FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Armando Di Landro per “il Corriere della Sera”
Fino allo scontro con il presidente Luca Zaia, il professor Andrea Crisanti è stato il volto del successo veneto contro il coronavirus, dove l'incidenza del contagio è stata ed è infinitamente più bassa di quella registrata in Lombardia e a Bergamo in particolare. Duecento chilometri separano il suo studio di Padova dal centro della città più colpita ed è da lì che è partita una telefonata per lui: il procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota vuole il virologo ribelle, l'uomo dei tamponi di massa contro le indicazioni del ministero e dell'Istituto superiore di sanità, come consulente nell'inchiesta per epidemia colposa aperta a fine marzo.
Il contatto c'è stato, secondo indiscrezioni il dialogo è a uno stato già avanzato, mancherebbe solo la firma per ingaggiare Crisanti. Ma dalle parti della Procura si registrano solo silenzi. Nessun commento da parte di Rota. «Non sono certo io a poter dare conferme - ha dichiarato ieri il professore -. Soprattutto in questo caso bisogna osservare la massima correttezza istituzionale».
Silenzi dai pm, ma nessuna smentita. L'esperto del Veneto governato dal leghista Zaia si troverebbe così a fare da consulente per l'inchiesta penale, al momento più clamorosa, nel cuore della Lombardia governata dal leghista Fontana. Sui meriti dei risultati contro il coronavirus (basti la provincia di Padova che conta 300 deceduti in tutto per Covid accertato dai tamponi, contro i 3.100 a Bergamo) lo strappo c'è già stato: Zaia ha rivendicato il lavoro dei dirigenti regionali, Crisanti ha commentato con un amaro «vogliono riscrivere la storia». Ora però il ruolo che si profila a Bergamo è diverso.
L'inchiesta è al momento un grande calderone che va dalla mancata zona rossa a Nembro e Alzano alla gestione dell'ospedale della Bassa Val Seriana, che dipende dall'Azienda socio sanitaria di Seriate.
E Crisanti, da virologo esperto, dovrà dare risposte ai pm, che si chiedono quanto abbiano inciso i divieti sfumati per quella porzione di territorio quando il contagio iniziava a galoppare, ma soprattutto perché avrebbe potuto servire il contenimento del focolaio ospedaliero: già da metà febbraio ad Alzano risultavano ricoverati pazienti con sintomi sospetti, polmoniti acute in particolare, ma i primi tamponi erano stati fatti solo il 23 febbraio.
Eppure l'ospedale, dopo l'ufficialità dei primi contagiati, era rimasto chiuso solo tre ore, a differenza di quanto accaduto a Codogno o a Schiavonia (Padova). Le circolari del ministero che chiedevano di riscontrare contatti dei degenti con la Cina, erano vincolanti? Crisanti le ha sfidate, ma ora il punto è rispondere a una serie di interrogativi, per consentire ai pm di capire se siano stati commessi reati.
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