RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Zygmunt Bauman per “la Repubblica”
Tra i buoni motivi per interpretare l’avvento dell’era moderna come una trasformazione promossa soprattutto dagli interessi della classe media (o per riprendere la terminologia di Marx, come una “rivoluzione borghese” vittoriosa) appaiono preponderanti il timore ossessivo, tipico del ceto medio, della fragilità dello status sociale, e gli sforzi tesi a difenderlo e a stabilizzarlo.
Nel delineare il profilo di una società esente da infelicità, i progetti utopistici che abbondavano all’inizio dell’era moderna riflettevano soprattutto i sogni e i desideri della classe media; ritraevano una società purificata dalle incertezze, e soprattutto dalle ambiguità e dalle insicurezze legate alla posizione sociale, nonché dai diritti e dai doveri che quella posizione portava con sé.
Per quanto quei progetti potessero essere diversi l’uno dall’altro, erano concordi all’unanimità nello scegliere la durata, la solidità, l’assenza di cambiamento come premesse essenziali di una società “buona” e della felicità umana. I progetti utopistici immaginavano soprattutto la fine dell’incertezza e dell’insicurezza: in altre parole promettevano un assetto sociale assolutamente prevedibile.
La società “buona” e persino la società “perfettamente buona” delle utopie era una società che aveva risolto una volta per sempre tutte le paure più tipiche del ceto medio. Si potrebbe dire che i ceti medi erano l’avanguardia che, prima del resto della società, esplorava e faceva esperienza delle principali contraddizioni dell’esistenza destinate, ce lo si volesse o no, a diventare caratteristiche universali della vita moderna: la tensione perenne fra due valori, la sicurezza e la libertà, valori ugualmente desiderati e indispensabili per una vita appagante, ma difficili da conciliare, da possedere e godere simultaneamente.
I più giovani fra noi sono entrati in una società in cui la grande maggioranza delle persone si trova a vivere nella condizione riservata un tempo alle sole “classi medie”: a differenza delle classi alte (che oggi si chiamano “élite globali”) e di quelle basse (ora definibili “meno abbienti”), si trovano a dover scegliere non fra un’insufficiente varietà bensì fra una sovrabbondanza di modelli.
i millennials non sono troppo libertini
Con il terribile rischio di sempre: scegliere un modello e dover rinunciare a molti altri altrettanto interessanti. È il rischio di inciampare, scivolare, cadere. Oggi l’ansia, e di conseguenza l’impazienza e la fretta dei giovani, derivano da un lato dall’apparente abbondanza di scelte possibili, dall’altro dal timore di fare una cattiva scelta, o di “non fare la scelta migliore possibile”.
In altre parole sono figlie del terrore che una splendida opportunità sfugga quando c’è ancora tempo (fuggente) per coglierla. A differenza di ciò che accadeva ai loro genitori e ai loro nonni, educati durante la fase “solida” della modernità, oggi non ci sono codici di comportamento durevoli o autorevoli abbinabili alle scelte raccomandate, e tali da guidare il giovane lungo un percorso sicuro dopo che ha fatto la sua scelta (o accettato con obbedienza la scelta consigliata da altri).
Il pensiero che un passo intrapreso possa (solo possa) essere stato uno sbaglio, e possa (solo possa) essere troppo tardi per contenere le perdite che ha causato, e soprattutto troppo tardi per tornare indietro da quella scelta infelice, continuerà a tormentarli per sempre: da qui dunque quel loro risentimento per tutto ciò che è “a lungo termine”, che sia il progetto della propria vita, o l’impegno nei confronti di altri esseri umani.
Ciò che conta di più per i giovani, quindi, non è “definire un’identità”, ma mantenere la propria capacità di ridefinirla quando è (o si pensa che sia arrivato) il momento di darle una nuova definizione. Se i nostri antenati si preoccupavano della loro identificazione, oggi prevale l’ansia di reidentificazione. L’identità deve essere a perdere perché un’identità che non piace, non piace abbastanza, o semplicemente rivela la sua età rispetto a identità “nuove e migliori” disponibili sul mercato, deve essere facile da abbandonare. Forse la qualità ideale dell’identità più desiderata sarebbe la biodegradabilità.
Poiché le opzioni disponibili non sono fondate su valori durevoli, incontestati e riconosciuti autorevolmente, la valutazione delle scelte non può che seguire le regole dei beni di consumo: l’identità scelta deve essere “messa sul mercato” per “trovare il suo valore”. L’identità progettata ed esibita che non trova e non crea una sua clientela è punita con l’esclusione (il voto contrario, il pregiudizio, la persona è ignorata, snobbata...), che è l’equivalente sociale del bidone dei rifiuti. I più “talentuosi” sono quelli con più contatti, sia sui social network, nonché sui loro blog personali che sono già più di settanta milioni e diventano sempre più numerosi).
Laurie Ouellette, docente di scienza delle comunicazioni e dei reality tv all’università del Minnesota, afferma che «molti adolescenti sentono la forte esigenza di crearsi un’identità allargata come le celebrities che vedono rappresentate nei media nazionali», riconfermando un’opinione ampiamente condivisa dagli esperti e dall’opinione pubblica in generale.
“Identità allargata” significa soprattutto una più ampia esposizione: più gente da guardare e da cui essere guardati (utenti di internet/banda larga), un maggior numero di appassionati di internet stimolati/eccitati/ divertiti da ciò che vedono, e sollecitati al punto da voler condividere l’evento con i loro contatti. Tutti sanno bene che la probabilità di diventare famosi attraverso un blog personale è di poco superiore alla probabilità che una palla di neve resista al caldo dell’inferno, ma tutti sanno anche che la probabilità di vincere alla lotteria senza comperare un biglietto è zero.
Possiamo forse criticare i giovani perché vivono di corsa, inseguendo un’illusione? Non credo. Sono, proprio come noi, degli esseri razionali e così, non diversamente dai loro predecessori fanno del proprio meglio per reagire alle sfide sociali nel modo più ragionevole, efficace e responsabile, e per trarre una strategia di vita ragionevole dalla cornice sociale in cui vivono.
Non hanno scelto loro (e tanto meno creato) questa “modernità liquida” in cui nessuna rappresentazione di se stessi, anche se di successo nell’immediato, è garantita a lungo termine; in cui ciò che oggi è irrinunciabile, è destinato già domani o dopodomani ad essere logoro. In altre parole, una condizione in cui mantenere aggiornata l’immagine di se stessi è un compito da ventiquattr’ore al giorno per sette giorni alla settimana.
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