Federico Ercole per Dagospia
Il vuoto è fuori, dentro e oltre lo schermo, in una realtà oggi e domani aptofobica per necessità, nella psiche desolata dall’emergenza e in quell’altra composta di numeri al confine tra il visibile e l’invisibile, dove in una terra in coma che sogna l’utopia di un risveglio si muovono isolati gli antichi, colossali dei senza più devoti.
shadow of the colossus
Eppure l’amore ci muove ancora un volta, alimenta la speranza, frena l’orrore della solitudine e mentre il microscopico ci annichilisce, chiusi nelle nostre case anelando un’estate salvifica, torniamo a giocare, o meglio “vivere”, Shadow of the Colossus di Fumito Ueda, disponibile gratuitamente per gli abbonati al servizio PS Plus di Playstation 4. Così giocare non è più fuga, non è egoismo, non è passatempo ma una riflessione sullo spazio evacuato dalla vita, nel sogno di una resurrezione.
shadow of the colossus
Non c’è migliore opera elettronica di questo epicedio, petrarchesco in maniera casuale o forse no nella rappresentazione della fine della bellezza, da esperire in questi giorni di paura e lontananza, di dubbi e struggenti aneliti. Perché Shadow of the Colossus è una epopea sulla volontà incrollabile, sulla tenacia, sul sogno di sconfiggere la morte che sfida la naturale crudeltà dell’innaturale, della rivincita dell’umano sull’incomprensibile. Potremo essere sconfitti a nostra volta, ma la lotta non sarà invano e la vita, congelata dall’agonia letargica di dei che non vogliono morire, si emanciperà infine dalla terrificante stagnazione del tempo.
shadow of the colossus
UCCIDERE GLI ANTICHI DEI
Uscito originariamente nel 2006, per la ventennale Playstation 2, lo Shadow of the Colossus che possiamo giocare approfittando dell’abbonamento Sony è il remake di due anni fa realizzato con un rigore dell’imitazione estremo da Bluepoint Games. Si tratta quindi di un gioco identico all’originale, una sovraimpressione amorevole che si limita ad aggiungere nuove, ultra-definite texture all’immagine storica, con variazioni minime nel sistema di controllo.
shadow of the colossus
Ecco il protagonista Wander che cavalca verso le terre proibite, giungendo tra le immani vestigia di un tempio al centro di queste lande escluse all’uomo per resuscitare l’amata estinta. Solo uccidendo i sedici dei che abitano pacificamente dominanti le regioni quasi immote di questo spazio metafisico, Wander potrà restituire l’anima al suo amore perduto. Cominciamo così un’avventura straordinaria eppure dolorosa, durante la quale ci limitiamo a viaggiare per lande vaste, desertiche o paludose, boscose o rupestri, per trovare il prossimo dio e annientarlo in una lunga tenzone tra minuscolo ed enorme, quasi come se fossimo noi dei microscopici virus, la malattia che scardina quelle divine illusioni di vita.
shadow of the colossus
Il dolore scaturisce dal sentimento di pietà causato dalle uccisioni di entità maestose nella loro terribile bellezza, dalla consapevolezza di compiere qualcosa di sbagliato e blasfemo. I sedici colossi hanno forme varie e bestiali di primati abnormi, di equini e bovini, di uccelli e draghi, di pesci e dinosauri, infine di gargantueschi totem quasi antropomorfi.
Tuttavia meravigliati dal terribile splendore andiamo avanti implacabili nel nostro compito di distruttori, impegnati in scontri sempre più epici, lunghi e complessi, scalando i corpi titanici delle mistiche creature e immergendo la spada nei loro punti deboli, perché ciò è necessario. Disperati per amore, diveniamo gli “infrangitori dei vecchi idoli” come oltre-uomini di Friedrich Nietzsche, affinché sia l’umanità a tornare ad esistere al posto del disumano. E così facendo, inevitabilmente, guardiamo nell’abisso, con le note conseguenze del nostro eretico eroismo. Consapevoli che pagheremo questo affronto all’insondabile, combattiamo comunque, non Davide contro Golia ma Spartaco contro l’Impero.
shadow of the colossus
L’ARTE LENTA DEL VIAGGIO
Siamo abituati a mondi elettronici dalla densità barocca di elementi dalla talvolta effimera utilità ludica, di segnali, di mappature artificiali. In Shadow of the Colossus c’è solo il raggio della spada a indicarci la direzione sommaria del nostro prossimo obiettivo, e il viaggio diviene così una prolungata, stupefacente attività contemplativa e riflessiva, perché ci lascia il tempo di pensare e meditare, di osservare il panorama e trovare una strada tra le sue asperità.
Anche nel suo sonno innaturale, nella sua quiete mistica ed esangue, la terra proibita di Shadow of the Colossus è uno degli ambienti virtuali più “veri” che si possano esplorare, tappeto fertile per immaginari venturi e diversi ma corrispondenti per la lingua esplicita e non solo decorativa del panorama rappresentato, come quelli di Hidetaka Miyazaki e i suoi Dark Souls, Legend of Zelda Breath of the Wild e infine Death Stranding di Hideo Kojima.
shadow of the colossus
Seconda opera in ordine cronologico di Fumito Ueda tra le comunque altissime Ico e The Last Guardian, Shadow of the Colossus è il vertice artistico del pensiero ludico di questo autore che ci ha fatto giocare con l’empatia più di chiunque altro, che ci ha insegnato come giocare con lentezza e ha trasformato la vertigine in una conseguenza della quiete e non di un’attività convulsa e agonistica.
shadow of the colossus
Sospeso tra l’estasi della distruzione della vittoria sul divino e la contrizione per avere eliminato qualcosa di magnifico, Shadow of the Colossus contiene anche un’altra grande e spaventosa lezione: Il vuoto è solo l’ultima illusione ma l’illusione è comunque anch’essa realtà; non dobbiamo avere quindi orrore del vuoto, ma capirlo e rivelarlo anche quando fa male, affinché non ci divori con le inesplicabili fauci della sua disumana nullità.