomeno sia nato proprio in Giappone?

 «I giovani di quel Paese sono sottoposti a una pressione sociale gigantesca. Si isolano per sottrarsi all'obbligo di uccidersi con il lavoro pur di arrivare primi».

 

Non crede che l'intera umanità sia diventata un insieme di solitudini che possono comunicare solo con dispositivi e app detenuti da pochi monopolisti?

«Sì. I social li paghi vendendo i tuoi dati. Con Tik Tok, al governo cinese».

 

Va mai in vacanza?

«L'ultima volta ci sono stato a 11 anni con mia madre e mia sorella, a Jesolo».

 

Stare chiuso in casa ha modificato la sua personalità?

«A cambiarmela sono state le offese patite a scuola. L'isolamento mi ha peggiorato. L'abbraccio di un amico mi procura imbarazzo, anche se non m' infastidisce. Mi mancano i rapporti umani reali. Attraverso i videogiochi online ho conosciuto una svedese e una norvegese. Una di loro voleva incontrarmi. A che serviva? Veniva qui una settimana, e poi? Ho tirato giù la saracinesca».

 

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E il suo fisico ne ha risentito?

«A causa dei miei malesseri il peso è cresciuto in pochi anni da 50 a 100 chili. La segregazione e la sedentarietà mi hanno fatto arrivare a 128. Prima andavo in palestra, ma il sudore m' irritava la pelle e subentrava il grattamento. Mangio un tot di mandorle prima di coricarmi, non va bene».

 

Vivendo in simbiosi con il computer, avrebbe potuto diventare un hacker?

«Sì, se mi fosse piaciuto programmare. Ma l'informatica non m' interessa».

 

Ha mai visitato il dark web?

«Solo una volta. Ci vendono armi, droghe, merci di contrabbando e altre schifezze. Tutta roba che detesto».

 

Se non esce mai di casa, a che le serve quell'acconciatura da samurai?

«È da personaggio della serie tv Vikings , non da samurai. Però ha ragione: non mi serve. Ma se arriva un giornalista?».

 

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Che cosa la turba del mondo di fuori?

«L'essere minimizzato a formica. Vali solo per il tuo lavoro, per quanto riesci a vendere di te stesso, mentre io a scuola avrei tanto voluto avere tempo per imparare a scattare foto e girare video».

 

Che consigli darebbe ai giovani perché non precipitino in questo gorgo?

«È difficile. All'inizio non sei conscio di caderci dentro. Poi diventi un vegetale che cammina e ti autodifendi chiudendoti a riccio. Il malessere non si cronicizza solo se la famiglia ti accetta e ti aiuta».

 

Si commuove mai?

«L'ultima volta che ho pianto è stata prima del ricovero in ospedale. Barricato in camera, mi sentivo abbandonato».

 

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In che cosa consiste l'infelicità?

«Nel non potersi realizzare. Non penso di essere adatto a farmi una famiglia».

 

È mai stato felice ultimamente?

«Felice felice felice? Mi prende alla sprovvista con questa domanda». (Ci pensa a lungo) . «Avevo 4 anni. Mia nonna Agnese mi portò in una fattoria e mi fece accarezzare le paperelle e gli asini».

 

Qual è il suo stato d'animo in questo preciso istante?

«Sono contento d'aver parlato con lei. Ma una proiezione nel futuro non ce l'ho. Neppure la speranza mi è rimasta».

 

E se un giorno le dicessero che papa Francesco la vuole incontrare?

«Io sono qui, sebbene sia ateo. Gli chiederei: perché Dio, se è buono, ha creato gli insetti che in Africa mangiano gli occhi ai bambini?».