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Paola Jacobbi per "Vanity Fair"
Vania Traxler detesta la gentile ipocrisia di parole come “anziano” e “giovanile”. Preferisce definirsi una “vecchia signora” e specificare, senza birignao alcuno, che il prossimo 6 novembre compirà 80 anni. Non li dimostra, qualunque cosa voglia dire, oggi, dimostrare 80 anni ma, soprattutto, li ha vissuti benissimo.
Ha avuto due mariti, un figlio, due nipoti, un guardaroba meraviglioso e una carriera invidiabile come distributrice cinematografica che ha gratificato lei e che ha dato molto a chiunque in Italia ami i buoni film, prima con il marchio Academy fondato insieme al secondo marito Manfredi Traxler e poi, in seguito alla morte di lui, con una nuova società, Archibald, chiusa pochi anni fa. Primo film distribuito, Il matrimonio di Maria Braun di Rainer Werner Fassbinder (1979) , ultimo Faust di Alexandre Sokurov, Leone d'oro a Venezia nel 2011.
“Mi raccomando che non sia un'intervista testamento, tipo canto del cigno”, dice ridendo mentre ci sediamo a tavola in un ristorante a pochi passi dal suo ufficio di Roma. Prometto e intanto ripasso la biografia: Vania nasce Protti, una famiglia che, dal 1904, distribuiva film e gestiva sale, cresce a Bologna con il cinema nel sangue. Infanzia dorata ma anche drammatica (c'era la guerra, sua madre era ebrea), intelligente e ribelle, Vania fin da piccola si era detta che “da vecchia non sarebbe mai stata una che gioca a carte con le amiche”.
Il regista Valerio Zurlini, amico di famiglia, voleva che facesse l'attrice, carina com'era. Ma a lei non interessava, “diversamente da tutte le ragazze dell'epoca, non avevo il mito del cinema, perché era un mondo che conoscevo bene, che davo per scontato”. Eppure, a un certo punto, un film lo interpretò: Sanremo, la grande sfida, nel 1960.
“Si, ma ero veramente negata, nessun talento per la recitazione! Lo feci solo perché nel film c'era una quota di produzione di mio padre e poi c'era Ferruccio”. Ferruccio è Ferruccio Ricordi, in arte Teddy Reno, cantante, attore, produttore musicale, scopritore e poi marito di Rita Pavone. Prima di Rita, aveva sposato Vania ed è padre di suo figlio Franco. Sono ancora in ottimi rapporti. Quando Ferruccio è a Roma si vedono sempre, infatti l'ho incontrato anch'io, il giorno dell'intervista, nell'ufficio di Vania.
E però, ai tempi, la vicenda fu uno scandalo. Rita, la ragazzina yé-yé che si metteva con un uomo sposato.
“Uno scandalo per gli altri, ma non per me. Io e Ferruccio eravamo separati da tre anni, solo che in Italia non c'era il divorzio. Ma in quegli anni, una donna separata era vista malissimo. Pensi che, proprio in quel periodo, avevo aperto un'attività con un'amica, Sandra Moizzi, la figliastra di Indro Montanelli. Facevamo vestiti e ci invitarono a una trasmissione della Rai per intervistarci, ma l'intervista non andò mai in onda. Censurata! A causa della mia presenza”.
Single, con un figlio e giudicata male. Come si sentiva?
“Benone. Avevo un sacco di corteggiatori!”
Uno di questi era Robert Hossein, attore francese e sex symbol al tempo. Come vi eravate conosciuti?
“Non ricordo, forse a una festa. Ma ricordo bene quanto mi invidiavano le amiche”.
Nel 1968 incontra il grande amore della sua vita: Manfredi Traxler, imparentato con gli Agnelli. Il paggetto al matrimonio di sua suocera era l'avvocato Gianni ancora bambino.
“Manfredi entrò nella mia vita la sera di Capodanno. Io avrei dovuto fare un viaggio ma ero stata poco bene e rimasi a Roma. Un gruppo di amici vennero a casa mia perché non passassi la serata da sola, tra di loro c'era Manfredi, che non conoscevo.
