DAGONEWS
MATTARELLA TRUMP
Mattarella tra il 15 e il 20 ottobre sarà in visita ufficiale negli Stati Uniti, e la tappa a Washington si preannuncia molto complicata. Il Presidente della Repubblica avrebbe ovviamente preferito incontrare Trump in un clima diverso. I consiglieri della Mummia Sicula sono concordi: l’operato di Giuseppe Conte in occasione dei due viaggi di Barr a Roma è stato del tutto anomalo (eufemismo). Un ministro della Giustizia americano dovrebbe incontrare il suo omologo, in visite ufficiali concordate attraverso i canali diplomatici. Invece il povero Alfonso Bonafede l'unico "Barr" che conosce è quello in via Arenula di fronte al suo ministero, che fa un'ottima pizza bianca ripiena di pastrami.
A quanto si racconta, il ministrone trumpone si sarebbe invece rivolto all’ambasciatore americano a Roma, Lewis Eisenberg, chiedendo un incontro con i servizi segreti italiani. Se davvero fosse andata così, siamo completamente fuori dalle consuetudini istituzionali. Anche perché la bizzarra richiesta, fatta in pieno agosto, è stata accolta da Conte con un bel sì, con il capo del Dis Gennaro Vecchione autorizzato dal premier ad attovagliarsi con Barr.
donald trump william barr
Aldilà dei rumors, del caso Mifsud, di chi ha tramato chi, è in ogni caso scorretto che un premier con la delega ai servizi ordini a un suo subordinato di mettersi a disposizione di un ministro straniero sul suolo italiano. Conte addirittura avrebbe chiesto a Vecchione di fornire le prove delle azioni dei servizi italiani – Renzi e Gentiloni a Palazzo Chigi - orientate a screditare la campagna di Trump in favore di Hillary, in quella fatidica estate del 2016 quando tutti erano convinti della vittoria della Clinton e screditare Trump avrebbe solo portato punti a favore.
Facciamo due conti. Quando arriva per la prima volta Barr a Roma? Il 15 agosto. Solo una settimana prima, l'8, Salvini aveva fatto cadere il governo. Invece il 27 Trump dal G7 twitta il suo endorsement a ''Giuseppi Conte''. La tempistica avvalora l'ipotesi che il premier abbia offerto pieno accesso alle fonti italiane in cambio del cruciale sostegno americano al suo secondo governo.
giuseppe conte gennaro vecchione
In quei giorni Zingaretti, segretario del Pd con cui stava per nascere il governo giallo-rosso, aveva espressamente chiesto a Di Maio ''discontinuità'' e ribadito il suo no a un ritorno di Conte a Palazzo Chigi. La sua posizione era dunque assai precaria, e Giuseppi era pronto a tutto per essere blindato dall'esterno. Ecco allora che si mette a chiamare mezza Europa e fa promesse che non può mantenere pur di ottenere l'appoggio di Merkel, Macron, Ursula. Lo stesso Zingaretti racconterà poi di essere stato tempestato di telefonate dei leader socialisti europei affinché ingoiasse il rospo Conte per raggiungere il bene supremo (silurare il truce Salvini).
WILLIAM BARR JOHN DURHAM
Torniamo all'Italia e alla prima gita di William Barr. Quel 15 agosto Conte non comunica nulla al Copasir. In quel momento Guerini non era stato ancora nominato ministro, dunque il comitato (seppur in ferie) era nel pieno delle sue funzioni. L'urgenza dell'incontro, nel sacro giorno di Ferragosto, avrebbe dovuto spingere Conte a essere più cauto.
Invece il summit si fa, e in quel frangente il capo del Dis non fornisce informazioni ritenute sufficienti dal ministro americano. Barr chiede varie cose al capo dei servizi, e gli pone una serie di domande: cosa avete fatto voi dell'intelligence italiana nell'ambito del Russiagate? Qual è stato il vostro coinvolgimento? Avete raccolto informazioni di prima mano o le avete solo “passate” ad altri agenti?
giuseppe conte gennaro vecchione 1
Vecchione, in un inglese non proprio fluent, spiega di non poter rispondere: il generale è arrivato al vertice del Dis solo lo scorso novembre e nell'estate 2016 era il comandante delle Unità Speciali della Guardia di Finanza di Roma, quindi nulla aveva a che fare coi dossier internazionali. Aggiunge che deve indagare, promettendo un aggiornamento a breve. Barr lascia Roma insoddisfatto.
