donna incinta licenziata

ANCORA VI STUPITE PERCHÉ NON SI FANNO FIGLI? LA STORIA DI UNA 49ENNE PUGLIESE CHE, DOPO AVER LAVORATO PER ANNI IN CONDIZIONI DI SFRUTTAMENTO IN UNO STUDIO COMMERCIALISTA, È STATA LICENZIATA QUANDO IL TITOLARE HA SCOPERTO CHE ERA INCINTA - LA DONNA HA PORTATO IN TRIBUNALE IL DATORE DI LAVORO, MA DOPO UNA BATTAGLIA LEGALE DURATA ANNI, UN GIUDICE DATO RAGIONE ALL’UOMO. IL MOTIVO? LA DONNA, DOPO ANNI DI PRECARIETÀ E LAVORO IN NERO, NON È RIUSCITA A DIMOSTRARE IL VINCOLO DI SUBORDINAZIONE CONTINUATIVA E…

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Estratto dell'articolo di Vincenzo Pellico per www.repubblica.it

 

gravidanza 2

La maternità o il lavoro. È stato questo il ricatto occupazionale difronte al quale si è ritrovata Anna (nome di fantasia), 49 anni, originaria di Torchiarolo. Novembre 2015: alla ventunesima settimana di gravidanza e reduce da una minaccia di aborto, viene licenziata dal suo storico datore di lavoro a Manduria (Taranto). Da lì, una battaglia legale andata avanti per sette lunghi anni, iniziata con il ricorso del 2016 e terminata nel 2023 con una sentenza d’appello che ha però respinto le sue richieste. […]

 

donna licenziata

La sua vicenda inizia molto prima: nel 1998, quando, appena 22enne, inizia a lavorare nello studio di un commercialista, come ragioniera. Per sette anni lavora completamente in nero, ricevendo appena 300 euro al mese di compenso. Solo nel 2005 ottiene un contratto regolare, durato fino al 2013, quando un'ispezione Inps multa lo studio per 20mila euro per la presenza di tre lavoratrici irregolari.

 

Da lì, la situazione degenera. Anna viene formalmente licenziata per “motivi economici”, ma continua a lavorare, questa volta percependo solo l’indennità di disoccupazione […] Nel 2015, il suo datore crea una cooperativa, che sulla carta fornisce servizi esterni, ma che nella realtà riproduceva fedelmente la struttura precedente […] Anna e le altre ex dipendenti diventano formalmente “socie”, ma era il loro datore a mantenere ogni potere decisionale.

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Il punto di rottura arriva con la gravidanza. “Appena comunicata la notizia, è iniziata la pressione psicologica”, racconta Anna. A novembre 2015, a soli sei giorni da una minaccia d’aborto, viene licenziata.

[…] Dopo il benservito decide di reagire: si rivolge a due avvocati lavoristi, che avviano una causa al Tribunale di Taranto nel 2016. La documentazione era abbondante: 26 allegati tra mail, certificati medici, testimonianze. L’obiettivo: dimostrare che, nonostante le apparenze, vi fosse un rapporto di lavoro subordinato continuativo.

 

licenziamento

Ma la giustizia non le dà ragione. Il Tribunale di primo grado non riconosce il vincolo di subordinazione continuativa e ritiene valida la struttura della cooperativa […] Nessun risarcimento, nessun riconoscimento economico dei 17 anni di lavoro, facendo rientrare nel computo anche quello svolto in nero.

 

L’appello, presentato nel 2018, conferma la sentenza di primo grado nel 2023. La corte stabilisce che non vi siano elementi sufficienti per affermare che Anna fosse, di fatto, ancora dipendente dello studio, e non una libera socia di una cooperativa.

“È stato devastante - ammette Angela - Non vedersi neppure riconosciuto il Tfr di circa 15mila euro, con i quali avrei potuto provare a costruirmi un’alternativa, è l’esatto contrario del concetto di dignità”.

 

donna incinta mobbing

Circa un mese dopo l’appello, il suo legale le manda questo messaggio: “Cara Angela, spero che il tempo decorso dopo la lettura della sentenza ti consenta di stare più serena, essendo evidente che l’esito si è basato sulla (falsa) testimonianza delle tue ex colleghe che evidentemente non hanno avuto scrupoli nei tuoi confronti. Al contempo – prosegue - la decisione della corte, certamente superficiale, non ha tenuto conto del contenuto dell’appello che più che approfonditamente era indirizzato proprio a confutare la credibilità delle testimonianze rese in primo grado”.

donna incinta mobbing

 

E poi: “Ovviamente non posso che essere dispiaciuto ma ritengo che non ci siano gli estremi per un ricorso in cassazione”. Fine. “Ci ho soltanto rimesso – dice Anna – migliaia di euro di spese legali. Senza intascare un euro, senza ricevere uno straccio di riconoscimento per quasi 20 anni di lavoro”. 

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