Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per corriere.it
D ALEMA CUPERLO
Cuperlo, lei è votato alla sconfitta.
«No, ma questa volta la casa brucia, e ci sono battaglie che vale la pena combattere».
L’ultimo romantico.
«Diciamo idealista. Ingenuo, forse».
(…)
Quando vide D’Alema per la prima volta?
«Nel suo ufficio al secondo piano di Botteghe Oscure: lui capo della segreteria di Occhetto, io della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Alzò lo sguardo e mi chiese, secco: tu quanti libri leggi al mese?».
E lei?
«È la classica domanda che ti mette in difficoltà. Infatti non risposi».
Lei Cuperlo quanti libri legge al mese?
«Cinque o sei. Quasi solo saggistica».
Romanzi no?
«Meno. Ma ho passato il lockdown a rileggere I fratelli Karamazov e a guardare lo sceneggiato Rai. Corrado Pani, che da bambino avevo visto al Rossetti di Trieste, è un Dmitrij straordinario».
D ALEMA CUPERLO 11
Perché scelse D’Alema e non Veltroni?
«Ho sempre apprezzato il modo in cui Veltroni modernizzò la nostra comunicazione, e i vari modi in cui ora continua a fare politica. Ma mi pareva che attorno a D’Alema potesse nascere un partito più solido».
Qualcuno ha accostato la parabola di D’Alema a quella di Rimbaud nella canzone di Vecchioni: «E volersi fare male al punto di finire lui mercante d’armi...».
«Si fermi che ci querela».
Scherzi a parte: a Palazzo Chigi lei era uno dei Lothar, come li definì Maria Laura Rodotà. L’unico con i capelli. Gli altri erano Minniti, Velardi, Rondolino, La Torre.
SPARTITI - IL TITOLO DEL MANIFESTO SUL PD
«Non ero un Lothar e non solo per i capelli; tanto che all’inizio del governo D’Alema rimasi al partito, lavorai a Chigi solo gli ultimi sei mesi. L’errore loro fu di sostituire il partito con il leader carismatico; non a caso tutti i miei amici che lei ha citato sono rimasti affascinati da Renzi. Finì male allora, con l’11-4 alle Regionali del 2000; ed è finito male pure Renzi».
Con Renzi lei fu presidente del Pd.
«Per 32 giorni. Presi la parola in direzione per contestare l’accordo con Berlusconi sulla legge elettorale, il famigerato Italicum. Renzi mi liquidò in modo sprezzante: parla questo che in Parlamento è stato nominato. Mi dimisi. Mia figlia mi mandò un WhatsApp: “In 32 giorni nessuno avrebbe potuto fare meglio”. Aveva ragione lei a prendermi in giro, e torto io».
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Perché?
«Non bisogna essere permalosi, tanto più che ho continuato la battaglia da dentro il gruppo dirigente. Comunque dal partito non me ne sono mai andato».
D’Alema, Bersani, Speranza sì.
«E ora rientrano. Ero convinto che stessero sbagliando. Pensavano che il Pd con Renzi avesse perso l’anima in modo irreversibile. Non era vero».
Ora lei in Parlamento c’è tornato.
«Dopo quattro anni di cassa integrazione, all’inizio a zero ore».
Com’è andata?
«Scaduto nel 2018 il mandato, il tesoriere...».
Bonifazi.
«Il tesoriere mi disse, senza malizia, che per il mio bene non avrei percepito lo stipendio da funzionario del partito, pur continuando a lavorare. Cosa che ho fatto volentieri, consapevole che c’erano tanti cassintegrati messi peggio di me».
(…)
Conte è più attrezzato di voi a fare opposizione?
«Più che la Meloni, Conte sembra voler distruggere il Pd. Proprio come Renzi. Sono in questo congresso anche per aiutare a impedirlo».
(...)
Perché non va bene Bonaccini?
gianni cuperlo
«È un amico e lo stimo, ma dietro a lui come dietro a Elly vedo ripararsi tutto il solito e inamovibile establishment, quello che ha passato ogni temporale senza mai bagnarsi. E poi non credo al partito dei soli amministratori. Il doppio incarico, come ha dimostrato il caso Zingaretti, non funziona. Dobbiamo coinvolgere soprattutto gli amministrati. Il Pd va rifondato e aperto ai movimenti, alla società».
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