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Federica Cravero e Carlotta Rocci per “la Repubblica”
«C'era chi la prendeva il giro per il suo peso, ma lei se ne fregava, era una ragazza forte». Questo ieri mattina dicevano di Beatrice Inguì i suoi compagni, quando ancora la sua morte, travolta a 15 anni dal treno che doveva portarla a scuola, sembrava un tragico incidente. «Pareva aver trovato la sua strada nella musica ed era disposta a una dura vita da pendolare pur di frequentare quel liceo», raccontano amici e insegnanti dell' istituto musicale Lagrangia di Vercelli.
Ma quelle frasi suonano molto diverse ora che la polizia ferroviaria, vedendo i filmati delle telecamere, ha appurato che Beatrice non è inciampata, non è caduta sui binari, non è rimasta impigliata con lo zainetto. Nelle immagini la si vede quasi fare un salto, nel momento in cui il treno arriva alle sue spalle.
La si vede urtare il respingente della locomotiva ed essere trascinata via per decine di metri. Poi il ritrovamento in casa del diario in cui chiede scusa ai genitori e, nell' ultima pagina, li saluta con un "addio" ha confermato l' ipotesi che il suo sia stato un gesto volontario. A quelle pagine Beatrice aveva affidato i pensieri e le sofferenze di una ragazza non così imperturbabile come voleva apparire.
A Natale era stata ricoverata per un mese in un centro per curare l'obesità. A scuola non sapevano molto di più, nell'ultimo periodo in effetti era dimagrita ma nessuno ci aveva fatto troppo caso. A tormentarla c'era qualche brutto voto, ma aveva recuperato: «Mi sono messa a studiare seriamente, ripasso anche in treno» , aveva assicurato ai professori. Qualche cruccio glielo dava la gita scolastica, cui non voleva partecipare.
«Diceva che non le piaceva», conferma un'amica. Beatrice non amava mettersi in mostra, essere fotografata, fare selfie e pubblicarli sui social. Invece adorava cantare l'opera, suonare l'oboe e il pianoforte. «Quando parlava di musica s'illuminava» , racconta Elisabetta Piras, insegnante di storia della musica. Però questo non bastava a farla stare meglio. «Sono grassa», scriveva sul diario segreto.
Sull'episodio la procura di Torino ha aperto un fascicolo, al momento senza ipotesi di reato. Oltre agli accertamenti tecnici sui binari, la Polfer ha ascoltato le testimonianze dei ragazzi che erano con lei sulla banchina del binario 4 nella stazione sotterranea di Porta Susa.
Le amiche sono state sentite due volte: una subito dopo l'incidente, l'altra dopo che le immagini del salto volontario nei filmati delle telecamere hanno dato un senso nuovo all'accaduto. Come ogni mattina Beatrice si era alzata prima del sole. Con la madre era partita da Rivoli per andare a prendere la metropolitana.
Si sono salutate a Porta Susa, dove Beatrice ha incontrato i suoi amici. Aspettavano il regionale 2005 che arriva alle 7,03 e riparte due minuti dopo verso Milano. Qualcuno si sporge a cercare ai finestrini i compagni saliti alla stazione precedente. Beatrice sta chiacchierando delle vacanze di Pasqua. Il treno fischia, lei fa un passo indietro, poi salta. «L'abbiamo vista scomparire, il convoglio l'ha trascinata via. Abbiamo allungato le braccia ma non siamo riusciti a prenderla», raccontano i compagni. Vengono chiamati i soccorsi, Beatrice respira ancora quando la liberano dalle rotaie. Ma i tentativi di salvarla sono inutili. Fino a sera nessuno sospetta che possa trattarsi di un suicidio. Nemmeno i genitori, che hanno scoperto l'esistenza del diario della figlia assieme alla polizia.
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