Da “Stilettate” – la newsletter di Antonio Sanfrancesco
MEME SU ZELENSKY A SANREMO BY CARLI
Pronti? Preparate i thermos di caffè che qui si fa notte (e senza neanche un Dopofestival per chiacchierar...). Ventotto canzoni (bruttarelle, dicono) in gara, superospiti italianissimi a go-go perché nell’anno della destra al governo il Sanremone deve essere rigorosamente autarchico. Lato polemiche siamo copertissimi: il video di Zelensky ha scatenato i partiti che litigano furiosamente, la Rai che non sa che pesci pigliare, Amadeus che si barcamena. La deputata di Fratelli d'Italia ce l'ha con Rosa Chemical e le derive gender fluid del Festival: «Basta propaganda a senso unico».
Sanremo è il selfie della nazione. Per la musica, perché non sono mai solo canzonette. Ma anche per il look e lo stile. Qualche volta ha anticipato le mode, altre l’ha solo rappresentate, consacrandole, sul palco più seguito d’Italia. Altre volte ancora ha suscitato scandali, proteste, indignazioni. Che magnifico frullatore! Ecco i look più iconici della storia della kermesse:
1951 e ’52, Nilla Pizzi.
nilla pizzi
Anni frizzanti, quelli del Dopoguerra. Sta per arrivare il miracolo economico. Sanremo nasce così: creare una competizione canora nazionale per rilanciare il turismo in Liguria. 29 gennaio 1951: il primo Festival della canzone italiana viene trasmesso solo in radio e vince una giovane Nilla Pizzi con Grazie dei fior la quale, dopo, confesserà candidamente: «Non sapevamo cosa fosse un Festival. Capimmo che era importante quando ci dissero di vestirci eleganti».
Nilla bissa il successo nel 1952 con Vola colomba quando si presenta sul palco del Casinò di Sanremo indossando un long dress nero, con scollo a cuore, gonna vaporosa e applicazioni in strass dal tenore decisamente romantico, ma condito da un tocco di glamour dato da ricami ricoperti di lustrini e paillettes. Non c’è ancora la Tv ma l’abito fa (già) il monaco e la Nilla nazionale ammicca a due delle icone fashion dell’epoca: l’eleganza bon ton e l’allure impeccabile di Grace Kelly e Audrey Hepburn. Le altre, quasi agli antipodi, sono Marylin Monroe e Ava Gardner con il loro sex appeal prorompente.
Una postilla su Vola colomba: non è una canzonetta d’amore ma politica. All’epoca Trieste non era italiana. Era divisa in zone di influenza: da una parte il blocco occidentale e dall’altra la Jugoslavia del maresciallo Tito, sempre pronto a dichiarare come e quanto il suo territorio slavo potesse prima o poi estendersi fino a tutta la Pianura padana. Cantando “Vola colomba bianca vola / diglielo tu che tornerò”, Nilla racconta la storia di due ragazzi triestini che, allontanati dalla divisione politica, affidano i loro pensieri d’amore a una colomba bianca in volo da una zona all’altra della città. Quasi un’anticipazione degli sms e delle chat!
1960 e ’61, Mina.
mina a sanremo nel 1961
I Sessanta rivelano un fermento nuovo, si vogliono scardinare le regole, anche nella moda e nell’arte. Non a caso debuttano gli abiti midi, i vestitini in versione tubino e le gonne cominciano ad accorciarsi fino al 1966, l’anno del debutto della mini ideata da Mary Quant. Le icone di stile di questi anni sono il volto sensuale di Brigitte Bardot e il fisico perfetto di Jane Fonda in Barbarella. A Sanremo arriva Anna Maria Mazzini, in arte Mina, e vince il Festival con Il cielo in una stanza indossando un abito in taffetà stretto in vita con una gonna, non a caso, che ricorda la corolla di un fiore. L'anno successivo canta Mille bolle blu con un abito ampio a pois realizzato dalla sua sarta di fiducia Rosetta Gussoni Reclari.
È rottura, non solo nel look (è la prima volta che l'abito fa pendant con la canzone). Mina non canta con voce ferma e postura sobria come negli anni Cinquanta ma interpreta, graffia, fa sognare. E il testo de Il cielo in una stanza manda in tilt i perbenisti quando l’autore Gino Paoli rivela che il soffitto viola è ispirato al colore dell’intonaco di alcune case per appuntamenti, chiuse ufficialmente nel 1958 ma evidentemente ancora presenti non solo nell’immaginario.
