DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell'articolo di Fabio Tonacci per "La Repubblica"
DOSSIER SIRIANI TOP SECRET - 1
Cinquant’anni di segreti siriani giacciono sul pavimento del Mukhabarat depredato. Cinquant’anni di spionaggio, di schedature di cittadini, attivisti, giornalisti anche italiani, spuntano da armadi sganasciati che nessuno più protegge. Cinquant’anni di sorveglianza paranoica del regime baathista sono scritti a mano su «registri di investigazione » con il bollo «top secret», sfogliati distrattamente da un miliziano di 21 anni che regge il kalashnikov per la canna e neppure immagina la portata di ciò che sta leggendo.
Repubblica è entrata nella sede centrale del Direttorato generale d’intelligence di Damasco. È il famigerato servizio segreto fondato nel 1971, quando gli Assad presero il potere con un colpo di Stato e vollero trasformare la Siria in una dittatura votata alla repressione del dissenso. [...]
Migliaia sono i nomi riportati, a ogni nome è associato il numero di un dossier e un codice di classificazione. In un volume dalla copertina azzurra si leggono quelli di cinque italiani, tra cui Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera specializzato in terrorismo e affari militari.
Una riga tra migliaia di righe. «Guido Olimpio, nazionalità italiana, numero indagine: 60090, codice classificazione 1994», e poi una nota: «Nessuna procedura». La classificazione potrebbe anche indicare l’anno in cui è stato attenzionato dagli 007 di Assad. «Ero stato in Siria nel 1991 per un viaggio dell’Onu», spiega il giornalista.
«Ci sono tornato altre volte. Non sapevo di un fascicolo del Mukhabarat su di me, mai avuto contatti con loro. All’inizio degli anni Novanta ho fatto delle inchieste sul traffico di missili Scud verso la Siria e l’Iran». Nel medesimo elenco figurano altri quattro italiani, con classificazione (o anno) 2004. La nota per loro dice «non far entrare in Siria»: «Giovanni R., numero indagine 3202»,
«Filippo D., numero indagine 3203», «Vito V., numero indagine 3204», «Donatella F., numero indagine 3205». Non ci sono indicazioni sul contenuto dei fascicoli a cui rimandano i codici, né è possibile sapere dove sono conservati. Il registro, trovato nello scantinato del palazzo che ha tenuto in piedi il regime, è un frammento dell’esteso sistema di polizia politica che vigeva in Siria e che tanto ricorda la Stasi. La maggior parte delle schedature riguarda libanesi, ma ci sono francesi, americani, irlandesi, israeliani.
Tra essi anche delle presunte spie. È il caso di un uomo chiamato Daud K., doppio passaporto libanese e israeliano, indagine numero 20053: «agente del nostro nemico Israele, potrebbe avere contatti con i Fratelli musulmani». Altre note associate ai nominativi: «lavora per i servizi segreti britannici», «fa parte di un gruppo in Kuwait di spie per Israele », «fa parte delle forze libanesi di Samir Geagea».
Il complesso occupa un intero quartiere, protetto da una cinta di mura a cui prima dell’8 dicembre era complicato anche solo avvicinarsi. Al Jolani ha affidato a un suo fiduciario di nome Diae Daher Abu Hodeifa, 35 anni - un passato da studente della shaaria prima e da affiliato di al Nusra poi - il compito di vigilare sulla miniera di documenti classificati dello spionaggio e controspionaggio. Vigilare è un termine improprio: Abu Hodeifa ha a disposizione al massimo una decina di ragazzini armati, le carte sono alla mercé di chiunque si voglia intrufolare nel perimetro.
[...] Nella sezione visitata da questo giornale ci sono armadi divisi per nazione infiltrata e monitorata, Israele, Libano, Iraq, Iran, Giordania, Egitto, decine di fascicoli in farsi col timbro della Repubblica islamica a riprova della dipendenza da Teheran, computer spaccati, hard disk calpestati, apparecchi di fabbricazione russa per l’ascolto e la registrazione, archivi di due metri coperti di polvere. E un lungo corridoio che scende sotto terra e conduce alle prigioni aperte dai combattenti dell’Hts. [...]
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