DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
LA VERSIONE DI MUGHINI
Caro Dago, tu lo sai che a me piacciono i libri che se ne stanno un po’ di lato, quei libri un po’ clandestini e un po’ maledetti, rarissimamente letti e rarissimamente citati. Ne sto leggendo uno, il “Compagno mitra” che Gianfranco Stella, un professore cattolico e ardentemente anticomunista (alle recenti elezioni europee s’era candidato nelle liste del partito di Giorgia Meloni) si è autoedito qualche mese fa e che nel frattempo è arrivato alla terza edizione.
gianfranco stella compagno mitra 1
Più precisamente Stella da trent’anni ha puntato il mirino sulle tragedie della guerra civile italiana del 1943-1945, su cui ha scritto almeno quattro o cinque libri di cui si è enormemente giovato Giampaolo Pansa. Libri che Stella adopera come un’ascia da combattimento, tale è la sua avversione totale al “partigianato marxista” cui attribuisce una indomita e indomabile attitudine alla violenza e allo strazio dell’avversario.
Né Stella attenua o camuffa di un etto questa avversione totale, assoluta. Di più: i suoi libri sono dei pamphlet prima ancora che delle documentatissime narrazioni. Libri dai quali è assente qualsiasi espediente letterario, com’è invece nei racconti del mio amico Pansa. Stella mette in fila crimini, massacri di intere famiglie, squartamenti di prigionieri, stupri collettivi di ausiliarie poi uccise con un colpo alla nuca. E nomi, nomi, nomi. I nomi dei morti assassinati innanzitutto, e poi i nomi degli assassini. Le loro foto, anzi.
Di tutti gli assassini fa i nomi e cognomi, e quanti anni hanno fatto di galera, e le loro fughe in Cecoslovacchia protetti dal Partito comunista, e le grazie presidenziali di cui hanno goduto e le medaglie al valoro militare della Resistenza che talvolta sono state revocate dinnanzi a condanne nell’ordine dei vent’anni e passa, talvolta no. Fosse vero un decimo di quello che Stella racconta, questo libro non dovrebbe comunque mancare dagli scaffali di un cittadino repubblicano vorace della verità di quegli anni drammatici quale il sottoscritto. Altro che le testimonianze degli ex partigiani combattenti di cui vedo che la Rai sta approntando un programma.
Il fatto è che le verità di quegli anni bruciano, e le rammemorazioni improntate all’antifascismo non ti ci portano vicino. Trent’anni fa, quando io ero ancora largamente nutrito da quelle rammemorazioni – e non che fossi un ragazzo ancora ignaro e acerbo, è che non sapevo molto dell’essenziale – mai avevo sentito il nome dei sette fratelli Govoni martoriati nei pressi di Argelato da una banda di partigiani comunisti l’11 maggio 1945, e ho detto partigiani e avrei dovuto dire invece delinquenti.
Il loro nome me lo fece per la prima volta Giano Accame, un ex volontario della Repubblica sociale italiana, un intellettuale fra i più adamantini che io abbia mai conosciuto: il suo nome in Israele sta nel parco riservato ai “Giusti”. Nel discutere con lui io mettevo avanti la tragedia dei fratelli Cervi, come a dire la superiorità della parte politica che aveva avuto quei martiri. Giano mi replicò che la sua parte ne aveva di martiri similari, per l’appunto i sette fratelli Govoni. Aveva perfettamente ragione Giorgia Meloni, la quale pochi giorni fa (nell’anniversario del massacro) lamentava che il nome dei Govoni non esiste nei libri di storia, non viene fatto alle scolaresche, è tabù per le istituzioni e per i grandi media. Tabù.
I sette fratelli Govoni non s’erano macchiati di alcuna azione infame. Nessuna. Due dei sette fratelli, Marino e Dino, erano stati convocati dal CLN subito dopo il 25 aprile e immediatamente rilasciati. L’11 maggio i partigiani della brigata garibaldina “Paolo”, gente non particolarmente ingombrata dall’uso dei guanti bianchi nei confronti dei loro avversari politici, sequestrò prima il fratello Marino, poi la sorella Ida e gli altri cinque fratelli. (Si salvò un’ottava sorella, Maria, che s’era maritata e viveva ad Argelato.)
gianfranco stella compagno mitra
Il camion della morte andò via caricando altre dieci persone, fra cui un sottotenente di artiglieria dell’esercito italiano del sud, uno che aveva combattuto contro i tedeschi. Tutti e diciassette i sequestrati vennero rinchiusi nella casa colonica di un partigiano. Dove vennero massacrati a calci e a colpi di bastone e infine strangolati con il filo del telefono. Nessuna delle vittime morì per arma da fuoco. I corpi vennero ritrovati molti anni dopo, nel 1951. Il processo contro quei delinquenti camuffati da partigiani cominciò poco dopo a Bologna e si concluse nel 1953.
Il commissario politico della brigata partigiana venne condannato all’ergastolo e così il vicecomandante della brigata e il partigiano che aveva guidato il sequestro. Riuscirono tutti a fuggire in Cecoslovacchia per poi usufruire delle numerose amnistie relative ai fatti di guerra del 1943-1945. Tornato in Italia, Vitaliano Bertuzzi, uno dei condannati all’ergastolo, ritrovò il suo lavoro di bigliettaio ai trasporti urbani di Bologna. Lo Stato italiano riconobbe ai genitori dei Govoni una pensione di settemila lire al mese, mille lire per ognuno dei figli assassinati.
eccidio dei fratelli govoni ad argelato
Mi auguro di sentirli alla Rai, prima o poi, questi fatti e questi nomi. O forse no?
GIAMPIERO MUGHINI
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