1969, Orietta Berti.
orietta berti a sanremo
All’Ariston intona Quando l'amore diventa poesia con un abito a strisce dal gusto futurista realizzato ad hoc per lei da Mila Schon. Ed è subito critica: «Si è vestita da strisce pedonali», dissero all'epoca, proprio perché con la Tv in bianco e nero il colore giallo non si vedeva. È un abito che, soprattutto nei colori, coglie i fermenti di quell’ultimo scorcio del decennio con i capelli che si allungano (anche per gli uomini), le giacche avvitate, i petti larghi, i pantaloni usati anche dalle donne e le scarpe di camoscio chiaro alte alla caviglia. Nasce, non studiata, la moda unisex. Ma Sanremo è ancora l'ultima ridotta della borghesia.
E infatti i giovani la contestano buttando le uova marce sulle pellicce delle signore come avevano fatto alla Prima della Scala di Milano il 7 dicembre 1968. Dario Fo e Franca Rame conducono addirittura un Controfestival. La gente si chiede: «Dove andremo a finire?». Una risposta arriva (anche) dal Festival con Iva Zanicchi e Bobby Solo che intonano “Prendi questa mano, zingara / dimmi pure che destino avrò”.
Se lo chiede non solo il protagonista della canzone, alle prese con un amore tormentato, ma anche l’Italia nell’anno della strage di Piazza Fontana, di scuole e università occupate e di “studenti e operai uniti nella lotta”, anno di contestazione delle scelte americane in Oriente perché "la NATO sarà il nostro Vietnam" e dell’uomo che muove i primi storici passi sulla Luna.
claudia mori adriano celentano
1970, Adriano Celentano e Claudia Mori.
I Settanta hanno questo di particolare: oscillano tra la rappresentazione dello stile in linea con il passato e propongono il futuro a colpi di provocazioni. Come quella del Molleggiato e consorte che vincono a Sanremo con Chi non lavora non fa l’amore e rompono l’ingessata liturgia festivaliera con un look che ammicca alla moda hippie del momento con i jeans a zampa e le zeppe che invadono gli armadi degli italiani.
Claudia Mori si presenta con chioma lunga oppure vaporosa e cotonata (s’inizia con il cambio acconciatura) e top con frange, minigonna cortissima e stivali lunghissimi. Addio look rigoroso e bon ton. E anche il brano scatena un putiferio: “canzone antisciopero” e “canzone crumira”, inaccettabile la supplica al “signor padrone” per avere un aumento di stipendio e salvare il matrimonio, protestano in coro sindacati, operai e politici. E a Firenze compare una scritta su un muro: “Celentano reazionario”. Il tutto nell’anno in cui entra in vigore lo Statuto dei lavoratori.
1984, Patty Pravo.
patty pravo a sanremo
Arrivano i nostri. Mechati, truccati, appariscenti, altisonanti, esagerati, sopra le righe, vacui. Ecco gli Ottanta in tutto il loro (effimero) splendore. Non a caso Renzo Arbore a Quelli della notte s’inventa la professione di lookologo – antesignana dei fashion influencer di oggi – affidandola a Roberto D’Agostino. Obiettivo: far apparire più trendy l’apparente. Anni di frange laccate, make up aggressivo, chiome maschili zeppe di gel, calze a rete, spalline enormi perché bisogna sembrare statuari e dal fisico scolpito anche se non si fa sport.
A Sanremo arriva Patty Pravo e canta Per una bambola. Colpisce il look, by Versace, che ammicca al Giappone. Un po’ geisha e un po’ samurai. L’abito in maglia di ferro, di colore argento, con un maxi ventaglio e un’acconciatura con taglio netto e un piccolo ovale sulla sommità della testa. Questo, peraltro, è uno dei tre abiti della cantante donati alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti di Firenze per la mostra "Donne protagoniste del '900", inaugurata il 12 novembre scorso.
1986, Loredana Bertè.
loredana berte a sanremo
Molto prima di Lady Gaga, la Bertè spariglia anche nel look presentandosi in Riviera con un vestito, by Versace, in total latex nero, spalline chiodate, un paio di strepitosi mezzi stivaletti e un finto pancione in favore dell’aborto, ostentato da lei e dalle ballerine che l'accompagnano nella coreografia ideata da Franco Miseria. È scandalo, le polemiche divampano e l’etichetta la molla stracciandole il contratto.