Vecchione quindi si rivolge ai generali Luciano Carta (Aise) e Mario Parente (Aisi), chiedendo informazioni sulla spia maltese Mifsud, la Link University e il coinvolgimento dei servizi nel Russiagate. Ma i due pretendono giustamente una comunicazione scritta da parte di Conte, che li invita a incontrare Barr il 26 settembre, per tutelarsi in caso di contestazioni (che puntualmente si sono verificate), mentre a Vecchione era bastata la richiesta informale nel pieno di agosto.
mifsud vincenzo scotti gennaro migliore
In questo secondo incontro c'è anche il tosto procuratore Durham – uno che ha come unico compito quello di ribaltare la narrazione del Russiagate, risalendo alle origini del dossier Steele – dunque l'obiettivo e la natura irrituale della visita era chiara pure a occhio nudo. I due vertici dei servizi non forniscono risposte più chiare. Ribadiscono di non aver avuto alcun ruolo nella compilazione dei report su Trump e i russi. Quando il ministro fa il nome di Mifsud, la delegazione dell'intelligence italiana riunita all'ambasciata americana sminuisce il suo ruolo.
JOSEPH MIFSUD 1
Secondo loro Carta e Parente, contava poco. Invece pare che gli americani abbiano in mano dei documenti che provano come il professore maltese fosse una spia di Mosca e tramite importante per fare arrivare alla Link University la collaborazione di società russe, desiderose di finanziare corsi e seminari. Vincenzo Scotti, dominus dell'ateneo, non ha mai disdegnato le sponsorship straniere, visto le difficoltà economiche per mandare avanti un'università così grande e lussuosa.
Le domande di Barr e Durham a quel punto si fanno dirette: questo Mifsud è sparito, possibile che non sappiate che fine abbia fatto? Niente da fare. I servizi italiani sostengono di non esserselo filato per niente. Eppure, secondo quei documenti, i suoi rapporti con la Russia sono più che rilevanti.
MARIO PARENTE AISI
L'incontro si chiude nuovamente con l'amaro in bocca per Barr e il suo mastino. Anche perché nel frattempo il solito Giuseppi aveva promesso mari e monti al suo nuovo amico Trump: dal boicottaggio del 5G cinese agli F-35, dazi compresi, fino alla collaborazione totale sull'indagine anti-Russiagate.
Conte si è dimostrato un perfetto Zelig: per fare il bis ha chiesto l'applauso di Unione Europea e Trump. Ma ora i nodi vengono al pettine. Perché, come si vede con il caso di Boris Johnson, l'unico interesse di Trump per i leader europei è quello di staccarli da Bruxelles per trasformarli in vassalli di Washington e così indebolire l'Unione, portandola a più miti consigli nelle trattative su dazi, spese militari e guerra alla Cina.
Trump è tornato a bussare alla porta di Giuseppi, ma quello nel frattempo si era messo a pomiciare con la sua nemica Merkel, con Ursula, con Macron. Solo che gli interessi dell'uno non combaciano con quelli degli altri (vedi il 5G, dove Germania e Francia fanno come gli pare nonostante gli strepiti americani).
generale luciano carta
La visita di Mike Pompeo è servita anche a dare una tiratina di guinzaglio al CamaleConte: l'italo-americano sembra un pacioccone in vacanza interessato solo a inforchettare le fettuccine degli avi abruzzesi, invece è un ex militare dell'accademia di West Point ed ex capo della Cia, che pretende fatti e non promesse. Giuseppi sperava che i suoi salamelecchi da professore con la pochette bastassero per confondere le acque e rimandare le decisioni che gli USA si aspettano dall'Italia.
