Ilaria Betti per www.huffingtonpost.it
lo chef jacopo ricci a sinistra
“Se non trovi i camerieri è perché non li paghi abbastanza”. Entra a gamba tesa nel dibattito sulla penuria del personale nel settore della ristorazione, Jacopo Ricci, chef e co-titolare del ristorante “Dopo Lavoro Ricreativo” a Frascati.
“Io non ho avuto difficoltà a reperire le risorse - ci racconta -. Se offri un contratto con tutti i contributi, tredicesima e quattordicesima comprese, non avrai problemi a trovare gente che voglia lavorare per te”.
piero drago e jacopo ricci al lavoro
Non è colpa delle nuove generazioni ‘sfaticate’, insomma: “La pandemia ha fatto venire a galla un sistema malato da anni. Un giorno è venuta da noi una ragazza, si è proposta come cameriera. Le ho offerto un contratto, è rimasta a bocca aperta. È un cane che si morde la coda: l’imprenditore offre poco, il lavoratore accetta svalutandosi. Ma qualcosa sta cambiando: la gente oggi preferisce un sussidio statale a una forma di schiavismo moderna”.
jacopo ricci piero drago
Sono introvabili 150mila tra camerieri, cuochi e barman, così come i bagnini e gli altri stagionali che lavorano nel turismo. Ma non c’è da stupirsi, secondo Jacopo Ricci.
“Sembra che il mondo della ristorazione o, più in generale, il settore turistico abbia dimenticato una regola di base, ovvero che ad un tot di ore lavorate corrisponda un determinato salario. Siamo vittime della narrazione tossica del ‘chi è bravo lavora tante ore’, del cuoco eroe che si fa turni di 12 ore, del cameriere che lavora sette giorni su sette senza riposo. Gli stagionali, nelle spiagge, negli alberghi, fanno turni massacranti anche per 3-4 euro all’ora. Il surplus di lavoro è troppo spesso invisibile e non retribuito”.
jacopo ricci
Ristorazione e accoglienza sono ambiti che registrano irregolarità superiori al 70 per cento. Ma c’è anche chi cerca di fare le cose “fatte bene”, investendo sul personale. “Oggi in Italia c’è la retorica malata del ‘veniamoci incontro’, del ‘siamo tutti sulla stessa barca’, del ‘chiudiamo un occhio’, del ‘ci vuole flessibilità’. L’imprenditore non investe sul dipendente e il dipendente, da parte sua, tende a svalutarsi. La ragazza a cui ho offerto il contratto si aspettava di prendere 400 euro al mese perché era questa la media che le era stata offerta in altri ristoranti in cui aveva lavorato (senza contratto). Io le ho proposto una cifra onesta: da me si lavora sei ore al giorno per sei giorni alla settimana, non di più, sono molto rigido sul fatto che ognuno debba rispettare il proprio orario lavorativo, senza andare oltre. I dipendenti prendono tredicesima e quattordicesima e si dividono gli utili tra lo staff. Nulla di eccelso, credo semplicemente che sia opportuno offrire a chi fa questo lavoro la giusta ricompensa e le giuste tutele. Il problema è che quello che dovrebbe essere scontato viene accolto con sorpresa proprio perché non così comune”.
jacopo ricci e piero drago
Offrire un contratto serio è funzionale anche alla fidelizzazione del dipendente, un fattore non trascurabile per il successo di un locale. “I datori di lavoro si lamentano perché il personale ‘scappa’ non appena si presenta un’occasione migliore. Ma se tu a quel dipendente dici ‘lavorerai 7 giorni su 7, ti darò 800 euro al massimo perché, sai, c’è la crisi’, tu quel dipendente prima o poi lo perdi o comunque non lo incentivi a restare. Se, invece, su di lui investi, se lo paghi adeguatamente, se gli offri una prospettiva di crescita, vedrai che non ti lascerà a piedi. Quando ho aperto la mia attività ho parlato con un consulente del lavoro. Mi ha prospettato la possibilità di fare stage, tirocini: insomma, scorciatoie per pagare meno contributi per i dipendenti. Io mi sono opposto: qui abbiamo tra i 38 e i 20 anni, voglio che tutti abbiano un contratto che li tuteli in pieno, voglio che possano investire su loro stessi, che possano chiedere un prestito, un mutuo. Il lavoro nobilita l’uomo solo quando gli restituisce dignità, quando non è degradante, quando non si trasforma in schiavismo”.
i ristoratori jacopo ricci e piero drago
Ma perché nessuno vuole più fare il cameriere? Non è affatto un mestiere di serie B. Piuttosto a renderlo poco appetibile è il trattamento svilente riservato dai datori di lavoro. Eppure c’è un esercito di giovani là fuori che studia per svolgere questa professione: “Ci sono tanti ragazzi che sognano di diventare caposala, che frequentano scuole, che prendono diplomi da sommelier, imparano le lingue. C’è differenza tra un portapiatti e chi per questo lavoro ha studiato, fatto corsi, si è formato sul campo. Il cameriere bravo è colui che invoglia il cliente, conosce il prodotto, è quello che fa fare l’incasso. Perché il cameriere deve lavare il bagno? Io non mi sognerei mai di chiedere ad un professore universitario di sistemare la presa rotta del proiettore. Lo stesso trattamento deve essere riservato a questa figura”.
chef jacopo ricci
Baristi, camerieri, cuochi che non si trovano: contro il lavoro, stagionale e non, retribuito con stipendi da fame si stanno sollevando i primi no. Che stia cambiando qualcosa? Secondo Jacopo Ricci, la pandemia ha squarciato il velo: “I lavoratori non sono più educati a dire ‘io lavoro, io devo essere retribuito’. La retorica di accontentarsi, di accettare tutto è sbagliata, ma è radicata. La pandemia ha avuto il merito di accendere la miccia della rabbia: i lavoratori hanno visto che a pagare la crisi nella maggior parte dei casi non sono gli imprenditori, ma i dipendenti, soprattutto quelli in nero, che neanche hanno potuto percepire i sussidi. C’è bisogno di un cambio di mentalità: i lavoratori non dovrebbero più sottostare ai ricatti morali del tipo ‘ti posso dare solo 600 euro al mese, prendere o lasciare’, e gli imprenditori, da parte loro, dovrebbero farsi un piccolo esame di coscienza. Perché si troverà sempre quella persona disperata che deve dare da mangiare alla famiglia disposta a spaccarsi la schiena per 400 euro al mese, che preferisce lavorare al ristorante piuttosto che andare alla Caritas. Ma non è socialmente accettabile. Se tutti rifiutassero queste offerte indecenti, i ristoratori si ritroverebbero senza dipendenti e sarebbero costretti a chiudere e a capire finalmente la loro importanza. Perché senza dipendenti non c’è ricchezza, perché sono loro che la producono, sono loro le risorse da valorizzare e da ‘trattenere’”.