Lei, l’anno scorso, è tornata su quell’esibizione: «Un costume pazzesco. Per molti è stato un errore, ma per me no. Volevo dimostrare che una donna quando è incinta non è malata ma è ancora più forte! E poi cantavo un pezzo di Mango bellissimo Re: è stato il primo pezzo rock mai presentato al Festival. Il primo ad iniziare con una chitarra elettrica sul palco; solo Sting mi capì e mi disse passando: “Wow that's amazing”».
1986, Anna Oxa.
anna oxa a sanremo
Gli Ottanta sono gli anni di Veronica Ciccone, in arte Madonna. E una che si rifà a lei è Anna Oxa, in gara anche quest’anno, che porta sul palco dell’Ariston la moda di quegli anni con un pizzico di trasgressione. Infatti si presenta in (quasi) nude look sulla schiena (uno dei più sensuali che ci siano perché fa subito venire voglia di baciare chi lo sfoggia) con oblò sull’ombelico che resta scoperto. I capelli? Biondo platino, ça va sans dire, colore must degli Ottanta.
E la canzone? È tutto un attimo. A ben vedere, un manifesto perfetto di quegli anni: «Io che scambio l'alba col tramonto / E mi sveglio tardi nei motel / Sbadiglio sopra un cappuccino / E pago il conto al mio destino / È tutto un attimo / Io che firmo il nome come viene / Dormo spesso accanto al finestrino / Mi trucco il viso che ho deciso / E vivo il tempo più vicino / È tutto un attimo».
1991, Sabrina Salerno e Jo Squillo.
sabrina salerno e joe squillo a sanremo
Rotti gli argini, il fiume è dilagato. Chi sperava di archiviare immagine, effimero, vacuità deve ricredersi. I Novanta amplificano tutto quanto il decennio precedente aveva portato a galla consacrandone l’inaffondabilità, a cominciare dalla Tv. È l’ultimo anno della Prima Repubblica e a Sanremo arriva un duo inaspettato: Sabrina Salerno, con un bikini lamé – il primo e (finora) unico due pezzi della storia del Festival – e Jo Squillo in mini abito aderentissimo rosa e calze a rete. Cantano Siamo donne, oltre alle gambe c'è di più, un manifesto più provocatorio che femminista. Sono gli anni delle super top model sexy e perfette, da Cindy Crawford e Claudia Schiffer.
2001, Elisa. Est modus in rebus.
elisa
Sbiadiscono le influenze dei Novanta e arriva una ventata glamour e tanta voglia di haute couture. Pochi look provocatori, si riscoprono mise principesche e abiti da sera lunghi, da red carpet. Sobrietà e minimalismo portate sul palco da Elisa che vince quest’edizione con Tramonti (luci a nord est) indossando un lungo abito bianco da gran soirée e capelli sciolti oppure una mise minimale composta da pantaloni morbidi e t-shirt a maniche lunghe, capi che disegna personalmente, per la sua esibizione.
Lo scopo, come spiega lei stessa, è quello di apparire discreta e non distogliere l'attenzione dalla canzone. Un look sobrio e total white che ha riproposto anche l'anno scorso quando si è classificata seconda con O forse sei tu.
2012, Belen Rodriguez.
belen rodriguez a sanremo
Non canta, ma incanta. La showgirl argentina conduce il Festival con Gianni Morandi e nel solcare la scalinata più famosa d’Italia indossa un abito bi-color di Fausto Puglisi che diventa il caso mediatico dell'anno per via del pronunciatissimo spacco inguinale che fa intravedere una farfallina tatuata in zona pericolosa. Le immagini, naturalmente, rimbalzano in Rete e lo “scandalo” sexy è servito con annesso dibattito social: e le mutandine? Ah, saperlo…
2020, Achille Lauro.
Anno ultimo primo della pandemia. Achille Lauro, con la complicità di Alessandro Michele e di Gucci, cattura i riflettori dell’Ariston e la stampa con una serie di look ispirati a quattro personaggi iconici: San Francesco, David Bowie, la marchesa Luisa Casati Stampa e la regina Elisabetta I Tudor. Risultato: tutti parlano di lui sui social.
achille lauro a sanremo