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    DA ORIENTE CON TIMORE: LE BORSE SUBISCONO L’AVANZATA DELLE POLITICHE CINESI AI DANNI DEGLI USA E LA PAURA DI UN FLOP GIAPPONESE


     
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    Giampaolo Visetti per "La Repubblica"

    Shinzo AbeShinzo Abe

    La doccia gelata sulla Borsa di Tokyo e sulle altre piazze finanziarie non piove solo da Pechino. Puntare il dito sulla Cina, può servire a rassicurare gli investitori, ma gli analisti sanno bene che il ciclone scoppiato ieri in Asia si è formato molto più al largo.

    Il rallentamento dell'attività manifatturiera, che nel Dragone in maggio ha fatto registrare il primo stop degli ultimi sette mesi, con l'indice Pmi sotto quota 50, indica evidentemente che l'era della crescita infinita a doppia cifra si è, fortunatamente, esaurita. La Cina però, anche nel 2013, continua a crescere attorno all'8% e nessun operatore finanziario può dirsi seriamente preoccupato dal percorso a medio termine di Pechino.

    SHINZO ABESHINZO ABE

    Ad allarmare Tokyo e l'Occidente sono piuttosto le notizie interne provenienti dal fronte Abenomics, oltre i venti di un nuova guerra dei brevetti tra Cina e Usa. Un rapporto americano, dopo la parole di ieri di Bernanke, mette Pechino sotto accusa, tacciata di aver sottratto brevetti alle aziende americane che in cinque anni sono costati 300 miliardi di dollari.

    Haruhiko Kuroda governatore della banca centrale giapponeseHaruhiko Kuroda governatore della banca centrale giapponese

    Le indagini, condotte dall'ex ambasciatore Usa in Cina, Huntsmann, hanno evidenziato che tra il 50 e l'80% delle violazioni sono riconducibili a Pechino, con un danno da 2,1 milioni di posti di lavoro negli States. Una provocazione, ma a poche settimane dal primo vertice tra il presidente cinese Xi Jinping e Barack Obama, in California per preparare il G20 di settembre, le due superpotenze sono impegnate a costruire dossier politicamente populisti, da consegnare poi al negoziato tra i leader.

    BANCA CENTRALE DEL GIAPPONEBANCA CENTRALE DEL GIAPPONE

    Gli analisti cinesi sottolineano poi un altro fattore: la Cina rallenta ormai da un biennio, il trend è ampiamente previsto ed è già stato scontato. Proprio gli investitori stranieri hanno chiesto a Pechino di raffreddare crescita e cambio, per favorire lo sviluppo del terziario, delle importazioni e dei consumi interni. È questa la ragione per cui cala l'attività manifatturiera cinese: Europa e Usa assorbono meno merci e i maggiori costi di produzione in Cina, per effetto della sindacalizzazione, fanno fuggire le multinazionali verso Paesi ancora più competitivi, come Bangladesh, Vietnam, Cambogia e il resto del Sudest asiatico.

    Il dato, letto correttamente, risulta dunque modificato: frena la manifattura made in China, ma cresce la produzione ancora più competitiva nelle nuove "fabbriche del mondo" dell'Asia. Il timore inconfessabile scontato ieri dall'indice Nikkei, il peggiore dopo quello seguito alla crisi atomica di Fukushima nel 2011, è che i dati strutturali dell'economia giapponese non possano alimentare a lungo l'euforia delle ultime settimane.

    ben bernanke-mario draghi-tim geithnerben bernanke-mario draghi-tim geithner

    Una battuta d'arresto, dopo i picchi d'inizio settimana, era nelle previsioni. Però si sono sommati due fattori decisivi: la crescita dei rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni, che ha costretto la banca centrale a intervenire con 19 miliardi di dollari, e la frenata dell'indice Hsbc cinese.

    Per la prima volta da mesi scricchiolano cioè i fondamenti dell'osannata Abenomics. Lo stesso premier Shinzo Abe ha ammesso che l'obiettivo di alzare l'inflazione al 2% non potrà essere conseguito in un biennio, ma forse in un medio periodo. L'uso del debito nazionale per finanziare altro credito interno, non convince poi né gli Usa nè la Ue, dove i debiti non sono autofinanziati, ma venduti all'estero.

    Banchieri Centrali Shirakawa Bernanke Trichet Draghi KingBanchieri Centrali Shirakawa Bernanke Trichet Draghi King

    Un incrocio di dubbi e problemi che, data la dipendenza di Tokyo dalle esportazioni, potrebbe portare ora ad una revisione al ribasso delle stime di crescita del Pil nipponico nel secondo trimestre dell'anno. Non è dunque l'atterraggio cinese a spaventare le Borse: Pechino è solo l'ultimo dei fantasmi che si aggirano sull'Asia, dove l'escalation della tensione tra le due Coree, con i venti di guerra nel Pacifico, sottraggono la prevedibilità e la stabilità necessarie a dare ossigeno agli investimenti.

     

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