DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
Giuseppe Scaraffia per Sette, Corriere della Sera
Nessuno poteva essere più diverso dei due commensali che si fronteggiavano la sera di cent’anni fa, il 29 dicembre 1916, a Pietroburgo, nel fastoso palazzo dei principi Yussupov. Mentre alle loro spalle si stava addensando la tempesta della rivoluzione, il monaco e il dandy non sapevano di incarnare l’antico conflitto tra la monarchia assoluta e l’aristocrazia. L’esercito, guidato dallo zar, stava subendo una serie di sconfitte sul fronte, mentre la debole zarina, dominata da Rasputin, l’unico in grado di curare l’emofilia dell’erede al trono, non sembrava in grado di fronteggiare la crisi interna.
Discendenti dagli antichi Khan mongoli, gli Yussupov erano più ricchi degli zar. Viziato e narcisista, Félix da adolescente aveva preso gusto a travestirsi da donna. Quando però si era esibito come cantante in un noto caffè concerto, degli amici di famiglia l’avevano riconosciuto e l’avevano riferito ai genitori. Per un certo tempo il principe, spaventato dai rimproveri, si era frenato, poi aveva ricominciato quel gioco pericoloso.
Il fratello e la sua amante, suoi complici, cercavano di proteggerlo quando andava nei bassifondi coperto dei diamanti della madre. Poi una svolta: si era sposato con l’esile, bellissima granduchessa Irina, nipote dello zar, molto ammirata, si diceva, da Rasputin, noto per le sue abitudini orgiastiche.
Nei suoi ricordi, l’unica testimonianza diretta su quella notte, Yussupov sembra invece insinuare che il monaco, in un periodo in cui la polizia segreta lo proteggeva passo passo dai tanti nemici, avesse accettato d’incontrarlo per il suo fascino.
Per riceverlo senza dare nell’occhio nel palazzo costruito da Ivan il Terribile, il principe aveva fatto allestire nei sotterranei una sala da pranzo improvvisata. Tappeti persiani, sedie antiche e vasi cinesi erano stati disposti in modo da dare l’idea di una casa abitata. Il samovar fumava sulla tavola scolpita e un medico, che faceva parte della congiura per eliminare Rasputin, aveva messo del cianuro nei dolci e nei bicchieri.
Poi Yussupov, con il colbacco calato sugli occhi per non farsi riconoscere, era andato a prendere la futura vittima. Rasputin si era vestito con cura, aveva una blusa di seta azzurra e si era pettinato la lunga barba. Fin da quando l’aveva conosciuto, sette anni prima, il principe aveva provato per lui una ripugnanza difficile da dominare. Detestava il suo tono dolciastro da predicatore e la sua protervia.
Quella sera, mentre l’aspettava, per un momento aveva rischiato di crollare. Aveva provato un’immensa pietà per quell’uomo che stava andando incontro alla fine. “A cosa gli serviva il dono di predire il futuro se non vedeva la terribile trappola che gli tendevamo?”. Poi, ripensando alla “vita infame” di Rasputin e alla sua influenza nefasta sui Romanov si era ripreso.
Quando erano arrivati, il monaco si era insospettito per la musica che veniva dal piano di sopra dove erano nascosti i congiurati. Poi si era tranquillizzato. Gli piaciuto molto un prezioso armadio d’ebano incrostato d’avorio e si era divertito come un bambino a aprire e chiudere i cassettini.
portrait of count felix sumarokov elston (later prince yusupov)
Avevano parlato delle voci di una macchinazione contro di lui. “Gli aristocratici non riescono ad abituarsi all’idea che un semplice contadino si aggiri nelle sale del palazzo imperiale… sono rosi dall’invidia e dalla rabbia… Ma io non li temo. Non possono farmi nulla. Sono protetto contro la sfortuna. Hanno tentato varie volte di uccidermi, ma il Signore ha sempre sventato i loro complotti. La sventura si abbatterà su chiunque alzerà la mano su di me.”
Non era stato facile fargli prendere i dolciumi, ma quando aveva ceduto il veleno non gli aveva fatto il minimo effetto. Nemmeno il cianuro contenuto nel suo vino preferito, il Madera, sembrava agire. Lo sorseggiava lentamente con un’aria da conoscitore, squadrando il padrone di casa con un’aria maliziosa.
A un tratto la conversazione si era interrotta e il viso di Rasputin aveva assunto un’espressione feroce. Era nota la forza ipnotica del suo sguardo e Yussupov si era sentito invadere da un torpore invincibile. Quando si era ripreso l’invitato gli aveva chiesto di cantare per lui. A fatica Yussupov aveva cominciato con una canzone triste. Ma Rasputin non ne aveva mai abbastanza. “Canta ancora un po’. Mi piace molto questa musica, tu ci metti l’anima”.
