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Paolo Mastrolilli per ''La Stampa''
Dopo Harvard, tocca a Yale. L' offensiva dell' amministrazione Trump contro il sistema di ammissione nelle università americane dell' Ivy League continua, con la nuova causa presentata giovedì. In teoria l' obiettivo è difendere la comunità asiatica dalle discriminazioni, che favoriscono l' accettazione di studenti di altri gruppi etnici, come neri e ispanici.
In realtà si tratta di un attacco all' affirmative action, la «discriminazione positiva», che il governo lancia usando gli asiatici, ma col vero obiettivo di aiutare i bianchi, perché rappresentano la base elettorale fondamentale per il capo della Casa Bianca.
L' azione affermativa è una pratica usata da decenni negli Usa, attraverso leggi e regolamenti nel settore pubblico e privato, per correggere le discriminazioni. Serve ad evitare che gruppi specifici siano penalizzati in base a razza, sesso, religione, nazionalità, età, disabilità, o altre caratteristiche.
Le origini risalgono all' era della Reconstruction, ossia il periodo seguito alla Guerra Civile, in cui si cercava di ricostruire la società dopo la fine della schiavitù. La Corte Suprema ha riconosciuto la sua validità, purché il bilanciamento delle pari opportunità non venga perseguito con le quote.
Nel caso delle università è lecito tenere presente la razza come uno degli elementi per l' ammissione degli studenti, perché è ovvio che chi viene dalle minoranze più svantaggiate va valutato considerando il suo handicap di partenza.
donald trump con la mascherina in mano al dibattito contro biden
Negli Usa, del resto, fino agli anni Sessanta i neri non avevano neppure il diritto di andare negli stessi bagni dei bianchi. Il colore della pelle però non deve diventare l' elemento decisivo e definitivo, stabilendo quote fisse di ammissione.
Per rispettare questi criteri, le università hanno adottato complessi sistemi di valutazione, ma i bianchi più conservatori le accusano di aver esagerato nella direzione opposta, discriminando loro. Per anni hanno cercato di sollevare il problema, senza grande successo, perché la denuncia veniva dal gruppo etnico chiaramente più privilegiato nella storia degli Usa.
Allora Edward Blum, leader del movimento contro l' affirmative action, ha pensato di cambiare strategia, mettendo una minoranza contro l' altra. Così ha aiutato la Students for Fair Admission, gruppo di studenti di origine asiatica, a fare causa alle università che li escludono, nella speranza di usarli come grimaldello per scardinare l' intero sistema, e quindi favorire anche i bianchi.
Il primo obiettivo è stato Harvard, ma nell' autunno del 2019 la giudice Allison Burroughs ha dato ragione all' università, che si era difesa dicendo di considerare la razza come un elemento per l' ammissione, ma non in maniera esclusiva e senza stabilire quote.
In effetti gli studenti asiatici costituiscono il 20% degli ammessi dall' ateneo di Cambridge, contro il 6% della popolazione totale americana: ciò avviene per loro merito, ma è difficile sostenere che sono penalizzati. Ora quindi l' attenzione si è trasferita su Yale, citata in tribunale dal dipartimento alla Giustizia, che l' accusa di violare il Civil Rights Act del 1964.
Il presidente dell' università, Peter Salovey, ha risposto che la causa si basa su «statistiche imprecise e conclusioni infondate. Yale non discrimina contro alcun candidato di qualsiasi razza o etnia. Le nostre pratiche sono legali e non cambieranno».
Le università non usano quote, ma sostengono che se prendessero solo gli studenti con i voti migliori, senza considerare anche altri elementi, la diversità finirebbe.
Trump però ha un interesse elettorale a favorire i bianchi, e quindi appoggia Blum.
La sua strategia punta ad arrivare alla Corte Suprema, nella speranza che la maggioranza conservatrice da lui creata metta fine ad ogni forma di affirmative action.pao. mas. -
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