Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
THE PROGRAM ARMSTRONG
Il più colossale imbroglio dello sport moderno è diventato un film: inevitabile. Il protagonista è un autentico sosia anche ciclistico dell’eroe fasullo Lance Armstrong, e fa impressione scovare nel sottofondo dello sguardo dell’attore Ben Foster lo stesso torbido mistero, l’identica luce cupa di quando pareva impossibile, assurdo, inumano scrutare le pupille gelide, quelle vere, di Lance, e non credere alla sua leggenda. Tutto era troppo perfetto, e necessario a tanta gente malata di cancro. Invece c’era il trucco.
Il regista inglese Stephen Frears, non uno qualunque ( My beautiful laundrette, The Queen, Philomena ) non sapeva quasi nulla di ciclismo, però in appena un anno di lavorazione ha saputo costruire The program , in uscita in Italia a ottobre: una vicenda, un mondo e uno scenario molto credibili, anche se la storia è proprio come la si immaginerebbe, didascalica.
Si comincia con Lance ragazzo, che prima del suo primo Tour gioca a calciobalilla col direttore sportivo e segna un gol irregolare: l’inganno è dentro di lui. Nonostante qualche marchiano errore di grammatica ciclistica (Armstrong accolto come uno sconosciuto nel gruppo, e dileggiato, nonostante indossi la maglia iridata), la rappresentazione è fedelissima soprattutto nelle immagini, nella postura in sella, nella gestualità del protagonista: sono riusciti addirittura a farlo pedalare come Lance, con i talloni un po’ all’infuori e il nodo ingobbito di muscoli in salita.
LANCE ARMSTRONG
Le scene in corsa sono splendide, circostanza assai rara nei film a soggetto sportivo. Sulle bici hanno messo piccole telecamere e questo rovescia la prospettiva; il resto lo fanno il direttore della fotografia Danny Cohen ( Il discorso del re ) e una colonna sonora adrenalinica e rockettara.
The program (in un cameo c’è pure Dustin Hoffman) rimette molte dita nelle piaghe. Siccome si basa sull’ottimo libro del giornalista irlandese David Walsh ( Seven deadly sins: my pursuit of Lance Armstrong , anche questo in uscita in Italia per Sperling&Kupfer), cioè colui che non credette alla pulizia della trama mitica e la smontò, pezzo dopo pezzo, anche nel film le due storie (il campione bugiardo, il cronista testardo) procedono parallele.
Isolato dai colleghi, trattato come uno che sputa nella zuppa dove mangiano tutti, davvero Walsh ricorda i pochissimi giornalisti che seppero mantenersi in direzione ostinata e contraria, come ad esempio il nostro Eugenio Capodacqua. Avevano ragione loro, e noi non gli abbiamo creduto.
THE PROGRAM ARMSTRONG 1
Il film su Armstrong è spietato nel mostrare le sacche di sangue in frigo, le spaventose pratiche nei camper dei corridori - trasfusioni volanti, aghi come spade nella carne, siringhe nascoste nelle lattine vuote e nelle scarpe da ginnastica, bici vendute per comprarsi l’Epo - e la protervia con cui Lance ripete davanti allo specchio il suo mantra («Mai scoperto positivo a un controllo antidoping ») per poi dirlo al mondo, ricevendo pure applausi, gloria, milioni di dollari.
Fa riflettere la figura di Michele Ferrari, il dottor Stranamore del doping, nel delirio di credersi uno scienziato moderno, all’avanguardia («Non più prigionieri dei limiti della fisiologia!»), invece dell’alchimista che era. The program restituisce alla perfezione l’omertà di un mondo che temeva di perdere privilegi e decime feudali: corridori, massaggiatori, direttori sportivi, medici, giornalisti. Non si salva nessuno, sebbene la storia non abbia grande spessore psicologico e alla fine diventi un fumettone, un western dove qualche ex cattivo si converte, confessa e diventa buono (il ciclista Floyd Landis).
filippo simeoni lance armstrong x
Probabile che il film non farà troppo bene al ciclismo, mostrando le scatole di Epoetin Alfa, più ossigeno nel sangue e più benzina in bicicletta, ma è stato per primo il ciclismo a non farne a se stesso. Se poi questo magnifico sport è davvero cambiato, speriamolo ma senza crederci del tutto, perché chi si è bruciato con l’acqua bollente ha paura anche di quella fredda.
le vittorie di lance armstrong
Di sicuro, la pellicola avrà successo perché non manca di ritmo e forza epica, cominciando da Lance in sala operatoria, prima che il trapano gli buchi il cranio e il chirurgo gli porti via il tumore. Poi c’è lui magrissimo, quasi una larva in cerca di risurrezione, e il resto è il tappeto di una vita che si srotola e infine si rivela per quello che era, cioè non era. «Questo dimostrerebbe che il mondo è una montagna di merda». Perché di campioni che hanno barato ce ne sono stati tanti, e tanti ce ne saranno.
Lance Armstrong
SHERYL CROW E LANCE ARMSTRONG
Nessuno, però, era diventato la bandiera dei bambini ma-lati, il finanziatore della ricerca oncologica, una fotografia appesa negli ospedali per dare forza a chi crede di non averne più. Ecco, The program rende bene lo spaesamento, insieme all’ovvia realtà che non siamo solo leggendari, non siamo solo mostruosi, tutto è più complicato. Alla fine della corsa, siamo misteri senza traguardo.
LANCE ARMSTRONG SHERYL CROW
LANCE ARMSTRONG SHERYL CROW LANCE ARMSTRONG LANCE ARMSTRONG DURANTE LE CURE PER IL CANCRO LANCE ARMSTRONG LANCE ARMSTRONG OSPITE DI OPRAH WINFREY