Erano le due del mattino del 30 dicembre e Rasputin sembrava solo un po’ intorpidito. Anzi, sentendo dei rumori dal piano di sopra si era insospettito. Yussupov era salito con una scusa e si era fatto dare un revolver dagli amici.
Al suo ritorno, il monaco non l’aveva nemmeno guardato. “Non si sente bene?”. “Sì, mi sento la testa pesante e ho un bruciore allo stomaco. Versami ancora un bicchierino, mi farà bene”.
In effetti si era rianimato e voleva portare il principe a fare festa dagli zingari. “I pensieri sono tutti per Dio, ma il corpo è per gli uomini!”, aveva scherzato facendogli l’occhiolino. Quando Yussupov l’aveva esortato a guardare il magnifico crocifisso di cristallo e a dire una preghiera, l’altro l’aveva fissato stupito con un’aria dolce e sottomessa.
Cercando di dominare i brividi che lo scuotevano, il principe aveva mirato al cuore e Rasputin era caduto con un ruggito sulla pelle d’orso che copriva il pavimento. I cospiratori erano corsi giù per esaminare quel corpo esanime con una macchia rossa sul petto. Solo dopo qualche minuti Rasputin si era immobilizzato.
Mentre, per sviare eventuali sospetti, uno dei cospiratori, nascosto dalla grossa pelliccia del monaco, era stato portato in macchina a casa del defunto, Yussupov era tornato a controllare che il nemico fosse davvero morto. Ma a un tratto gli “occhi verdi da vipera” di Rasputin si erano aperti e l’avevano fissato con un’aria satanica. Il principe era rimasto paralizzato dal terrore mentre l’altro con la schiuma alla bocca si era rialzato con un balzo e si era buttato su di lui, ripetendo senza sosta il suo nome.
Yussupov si sentiva impotente contro quell’essere che nulla sembrava domare. Poi con uno sforzo sovrumano era riuscito a liberarsi. Mentre il principe correva a chiamare gli amici, il monaco fuggiva a quattro zampe, ruggendo “come una belva ferita”. Solo altri spari riuscirono a fermarlo. Quando i congiurati ebbero allontanato la polizia, allarmata dal fracasso, Yussupov in preda a un raptus si era avventato sul corpo immobile e l’aveva colpito più volte sotto lo sguardo inorridito dei presenti. Poi era rimasto privo di sensi, mentre i compagni andavano a buttare Rasputin nel fiume.
La zarina avrebbe voluto la testa di Yussupov, ma Rasputin era troppo odiato e il colpevole era stato semplicemente esiliato finchè la rivoluzione non aveva sconvolto tutto. Sentendo la bufera imminente, il principe aveva staccato dalle cornici della galleria del palazzo due Rembrant.
Intanto fiorivano leggende su quella tragica notte. Si diceva che Yussupov o uno dei congiurati avesse evirato la sua vittima. Questa dubbia reliquia, trafugata da una cameriera, ex-amante del religioso, era circolata a lungo prima di approdare a San Pietroburgo al Museo dell’Erotismo.
A Parigi era cominciata la seconda vita di Yussupov, anche se il sangue di quella notte formava un’aureola cupa intorno al suo viso pallido e finemente cesellato. Malgrado la sua perfetta educazione il principe di tanto in tanto si concedeva una lieve ironia. “Mi sono sposato per snobismo e mia moglie mi ha sposato per denaro. Ecco il fondamento delle coppie che durano”. E in effetti la loro coppia era sopravvissuta prima ai sussulti della storia e poi alle difficoltà dell’esilio.
pene di rasputin al museo erotico di san pietroburgo
Era riuscito a portare via una parte dei gioielli di famiglia. Non era stato facile convincerlo a vendere le leggendarie perle nere a forma di pera, ma ad aggiudicarsele, dopo lunghe trattative, fu Pierre Cartier. Nel 1925 durante dei lavori murari nel palazzo Yussupov di Pietroburgo venne scoperta un’immensa quantità di gioielli nascosti da Yussupov nella speranza di tornare a riprenderli.
Vendendo “La pellegrina”, una delle più famose perle del mondo di dimensioni inusitate, era riuscito a raccogliere i fondi necessari per la nuova casa di moda, Irfé, Ir per irina e Fé per Félix. Fedele all’estetica del tempo, il principe creava modelli e profumi marcatamente androgini. La sua musa era la timida e riservata moglie che gli faceva anche da mannequin. Ma il successo iniziale non doveva durare.
Si dice che Rasputin puzzasse come una capra
Una strana contraddizione riguarda le mani di Yussupov. Un memorialista, André de Fouquières che lo aveva incontrato negli anni Venti, sostiene che il principe gli aveva porto con grazia “una mano fine, aristocratica e delicata”, in contrasto con la sua cupa storia. Più o meno nella stessa epoca Joseph Kessel, impegnato in un reportage sui russi emigrati dopo la rivoluzione, era rimasto impressionato dalla disumana avvenenza del pallido Yussupov. Ma aveva tenuto a sottolineare quella che a suo parere era un‘incongruenza fisica: “Le mani erano sproporzionate. Erano mani grosse, materiali, pesanti in un corpo da arcangelo.”
