licio gelli

UN “VENERABILE” ADDIO - E’ MORTO A 96 ANNI LICIO GELLI, GRAN CAPO DELLA P2 - INIZIÒ ALLA PERMAFLEX E FINÌ PER ESSERE IL PUPARO DEI PIÙ GRANDI MISTERI ITALIANI, DAL CRAC DEL BANCO AMBROSIANO ALLA MORTE DI SINDONA - PER LA GIOIA DI MOLTI, GELLI PORTA NELLA TOMBA GRAN PARTE DEI SUOI SEGRETI

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VILLA WANDA DI LICIO GELLI VILLA WANDA DI LICIO GELLI

1 - ADDIO A LICIO GELLI IL BURATTINAIO DELLA P2 E DEI MISTERI ITALIANI

Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”

 

E’ morto l’ex gran maestro della P2, Licio Gelli. Se n’è andato poco prima della mezzanotte, a 96 anni, nella sua dimora storica a Castiglion Fibocchi. Dopo il ricovero nella clinica pisana di San Rossore, e la diagnosi senza speranza dei medici, la moglie, Gabriela Vasile, lo ha riportato a Villa Wanda. In questi casi, che più estremi non potrebbero essere, la questione vera è come sarà ricordato Licio Gelli.

UN GIOVANE LICIO GELLI UN GIOVANE LICIO GELLI

 

Molto della sua lunga vita lascia pensare che lui si sarebbe accontentato di due qualità: quella di patriota e quella di poeta. Era parecchio italiano, in effetti, toscano di Pistoia, anche se nell’immediato e sanguinoso dopoguerra costretto, pure per il timore di vendette, a traslocare ad Arezzo – e ancora ieri, guarda la sopravvivenza degli scandali, il suo nome ricorreva ai margini di qualche cronaca sulla locale banca.

 

LICIO GELLI E ANDREOTTI LICIO GELLI E ANDREOTTI

Da Arezzo sviluppò la sua ascesa, e all’apice prese la residenza tra i cipressi di Villa Wanda, ricca magione invero fiabesca, con accessi e pertugi misteriosi e lingotti d’oro ritrovati nascosti dentro le fioriere. Sempre in zona, nel suo ufficio di Castiglion Fibocchi, la Guardia di Finanza trovò una sfilza di documenti che documentavano il potere, e tra questi quegli elenchi di nomi – 961 in tutto, numero d’ordine della tessera e situazione di pagamento o meno delle quote - su cui si accese, prese il via e andò in scena il celebre affare della loggia segreta P2, di cui Licio Gelli fu l’indimenticabile “Maestro Venerabile”.

 

Era il marzo del 1981, i magistrati erano lì per ricostruire il finto rapimento di Sindona, da quelle carte si scoprì che nella lista c’era il Gotha della Repubblica (ministri, banchieri, generali, magistrati, imprenditori, editori, direttori di giornali e pure qualche cantante), quindi cadde il governo Forlani, il nuovo presidente Spadolini sciolse la loggia, e insomma di Gelli e della P2 si parlò davvero, animatamente e a lungo, con indagini, processi e commissioni parlamentari che partorirono un’intera biblioteca di incredibili, ora noiosissimi, ora spassosissimi volumoni.

LICIO GELLI A VILLA WANDA LICIO GELLI A VILLA WANDA

 

Senza però che mai, come accade spesso in Italia, si riuscisse a capire per bene chi diavolo fosse lui, Gelli – non a caso da Craxi soprannominato “Belfagor” - né quale infernale entità l’avesse spinto a radunare tutta quella gente, e per quali scopi.

 

Furono tante, forse troppe le ipotesi. Una “cintura di sicurezza” della Nato contro il pericolo comunista. O magari una squadra di pronto intervento andreottiano specialista di lavoretti sporchi e ricattucci. Oppure un gruppo di imbroglioni e millantatori guidato dal più furbo di loro. O anche una camera di compensazione dei potenti della tarda Prima Repubblica, compresi i cugini del Pci, cui delegare la risoluzione di impicci poco commendevoli, ma indispensabili alla ragione di Stato (petrolio, servizi segreti, traffico di armi, rapporti con leader internazionali impresentabili o quasi).

 

La massoneria o meglio le massonerie ufficiali, come quasi sempre succede, c’entravano e non c’entravano. In qualche modo avevano dapprima tollerato lo smanioso attivismo, le fervide ambizioni e i sinuosi movimenti di Gelli, poi gli avevano lasciato campo libero. Nel frattempo lui si era legato con un altro bel tipo, a nome Umberto Ortolani, che come lui aveva interessi in Argentina, ma anche buoni rapporti con Santa Romana Chiesa. Insieme divennero – o almeno così li chiamava la povera moglie di Roberto Calvi - “il Gatto e la Volpe”.

LICIO GELLI LICIO GELLI

 

Insieme arruolarono personaggi decisivi dell’economia e della politica; insieme misero le mani anche sul Corriere della Sera; insieme si giocarono prima il bancarottiere Sindona e poi il presidente dell’Ambrosiano, in tal modo innescando vicende anche tragiche: agguati, rapimenti, fughe, assassini, suicidi, furti di miliardi. Qualche indagine sostiene che dal potere occulto della P2 promanava una certa puzza di dinamite, quasi certamente alcuni depistaggi dopo le stragi non smentiscono quel fetorino.