A fine serata mi accompagnò in camera e si sedette sul mio bellissimo copriletto di organza e pizzi, vestito di tutto punto, come un valletto, in attesa che io mi coricassi. Gli dissi: o ti spogli o te ne vai. Da allora, siamo sempre stati insieme, un anno dopo ci siamo sposati in chiesa e poi, dopo che fu approvata la legge sul divorzio, regolarizzammo tutto anche in Comune. Rita e Ferruccio fecero la stessa cosa”.
Con Manfredi è stata sposata 31 anni, fino alla sua morte, nel 2000. Insieme avete fondato la Academy, nel 1977.
“Andammo a Cannes e, nello stesso giorno, passammo dalla boutique di Boucheron dove io mi innamorai di un anello di rubini e poi vedemmo Il matrimonio di Maria Braun. Rinunciai al gioiello e gli chiesi di regalarmi il film”.
Da quel momento avete distribuito moltissimi grandi autori, nel 1997 avete anche vinto un David di Donatello per il vostro lavoro e, nel film di Nanni Moretti, Mia madre, c'è anche un omaggio a uno dei vostri maggiori successi: Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders che batté ogni record di “tenitura”, come si dice.
vania traxler mia madre moretti
“Nove mesi di fila al cinema Capranichetta di Roma! Con la gente in coda tutte le sere. Una cosa impensabile, oggi, per il cinema di qualità. E dire che, la sera della prima, il mio amico Sergio Corbucci (regista di tanti spaghetti western, ndr) mi disse: Vania, stavolta con 'sto film non fate una lira!
Fu una grande serata, anche perché ci fu una cena a casa nostra e quando Corbucci entrò Wenders lo riconobbe e lo trattò come una maestro del cinema”.
Distribuendo i film, parlando di affari, avrà capito chi è particolarmente attaccato ai soldi.
“Lo sono tutti, forse Roberto Benigni più di tutti”.
E lei che rapporto ha con i soldi?
“Ho sempre speso molto, soprattutto per i vestiti, cosa che mia madre ha sempre criticato. Invece io penso che i soldi bisogna spenderli. Come dicono a Napoli: non vorrai mica essere il più ricco del cimitero? Chanel, Armani, Saint Laurent... Ma faceva anche parte del mio ruolo apparire in un certo modo e veniva notato. L'abito fa il monaco. Eccome”.
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Come fu tornare al lavoro, ai festival, dopo la scomparsa di Manfredi?
“Difficile. Triste. C'è un episodio che le devo raccontare, proprio a proposito di vestiti. Mancava poco al festival di Venezia, il primo senza Manfredi. Andai alla boutique Armani, provai un po' di cose ma non ero nello spirito, ero troppo giù e lo dissi alla signora del negozio che mi conosce. Il giorno dopo ricevetti un abito in regalo con un biglietto affettuoso di Giorgio Armani. Un gesto splendido, un aiuto a rinascere”.
Lei ha lanciato in Italia anche il film di Tom Ford, A single man.
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“La sua assistente mi fece impazzire con delle richieste molto perentorie per la cena: voleva che fosse al ristorante da Giacomo, a Milano, che le tovaglie e le stoviglie fossero bianche, i fiori solo bianchi e che nel menù ci fosse solo pesce bianco perché lui non mangiava altro.
A fine serata Tom Ford mi ringrazio e io gli dissi che ero molto sollevata perché questa limitazione del pesce bianco mi aveva dato qualche preoccupazione. Lui mi guardò stupito e disse: “ma figuriamoci, io mangio anche delle gran bistecche, sono texano!” Per dire come a volte certi entourage aprano la bocca solo per giustificarsi lo stipendio!”
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E Madonna, di cui ha distribuito W.E.? Molti capricci?
“Meno di quelli che mi aspettavo. Purtroppo quel film mi ha dato un colpo di grazia. La critica lo massacro e lo andarono a vedere in pochi”.
Davvero non c'era più modo di far sopravvivere la società?
“Forse, ma la legge del mercato è stata più forte. E poi, sa che cosa le dico? Non ci sono più bei film. Dove sono il nuovo Kusturica, il nuovo Wenders, il nuovo Almodovar?”
ritorno alla vita di wim wenders rit ikj
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