Di Federico Ercole per Dagospia
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Risulta troppo marziale, un segno dei tristi tempi, la traduzione italiana di “Aratanaru Mirai”, la lunga espansione di Xenoblade Chronicles 3 che funge da epilogo alla trilogia sebbene si svolga assai prima del finale del gioco radicale e definitivo di Tetsuya Takahashi e Monolith Soft uscito la scorsa estate per Switch Nintendo. In giapponese potrebbe significare “un nuovo futuro” o meglio “un futuro rinnovato” ma sarebbe stato più indicato, considerando le innumerevoli speculazioni teologiche di Takahashi, ispirarsi alla traduzione del titolo inglese “A Future Redeemed” e nominare l’espansione un “futuro redento” o “salvato”; tuttavia il titolo non muta la sostanza filosofica di quello che risulta un videogame unico, una più che prolungata coda di una saga fuori dai confini dell’ordinario, spoglia di ogni banalità e trasgressiva nella sua fantascientifica allegoria.
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Attraverso tre decine circa di ore di gioco Un Futuro Riconquistato conclude in maniera esemplare tutto il tessuto narrativo dei tre xeno-giochi, e per questo risulta comprensibile solo da chi li conosce più che bene e non ignora lo spin-of Xenoblade X e neppure Xenogears e la trilogia di Xenosaga, perché anche chi frequentò il primo e il secondo Xenoblade anni addietro potrebbe considerare ermetici alcuni segmenti. Si può rimediare alla memoria infranta leggendo una sintesi di quelle opere. Un Futuro Liberato trascorre conciso in una maniera illusoria solo se comparato alla mole degli altri episodi, ma è un’opera densissima che non accelera ma mantiene il suo tempo con rigore, con l’idea che il gioco con la sua esplorazione, le sue battaglie e le sue derive opzionali sia funzionale alla narrazione in un contrappunto austero e giusto.
DAL PASSATO QUALSIASI ESSO SIA
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Siamo secoli prima degli eventi narrati in Xenoblade Chronicles 3, sempre ad Aionios (senza inizio e fine), questo mondo sorto dalla fusione di due mondi dove i giovani creati per “durare” solo dieci anni sono costretti a combattere una guerra insensata, solo per essere mietuti infine come nutrimento per esseri divenuti ancestrali che vivono un eterno presente. Ma c’è anche chi sfugge a questa schiavitù, esseri liberi e per questo perseguitati, avversati e schiacciati, così da questi nasce un moto di ribellione che si attuerà solo nel finale del gioco principale.
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Anche nell’espansione c’è l’esaltazione di una diserzione intesa come atto eroico e liberatorio, l’allontanarsi dagli eserciti come motore primo di una guerriglia partigiana per il destino dell’umanità tutta. Ritornano, ed è bellissimo, anche i due protagonisti del primo e del secondo Xenoblade Chronicles, ovvero Shulk e Rex, ormai maturi e feriti ma non nello spirito, consapevoli e combattivi con un’aura che appare quasi di santità, se non mantenessero un’umanissima indole, fino alla fine.
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C’è inoltre ancora più che nell’originale l’idea di uno status quo che si mantiene con arroganza divina, ignaro della sua follia e della sua vecchiezza, qualcosa di mostruoso e aberrante che si illude di essere eterno, calpestando la vita per eternarsi.
Sebbene i panorami siano noti, le immense zone da esplorare sono nuove e meraviglianti nel loro titanismo naturale e architettonico, uno spazio impossibile ma plausibile di terre che si sono schiantate su altre terre, di colossi pietrificati che diventano assurdi e magnifici rilievi montuosi. Sempre sublime è la partitura immane di Yasunori Mitsuda eseguita dall’orchestra filarmonica di Tokyo, sia quando accompagna viaggi notturni, mattutini, piovosi o nebbiosi, sia quando esalta le lunghe sequenze animate non interattive realizzate con la stessa perizia “cinematografica” del gioco principale.
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SIMILE MA NON TROPPO
Le dinamiche ludiche di Un Futuro Riconquistato derivano dal gioco principale sebbene vi siano differenze sostanziali nell’evoluzione dei personaggi le cui abilità, accessori e gemme potenzianti qui migliorano tramite il reperimento di oggetti speciali sparsi per il mondo, cosa che spinge ad esplorare tutto con particolare attenzione e a portare a compimento ogni missione secondaria.
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Assai interessante è anche l’idea di assemblare artifici tecnologici per raggiungere zone inaccessibili o di potenziare le armi di ciascuno fino a raggiungere livelli offensivi molto elevati. Non ci sono più le “classi” determinate dalla presenza degli eroi ma non è un male, perché durante queste poche decine di ore di gioco i protagonisti risultano così singolari e definiti nella loro qualità distintiva.
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Un Futuro Riconquistato possiede la malinconia inevitabile della fine di una grandissima storia ma al contempo favorisce un sentimento di gioiosa anticipazione, il presagio di un nuovo inizio non solo per gli abitanti di questo mondo contorto, infranto, riassemblato più volte ma per l’opera prossima di Takahashi e Monolith Soft che chissà verso quali vette si muoverà ora che Xenoblade Chronicles è davvero concluso.
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