Se è vero che il principe era molto discreto e aveva togliere il suo numero dagli elenchi per evitare i giornalisti, è altrettanto vero che non evitava di parlare di quella celebre notte. Gli ascoltatori restavano stupiti dall’affetto con cui evocava Rasputin. “Sono persuaso che uccidendolo, l’ho liberato dai suoi demoni. Sono i demoni che hanno scatenato la rivoluzione russa, perché bisogna ricordare che la sua morte ha determinato la fine dell’impero russo I demoni che abitavano Rasputin hanno fatto la rivoluzione, ma dopo lui, liberato ed esorcizzato, è diventato il mio angelo custode. Non ho mai dormito così bene come dopo la sua morte, perché ho la sensazione che mi protegga.”
Rasputin era fallicamente dotato
Col tempo anche il capitale ricavato dalla vendita dei gioielli si era assottigliato. Yussupov non aveva vizi, ma dilapidava grandi somme in beneficenza per i rifugiati russi in Francia. Inoltre era stato vittima di una serie di ambigui personaggi, alcuni dei quali si erano accampati nel suo parco, che con la scusa di farsi aiutare gli sottraevano denaro.
Poi alla villa erano succedute una serie di abitazioni tra qui una villetta senza pretese nei dintorni della capitale, a Boulogne-sur-Seine. Un celebre dandy, Boni de Castellane, si stupì di trovarlo circondato da una folla di servitori visibilmente accolti per pietà, tra cui spiccavano il cuoco, ex-ufficiale della guardia imperiale e un giardiniere con in testa un cilindro bucato. Ma ancora di più lo colpirono, dopo l’inatteso concerto improvvisato, lo sguardo freddo e benevolo della principessa e la sua fiducia nel futuro della Russia, in pieno contrasto con l’odio diffuso tra gli altri emigrati.
Rasputin aveva grande influenza sulla zarina
Negli anni Cinquanta erano uscite le memorie di Yussupov, pettegole, vivaci e, come lui, piene di stile. A una cena mondana il principe si era presentato come al solito seguito dal suo autista, e si diceva amante, vestito in alta uniforme. Però quando la padrona di casa l’aveva pregato di mandare l’autista a fare una commissione, Yussupov aveva risposto candidamente: “Ma io non ho una macchina”. Il principe e il suo attendente si spostavano in metro. I loro abiti da cerimonia dovevano stupire gli altri passeggeri non meno del filo di trucco e del tocco di rossetto che ravvivano gli esangui tratti del principe.
ll mistico Raspuntin era ossessionato dal sesso
Si sussurrava di una sua relazione con un domenicano, ma in quegli stessi anni una sua ex-amante mostrava volentieri un dono particolare, la pistola a tamburo con cui Yussupov aveva liquidato il monaco. Si parlava anche di una signora che, illusa dal principe, gli avrebbe fatto dei prestiti mai restituiti. Aveva forse ragione Paul Morand quando l’aveva definito tanti anni prima “un giovane Lorenzaccio bellissimo, effemminato, che si vende a caro prezzo o a buon mercato a seconda dell’occasione?”
Nel 1967, a ottantanni, aveva dato preziosi consigli al regista Robert Hossein che stava girando “J’ai tué Raspoutine”. Yussupov non aveva solo partecipato alla scelta degli attori, ma li aveva addestrati riprodurre i suoi gesti e il suo portamento. Quando Montanelli l’aveva incontrato a Parigi era ancora attraente, malgrado gli anni. Gli occhi cangianti “color acqua di scoglio” erano belli e dolci. Come poteva essere un assassino? Tutti erano al corrente di un’ipotesi che addebitava la fine di Rasputin a un agente segreto inglese introdotto nel palazzo dal principe. L’Inghilterra infatti era ostile al tentativo del monaco di ritirare la Russia dalla guerra.
Il film Nicholas and Alexandra
A quel punto invece Yussupov aveva detto: “Leggo nei suoi occhi una domanda… e debbo confessarle che Rasputin non l’ho ucciso io”. Poi davanti allo stupore del giornalista, aveva specificato con la sua voce monotona: “No, non nel senso che pensa lei… Rasputin non era un uomo; era un fantoccio agito da un insieme di forze diaboliche… non ho mai ucciso prima e non ho più ucciso dopo quel giorno. Detesto le guerre, le rivoluzioni e tutto ciò che può mettere a repentaglio la vita umana. Sono un partigiano dichiarato e praticante della non violenza.”
Montanelli aveva guardato quel signore vestito come un inglese, che parlava e non gestiva come un inglese. “E’ il russo più russo che ho conosciuto finora.” Sulla porta l’attendente cosacco aveva sussurrato: “Lei adora i fiori”. “Lei chi?” “Sua Eccellenza il principe”.
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