 

LICIO GELLI TESSERA PDUE LICIO GELLI TESSERA PDUE

Anche Gelli comunque fu catturato, poi riuscì avventurosamente ad evadere da un carcere svizzero, tornò in Sudamerica, dove aveva messo in salvo altre carte. Quindi ritornò in Europa, aveva il gusto del travestimento e si mascherò addirittura da suonatore di organetto, finì di nuovo dentro. Alla fine parlava un po’ come un capo indiano. Consapevole del suo potere di discredito, abbracciava ora l’uno ora l’altro politico come una specie di rischioso trastullo e non molti anni orsono ha regalato le sue carte – alcune sue carte, verosimilmente – all’archivio di Stato. Nella catalogazione ebbe un ruolo Linda Giuva in D’Alema.

 

Si è fatto intervistare per due o tre libri-interviste, purtroppo abbastanza deludenti. Di suo nel 1990 ha scritto e pubblicato un incredibile manuale: “Come arrivare al successo” (Aps, 1990), con norme sul cibo, il riposo, i rapporti con i collaboratori. Ma la sua vera e divorante passione furono le poesie, per lo più del genere meditabondo e intimista, di scarso apprezzamento critico, ma di cui esiste produzione tanto vasta quanto densa di premi letterari di serie B e C. Più che semplicemente patriota, in realtà, Gelli era rimasto fascista.

 

LICIO GELLI CARTA IDENTITA LICIO GELLI CARTA IDENTITA

Volontario in Spagna poco più che adolescente. Uomo di di fiducia dei fascisti anche fuori Italia, dovette recuperare nell’odierno Montenegro un certo tesoro soffiato alla corona yugoslava. Secondo un libro di Piazzesi, “La caverna dei sette ladri” (Bal- dini&Castoldi, 1996) lo rese al Cln e si trattò del primo indebito finanziamento ai partiti. Ma anche sul fascismo le cose sono più complicate perché durante la Resistenza Gelli aveva fatto dei favori ai partigiani salvando diverse vite, e quasi certamente anche la sua.

 

Si era poi messo al servizio di alcuni deputati democristiani, ma il gusto astuto delle trame, degli ammiccamenti, del doppio gioco, dei documenti che fanno bene a quello e male a quell’altro ce l’aveva nel sangue. “Cartofilo” si definiva, e “burattinaio” in una celebre intervista a Maurizio Costanzo sul Corriere della Sera. In realtà la sua scalata sociale cominciò come dirigente della fabbrica di materassi Permaflex, mentre seguitava a coltivare relazioni con il mondo delle spie. Ecco come pure si fa carriera in Italia.

LICIO GELLI LICIO GELLI

 

2 - 1981, COSÌ SI SCOPRÌ LA LISTA MASSONICA

Enrico Bellavia per “la Repubblica”

 

LA madre di tutti gli scandali italiani, il crocevia dei misteri che segnano i lutti della Repubblica ha una data di inizio e un elenco di nomi: mille quelli noti, duemila e più gli effettivi. È il 17 marzo del 1981 quando i giudici Gherardo Colombo e Giuliano Turone che indagano sul crac dell’Ambrosiano e il finto sequestro del banchiere Michele Sindona arrivano a Villa Wanda la residenza di questo commerciante toscano di materassi, franchista e peronista, filoamericano e con molti amici tra i fascisti, che è riuscito a creare una propria loggia massonica sotto il cappello politico di Giulio Andreotti.

 

Il Gran Maestro capace di affiliare i capi di Sismi, Sisde e Cesis ha iniziato nei primi anni Sessanta la sua formidabile ascesa che giunge al culmine quando il Paese incrocia la stagione delle bombe e dei golpe che punteggiano la nostra storia recente. Dal golpe di Junio Valerio Borghese in poi, non c’è un episodio della torbida edificazione della nostra fragile democrazia in cui il suo nome non faccia capolino.

 

LICIO GELLI LICIO GELLI

Per trescare, intorbidire, confondere e depistare. Gelli ha nella schiera dei suoi fedelissimi generali del calibro di Vito Miceli e Giuseppe Santovito. Ma negli elenchi di quella loggia ci sono ufficiali di tutte le armi, politici in ascesa, finanzieri d’assalto, manager di Stato e imprenditori rampanti come Silvio Berlusconi. Dai suoi conti parte un fiume di denaro che arriva al vertice del potere craxiano.

 

La sua è una cricca che ha tenuto in scacco il Paese reale. Un gotha capace di piegare l’intelligence ai propri scopi, di partecipare alla stagione del terrorismo ideologico, rispondendo solo all’imperativo di scongiurare che il Paese sbandasse a sinistra. Uno dei suoi uomini più rappresentativi, Umberto Ortolani, scomparso nel 2002 era il grimaldello che portava dritto alle finanze vaticane, allo Ior, piegato alla bisogna al ruolo di banca della loggia. Perchè la P2 è molto più di una loggia, è una cattedrale dell’impunità costruita su segreti e archivi. E delitti: tanti. Come quello di Roberto Calvi. Della strage alla stazione di Bologna Gelli stesso disse che si trattò di «una tragica fatalità frutto di un incidente».

 

LICIO GELLI LICIO GELLI

Il nome di Gelli tornò ancora nelle carte giudiziarie quando i giudici di Palermo iniziarono a inquadrare il contesto politico in cui erano maturate le stragi del 1992. Il gran burattinaio stava dietro il sogno di una nuova secessione siciliana in asse con la Lega al Nord. Il suo piano di rinascita democratica era ancora il canovaccio di quel progetto: asservimento del pm al governo, controllo dei mezzi di informazione, Corriere della Sera in testa, una repubblica presidenziale di marca sudamericana. La gran parte dei segreti, Gelli li porta nella tomba. Quelli in circolo sono ancora un formidabile salvacondotto per molti.

 

Licio GelliLicio Gelli