DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Fulvio Abbate per Dagospia
Sia detto con chiarezza, nel giorno del funerale del ragazzo Willy, che tutte le suburre del mondo hanno rotto il cazzo. Insieme ai calchi dei Renatini, degli Abbatini, dei Giuseppucci, dei Lalli gli Zoppi, all’intero orribile catasto romanzesco criminale. Ottusi trucidi elevati al rango di eroici cavalleggeri o giubbe rosse in Bmw o Lancia HF, epica da borgata finita rancida, tra Testaccio, Trullo, Magliana e Maglianella, gli stereo 8 del Califfo e di Gabriella Ferri a fare da palizzata sonora.
Pasolinismo mediocre d’accatto, merci editoriali, cine-televisive deteriori di ritorno; facce da fototessera gualcita all’autovelox, che nulla hanno di letterario, buone, al massimo, nonostante i rivetti in corrispondenza della fronte, per il casellario giudiziale con rispettive ordinarie pose segnaletiche, miseria somatica da ceffi, piccineria morale su fondali di interiora da mattatoio destinate a marcire nei cassonetti dell’umido mai smaltito nell’Urbe.
Perfino in questo momento, mentre il povero Willy è nella sua bara, il “collega” scrittore va immaginato pronto a ragionare sulla prosecuzione di quel repertorio di studiata banalità. Facce, gesti, sguardi, rutti tra una coda e una pajata, tra le sopracciglia e i tatuaggi dei fratelli Bianchi, ai loro occhi veri gagliardi fratelli d’Italia, immaginando che tutte le Artena e i Colleferro del mondo possano presto elevarsi a ulteriori fondali di un’epica come già nelle mille vomitevoli, appunto, suburre.
Banalità, pupille assenti alla percezione e alla grazia del mondo, orbite vuote, la negazione, non dico della complessità, ma del semplice naturale esercizio del pensiero, clic mortuari da obitorio davanti all’intero paesaggio cittadino degradato.
Decerebrati razzisti che si rivolgono ai ragazzi neri, agli immigrati, chiamandoli “scimmie”, nella miseria linguistica che, per li rami, giunge da genitori, cominciando dalle mamme assenti a ogni alito di denuncia. Madri d’Italia, che mai hanno pensato, nel tempo, vedendo i figli nottetempo rincasare, la refurtiva nascosta nel pacco dei calzoni, di chiedere conto delle moto, dell’oro da ricettazione ai polsi e al collo, da dove insomma giungessero quei beni, da quali guadagni, da quale misero romanzetto criminale con i Casamonica e i Diabolik et similia presenti in filigrana.
Non dovremo pazientare molto, per vedere i fratelli Gabriele e Marco Bianchi di Artena e i loro comprimari, innalzati, come già un Liboni, sul trono di lamiera degli sfasciacarrozze o degli smorzi, lì protagonisti di un'Iliade coatta, vitalisticamente, di più, sostanzialmente fascista, modellata al tornio del razzismo tra sopracciglia e muscoli da palestra anabolizzante, li ritroveremo protagonisti di cento romanzi, nuova suburra, anzi, susborra.
Nella piccina convinzione ideologica che il Male sia per definizione eroicamente, eroticamente più fico d'ogni suo opposto; li immagino già alle prese con gli appunti. Di sfondo, Salvini e Meloni, loro che sempre hanno speso soprattutto parole di dileggio razzista, corpi politici oscenamente estranei nella tragedia che ha visto la morte del ragazzo Willy. La “fraterna” destra italiana.
Perfetta per ogni submondo narrativo la foto, davvero imperiale, da imminente visita all'officina del carburatorista, che vede i fratelli sulle moto, la tuta acetata, i loghi bene in vista, in luogo della stola papale; mondo pop assiro-casalese.
Volti ideali anche per le battute acefale in romanese, repertorio da sciorinare in attesa delle tris davanti ai Punti Snai, come nelle “migliori più belle frasi di Osho”, ridere, ridere forte, la mano sul pacco, come farebbe la gente “gajarda”. Susborra, appunto.
Povero Willy Duarte, assente alla pietà di un mondo che mai ha smesso di coltivare, meglio, di indossare, come accade ai rapinatori dai collant in volto, il bene rifugio interiore del fascismo, del razzismo e della violenza, del dileggio altrui, tra baretto, bujaccaro e pippata serale; vomito di ritorno.
Forse, la corsa alla comprensione antropologica per gli assassini del ragazzo è già iniziata. Non sono forse anche i Bianchi dei veri fratelli d'Italia? Mai mettere in discussione l’idea stessa di Famiglia, bene rifugio, il legame del sangue, la reciprocità dei sentimenti, di più, l’interscambiabilità della banconota da cinquanta arrotolata davanti a una pista di “cocco”? Su tutto, la già mirabile tuta acetata, outfit d’ogni aspirante possibile residente di via Bartolo Longo, Rebibbia.
Nella galleria dell'eterno fascismo italiano, così come l’ha indicata mirabilmente Umberto Eco, nonostante le riserve studiate di alcuni, sono appena giunti due e forse più nuovi ritratti, resta da piazzarli bene in alto, nell’ideale galleria nazionale del trucido criminale pronto a farsi pagina scritta, letteratura, film, serie televisiva, tatuaggio da braccio, petto o da pisello, la stessa evidenza stilistica dei mattinali di questura.
Lo so, adesso vogliono convincerci che i fratelli Bianchi non sono fascisti, perché il fascismo “qui non c’entra, perché mica facevano politica loro” (sic), così parlò esattamente il fascio, colui che si aspettava ogni bene dai Salvini e dalla Meloni, perché "prima gli italiani", magari come i Bianchi, il fascio pronto a difendere le gioie e gli avanzi di cibo rancido di famiglia, la memoria del nonno già custode in orbace, forte dell’idea che i vicini di casa ebrei dovessero essere consegnati all’Ovra fascista per beccare taglia e magari subentrare nell’appartamento requisito.
i funerali di willy monteiro 8
Il fascismo endemico, endogeno, certo, ma questi nuovi probabili nuovi eroi popolari e pop oltre a essere figli, fratelli, cugini e cognati dell’Italia fascista, sono anche il precipitato subculturale dei Fabrizio Corona e dei Gianluca Vacchi, con corredo di slip griffati, barbe cardate, loghi di t-shirt che alludono a dieci cento mille “pecorine” da consumare in piedi nei bagni dei locali in fondo alle mille Tiburtine possibili, dell’interpretazione più bestiale di un presunto situazionismo glamour, l’equivoco idiota che il cattivo giusto, la coatteria, l’arroganza tracotante, la guida senza patente, le magliette di 'sto cazzo con su scritto “Narcos”, il blaterare di sesso senza essere mai pervenuti all’idea che “scopare”, perfino “chiavare”, dovrebbe essere un atto di reciprocità e non di dominio, il rifiuto d’ogni principio estraneo al più mediocre dei narcisismi rionali fin nei tatuaggi e i muscoli, tutto questo avesse valore di presunta rivolta.
Sia finalmente detto che le suburre, i romanzi criminali, i Libani, i Freddi, i Renatini, i Lalli gli Zoppi, con tutti i loro fasci plaudenti di contorno, hanno definitivamente rotto il cazzo.
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