Non pochi, nei palazzi romani, si chiedono come mai nella nomina del vertice del Dis, Conte sia stato così irremovibile, al limite della scortesia istituzionale, visto che la scelta di Vecchione era considerata bizzarra: non solo aveva un grado inferiore rispetto a Luciano Carta (generale di divisione vs generale di corpo d'armata), che si sarebbe ritrovato a prendere ordini da un suo subordinato; ma non aveva esperienza operativa nel campo dei servizi, e dunque un curriculum adeguato per un ruolo così delicato, soprattutto visto che a Palazzo Chigi c'era un premier che – anche lui senza esperienza nel settore – aveva deciso di tenersi le deleghe sui servizi segreti.
giuseppe conte nicola zingaretti 1
Sebbene pure dal Quirinale fosse arrivata forte e chiara a Conte la richiesta della nomina di un sottosegretario delegato ai servizi, Giuseppi ha fatto il diavolo a quattro, fino al ridicolo, per tenersi questa delega. Sul tema Vecchione l’”avvocato del popolo” si scontrò pure con Di Maio e Salvini, che insistevano per cambiare cavallo, considerando il finanziere come un amico di famiglia del premier e dunque troppo lontano dai due vicepremier.
Per questo in molti si chiedono, a partire da Salvini, se Conte abbia qualcosa da nascondere, e se nella sua ingenuità pensi che controllando qualche nome nei servizi possa controllare anche le informazioni che possono uscire su di lui. Forse sperando di mettersi al riparo da fughe di notizie ha puntato tutte le sue fiches sul controllo degli ''apparati''? Ma non siamo mica nella guerra fredda, i servizi non si controllano con uno schiocco di dita e le forze di sicurezza che si occupano di raccogliere informazioni su personaggi sensibili non si limitano mica alle sole barbe finte…
giuseppe conte con rocco casalino alla conferenza stampa
Insomma, Conte con l'esplosione del Russiagate de' noantri ha mostrato tutta la sua paraculaggine ma anche il suo lato molto naif, e ora il povero Mattarella si trova alla vigilia della partenza con questa brutta matassa da sbrogliare. Tanto più che Trump, da brutale uomo d'affari, non è tipo da conversazioni in politichese sull'amicizia tra paesi, ma uno che appena ti vede ti bombarda di domande anche politicamente scorrette (vedi le telefonate con Zelensky), dalle quali è difficile svicolare.
Ora gli occhi sono puntati sull'agenda degli incontri che, non a caso, ancora non c'è. Il planning lo decidono gli americani, e già da questo ritardo nell'annunciarlo si capisce la diffidenza verso l'Italia. Se poi si dovesse annunciare un summit di 15 minuti o mezz'ora invece di un'ora o più, anche questi sarebbero segnali chiarissimi verso Roma.
emanuela d alessandro
La situazione è bollente e caotica, e l'ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, è in attesa di comunicazioni ufficiali dalla Casa Bianca, così da potersi coordinare con Emanuela D'Alessandro, consigliere diplomatico di Mattarella.
Questa tensione ha portato anche, negli ultimi giorni, a una serie di colloqui privati tra il Quirinale e Palazzo Chigi, con il premier che si arrampica sugli specchi davanti a un Mattarella deluso dal suo comportamento: l'ansia di accontentare ogni leader con cui si è trovato a parlare, ha finito per scontentare tutti.
D'altronde Giuseppi ormai non ascolta più nessuno, se non il fidato Rocco Casalino, che di fatto ha in mano le redini di questo paese. Le sue ultime uscite ''Io non mi faccio intimidire dai prepotenti'' e ''Sarò più duro di Craxi a Sigonella'' hanno il copyright dell'ingegnere del ''Grande Fratello'', e hanno spiazzato tutti. Il suo consigliori è arrivato persino a suggerirgli di seguire l'esempio di Dini e di farsi un suo partito (forse però non gli racconta il finale poco glorioso di Rinnovamento Italiano). Non sente più neanche il suo maestro Guido Alpa.
armando varricchio con donald trump
Persino Di Maio oggi si mangia mani e piedi per aver rilanciato il Conte-bis quando Zingaretti chiedeva la sua testa: il premier non lo sta più a sentire e a Palazzo Chigi non si muove foglia che Rocco non voglia. Paradossalmente si trova a ringraziare Renzi: gli attacchi sul Russiagate del toscano, che ha intenzione di indebolire Conte e renderlo un anatra zoppa per non avere un terzo incomodo nello scontro dei suoi sogni (che vede solo Salvini come avversario) hanno già messo una bella ipoteca sulla carriera di ''vero leader'' del povero Giuseppi. Ha ballato solo un mese?