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Federico Ercole per Dagospia
“Coscritto”, che parola spaventosa, proveniente da tempi non troppo remoti in cui questo marchio di morte, lo stigma di un sacrificio inevitabile sull’altare di quel quel mostro gelido e informe che è lo Stato (secondo la visione di Friedrich Nietzsche) pose su generazioni di giovani per mantenersi negli affari di guerra. L’obbligo di leva del quale qualche volta uno, due, tre ma sempre troppi scellerati al potere tornano a blaterare anche qui, vecchi al sicuro nei loro eventuali luoghi di comando che sarebbero pronti a nuove stragi di innocenti che mai in vita loro avrebbero voluto sparare ad un loro coetaneo, perché essere soldato è una scelta criticabile ma comprensibile, ma che sia un vincolo è un abominio, un insulto all’esistenza.
Conscript, dell’australiano Jordan Mochi, ci pone di fronte e “dentro” all’orrore di questa terribile imposizione durante una crescente diffusione di guerre e all’allarmante resurrezione di un’oscena retorica militarista che penetra persino nelle scuole elementari; lo fa precipitandoci in un inferno non dantesco di trincee, disperazione e cadaveri di ragazzi lasciati a marcire nel fango, ovvero l’abominio della Prima Guerra Mondiale, nello specifico la micidiale battaglia di Verdun durante la quale l’eccidio di giovani assunse la dimensione di un’ecatombe.
Prima di Conscript, solo Tetsuya Takahashi e in maniera allegorica, o Hideo Kojima nei suoi giochi di guerra anti militaristi, hanno comunicato ad un pubblico di giocatori l’orrore della guerra, la necessità di considerare la diserzione un gesto eroico anziché vile come invece la propaganda bellica ha sempre voluto indurci a credere.
In un panorama videoludico dove la guerra è per lo più celebrata, trasformata in gioco dai sempre traballanti carrozzoni dei vari e purtroppo popolarissimi Call of Duty et similia, Conscript è un videogame assai importante quindi, un ammonimento e un’analisi storica interattiva e documentaristica, ma è inoltre un’opera dalla grande intensità ludica, un “survival horror” classico e teorico nella sua riflessione sul genere, che si inserisce nell’insieme dei primi Resident Evil e Silent Hill per PlayStation, risultando tuttavia assai più terrorizzante.
WELCOME TO THE SURVIVAL HORROR
Realizzato con il pennello di una suggestiva “pixel-art” che restituisce con maestria sconvolgente l’idea del marcio, desolato, corrotto, mortale, labirintico squallore delle trincee, Conscript ci pone nell’uniforme stracciata e insanguinata di un giovane soldato francese alla ricerca del fratello scomparso per gli immensi dedali terrosi e ferrosi presso Verdun.
Nel peregrinare sempre pericoloso e opprimente del protagonista ci si accorgerà di quanto la superficie ludica di questo videogame sia riconoscibile, ancestrale: pochi proiettili, pochi curativi, porte chiuse da aprire con chiavi nascoste, enigmi e “mostri” da eliminare o da cui fuggire in base alle risorse recuperate. Salvo che qui non si tratta proprio di mostri, di zombie o mutazioni come in Resident Evil, ma di esseri umani che proveranno lo stesso orrore, lo stesso sconsolato sentimento di condanna, la stessa disperazione di fronte alla morte subita o inflitta che sente il protagonista.
Se c’è qualcosa di davvero mostruoso in Conscript, oltre il macro orrore della guerra, sono i ratti sciamanti attorno ai cadaveri dei soldati che abbiamo ucciso, memoria bestiale della nostra crudeltà di giocatori e punizione per questa, perché questi animali possono essere assai pericolosi.
LA VIOLENZA CHE EDUCA
Un po’ come in The Last of Us Parte II, l’esercizio della violenza contro i nemici in Conscript non alimenta diletto ma disgusto, un rifiuto che è una sensazione dolorosamente contraddittoria perché l’opera di Jordan Mochi si “gioca” assai bene e risulta appassionante anche quando costringe ad esplorare zone già note in quello che si definisce “backtraking”, uno degli elementi cardine del “survival horror”.
Che si usino armi da mischia, come pale o mazze ferrate, da fuoco o esplosive, il macello provocato è solo di poco dissimulato dai rari pixel che compongono corpi e panorami. Le musiche sono minimali e agghiaccianti, come se le note fuggissero l’orrore e i suoni sebbene precisi (urla, lamenti e spari soprattutto) si confondono nella nebbia allucinata, drogata, di un panico perpetuo.
Conscript è un “survival horror” che fa paura davvero e non quella liberatoria di Resident Evil (comunque una serie di giochi politici e critici del presente), ma un sentimento di terrore che rammenta un passato abominevole, una realtà di morte che fa dubitare della ragione dell’essere umano, che spinge a detestare i poteri e le istituzioni di allora, le alleanze e i patriottismi e a notare nell’oggi, disgustati e più che spaventati, il risorgere di idee, pensieri e situazioni che stanno precipitando il mondo verso nuovi orrori. L’Inferno è ripetizione, dell’inferno.
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