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    EDITORIA IN ALLEGRIA - DAL SAI BABA DI CRAXI A D’ALEMA: FARSI COMPRARE I LIBRI GRAZIE A UN MODESTO TRAFFICO DI INFLUENZE NON È REATO MA UNA MISERIA CHE CAPITA DA ALMENO 2 REPUBBLICHE


     
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    Pino Corrias per il “Fatto Quotidiano”

       

    Massimo Dalema Massimo Dalema

    Come al solito il povero Massimo D’Alema non inventa, ma replica antichi riti. Farsi pubblicare libri con dentro scritto niente e venderli grazie a un modesto traffico di influenze non è un reato. È un’abitudine. Anzi una miseria: un banale esercizio di potere di chi distrattamente fa flessioni sull’ampia stuoia della comune ipocrisia. Nelle nostre patrie lettere capita da almeno due Repubbliche.

       

    Nella prima imperversava un tale Giulio Andreotti che passava per una penna arguta. Regolari come certi lampi in Sicilia, i suoi “Visti da vicino” illuminavano il suo sorriso senza labbra elogiato in primo piano da conduttrici televisive illanguidite. Ma lasciavano in ombra la sua ombra. Critici elogiavano il manufatto. Storici lo delibavano anno per anno. Il pubblico plaudiva e qualche volta persino comprava. Dietro Andreotti tante altre grisaglie marciavano con musiche di fiere letterarie compiacenti, tipo l’indimenticabile Giovanni Spadolini che sfornava pagine risorgimentali e di storia patria a ogni plenilunio, tipo “In diretta col passato”, “Gli uomini che fecero l’Italia”, eccetera.

    ANDREOTTI VISTI DA VICINO ANDREOTTI VISTI DA VICINO

     

    Con una pertinenza scientifica di cui purtroppo non è rimasta traccia. Ma sono stati i soliti turbo socialisti a farsi largo a spallate tra quei valzerini di carta, quei reciproci inchini di eccellenze letterarie. In un radioso giorno del 1989 il Provveditorato agli studi di Milano inviò agli studenti 28 mila copie di un’opera intitolata Viaggio da io a noi, scritto nientedimeno che da Antonio Craxi, il fratello di Bettino regnante, e da una certa Sylvie, ex modella francese, sua compagna di cui le cronache neanche riportano più il cognome, peccato, trattandosi di un libro ormai introvabile, un compendio delle sciocchezze spirituali estratte dal divino Sai Baba, reincarnazione vivente dell’amore universale, oltre che di numerose Rolls Royce, per il nirvana pop dei materialisti d’Occidente.

     

    BONDI BONDI

     Libro che a quei bei tempi uscì con più sponsor che cervello. Lo raccomandavano, nelle prime pagine della prefazione, la Fininvest, le aziende della famiglia Ligresti, gli assessorati all’Istruzione di Comune, Regione e Provincia, nonché Paolo Pillitteri, il sindaco cognato.

       

    IL BLITZ cartaceo suscitò serissime polemiche e effetti comici. Visto che al primo putiferio sui giornali quell’opera monumentale (con citazioni tipo: “l’amore è frutto d’altruismo”) rimase senza più padri. Antonio dileguò offeso nel suo Oriente. Sylvie, come s’è detto, smarrì il cognome. Il provveditore agli studi Enzo Martinelli giurò che non ne sapeva nulla di quel tomo, “non sono mica la Santa Inquisizione”, figurarsi se l’aveva letto. Sponsor e assessori fecero spallucce. Bettino non fiatò. Unici a trarne vantaggio, gli studenti, che si tennero in tasca le 24 mila lire richieste, da investire più utilmente in birrette, fumo e baci. Ma in un certo senso quel trascurabile pasticcio di carta impresse ai nostri politici scrittori il suo insegnamento più autentico e forse più spirituale: non vergognatevi di nulla. E perciò avanti con romanzi, aforismi, poesie. Oltreché saggi di storia, filosofia, religione. Il meglio della nidiata del Terzo millennio – tolti Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Maurizio Gasparri che usufruiscono di una speciale classifica segnalata da strisce gialle – è

     

    sathya sai baba sathya sai baba

    Roberto Formigoni, inarrivabile con il suo “Il buon governo”, immaginiamo scritto nelle numerose case che non ha, su barche non sue, durante vacanze che non paga. Un genio dell’economia domestica e di quella nazionale. Come il suo lieto collega, l’economista creativo Giulio Tremonti che qualche libro elaborato nei paradisi fiscali di Sondrio l’ha venduto, una manciata perfino alla cooperativa Concordia, a conferma che se “con la cultura non si mangia”, almeno qualche volta si riesce a brindare.

       

    Per non parlare del nostro personale preferito, Sandro Bondi – nove titoli all’attivo compreso un inspiegabile “Perdonare Dio” – che da gran tempo va metabolizzando certe sue autentiche afflizioni da quando ha scoperto che Forza Italia non è un partito e che la casa di Silvio Berlusconi non è un albergo. Stavolta ha deciso di lasciarsi tutto alle spalle, tranne la memoria e la penna che d’ora in avanti cavalcheranno insieme.

     

    Massimo D’Alema– scivolato anche lui nell’archivio degli errori storici con punto esclamativo incorporato a dirci il generale stupore – vorrebbe fare altrettanto. Salvo che nominandosi “pensionato di campagna” ci ha voluto aggiungere a tutti costi quel vorrei ma non posso del vino prodotto in proprio, il Narnot. L’effetto, per somma ingratitudine della Storia e per incidentale intercettazione, rischia di diventare la buona trama di un libro che non scriverà.

     

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