Il dibattito sulle riforme istituzionali e sulle modifiche alla legge elettorale sta ormai entrando nel vivo. Ma a ben guardare, il vero obiettivo di Letta e Alfano su questo versante, sarebbe in realtà quello di fare del tema riforme la vera ‘arma' di difesa del governo, che trova proprio in questo percorso, oltrechè negli impegni economici già presi dal premier con l'Europa, la migliore argomentazione per preservare le propria esistenza.
LETTA E ALFANORiforme e tempi lunghi.
I fili del percorso riformatore sono noti: da una parte si costruisce un iter parlamentare sotto la sorveglianza della "colomba" Quagliariello e dall'altra si cerca di trovare una norma transitoria che corregga l'attuale legge elettorale, con l'obiettivo di sterilizzare qualsiasi tentazione di ritorno al voto in tempi troppo stretti. La "correzione" non e' digerita da larga parte del Pd, nonostante le pressioni di Franceschini e Letta in senso contrario, proprio perché consegnerebbe, in caso di precipizio elettorale, un quadro politico senza un vincitore certo.
Infatti, con Grillo fuori da ogni scenario di alleanze possibili, nessuna coalizione nelle condizioni attuali potrebbe raggiungere il 40% ipotizzato come soglia e - anche con l'abolizione del premio di maggioranza- l'unico governo possibile sarebbe quello di larghe intese Pd-PdL: ovvero un governo che esiste già e senza alcun bisogno di nuove urne.
L'altra ‘clausola di salvaguardia' del governo Letta e' costituita proprio dalla complessità del percorso scelto per fare le altre riforme istituzionali, ovvero modificare - tra le altre cose - la forma di governo e il bicameralismo. E quindi l'istituzione del comitato dei quaranta, formato dai componenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, e poi la costituzione del gruppo di esperti con potere consultivo scelto dal Governo, e ancora l'iter parlamentare e poi la scelta del referendum alla fine del percorso. Passaggi macchinosi, che hanno bisogno di tempi distesi: quei famosi due anni su cui Letta ha traguardato la durata (e il successo) del suo governo.
GUGLIELMO EPIFANI ENRICO LETTA NEL DUEMILATRE FOTO LAPRESSEberlusconi e alfanoL'asse contro il bipolarismo
Ma se è evidente che l'interesse di Letta e Franceschini sia la sopravvivenza dell'esecutivo e che il percorso riformatore, necessario, non debba essere troppo d'intralcio all'azione di governo, meno evidente e' che proprio dietro tali scelte di natura istituzionale, si possa nascondere anche un disegno politico di ben più ampio respiro. Nessuno infatti sa davvero se la norma transitoria che dovrà correggere il porcellum sarà quella descritta o un'altra. Ma è chiaro a tutti -viste le considerazioni del Quirinale e i rilievi della Consulta - che qualsiasi correzione della legge attuale verrà scelta, andrà nella direzione di rendere il sistema elettorale meno maggioritario, alla faccia del bipolarismo di cui tutti hanno disquisito per vent'anni.
Pd e Pdl al capolinea?
C'e' allora qualcuno che comincia a chiedersi se, dietro queste scelte, non ci sia solo una volontà temporeggiatrice. Ovvero, tenere in vita questo governo cercando magari di "pescare" delle scelte economiche che ne aumentino il consenso nel Paese, e vedere nel frattempo che succede nella fisiologia di PdL e Pd, partiti che sembrano a molti fra gli stessi esponenti, al capolinea. Non è un segreto infatti che siano in vertiginoso aumento quanti iniziano ad accarezzare, tra i corridoi di Camera e Senato, un grande disegno neocentrista che, come una araba fenice, risorgerebbe dai resti dei due partiti che si sono combattuti in questi anni.
Il Pd è alle prese con una crisi che il dopo voto -dalle nottate quirinalizie in poi- ha solo continuato ad aumentare, con una crisi di consensi senza precedenti. E così Epifani rischierebbe solo di fare il notaio che certifica la fine della ‘ditta'. Non e' un caso infatti che da giorni si parli apertamente di uno slittamento ulteriore del congresso. L'obiettivo non sarebbe solo quello di evitare fibrillazioni al governo, ma proprio il mantenimento dello stato comatoso in cui versa la creatura democratica, fino a portarla alle estreme conseguenze.
DARIO FRANCESCHININuovo grande centro.
A destra invece tutto ruota intorno a Berlusconi. Che magari in questi due anni di governo, o per le sue vicende giudiziarie o perché non più in grado di offrire al centrodestra una premiership credibile e a pieno servizio, anche per raggiunti limiti di età, potrebbe decidere di uscire di scena. E se cosi' fosse, nel PdL ci sarebbe una rivoluzione di cui nessuno conosce gli esiti. A questo punto l'idea di una aggregazione neocentrista che metterebbe insieme pezzi del PdL, cio' che resta di Scelta civica e pezzi della decomposizione del Pd, potrebbe diventare davvero concreta, togliendo le castagne dal fuoco anche a quanti -tra gli azzurri- paventano la disgregazione del partito, nell'era post Cavaliere.
E se anche c'e' qualcuno che spergiura che Enrico Letta consideri la sua esperienza di leader politico nazionale finita con il termine del suo governo, perché interessato solo a proiettarsi sullo scenario europeo, nessuno si sente di escludere che a quel punto la leadership della nuova forza politica di centro, che federerebbe tutti i moderati, sarebbe già pronta. Basterebbe infatti apporre la foto della frontline del governo attuale per vederla concretizzarsi. Letta, Franceschini, Alfano, Lupi e altri che da una certa storia vengono e che potrebbero, a quella storia, ridare vita.
Incognita Renzi.
Fantapolitica? Nessuno lo sa, soprattutto perchè all'appello manca un nome. Quello di Matteo Renzi. La provenienza politica è la stessa. Ma non e' detto che l'approdo debba essere il medesimo. Anzi, visto il convinto credo bipolare del sindaco di Firenze, Renzi potrebbe essere di fatto l'ultimo baluardo per chi crede ancora nel valore dell'alternanza, mettendosi esattamente di traverso al sogno di una nuova Dc.
E forse, il migliore alleato del cattolico Renzi, potrebbe diventare molto presto la sinistra del Pd che investirebbe nella sua leadership proprio per salvare il sistema bipolare e le proprie chance di forza di governo. In Transatlantico si trova già qualche giovane turco che non nega affatto questa possibilità.