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Federico Taddia per “la Stampa”
Al primo sguardo l’occhio, attratto da quella inattesa macchia variopinta, non ci fa caso. Poi, mettendo a fuoco, ci si rende conto che quel che si pensava uno sbaglio in verità lo si è visto per davvero: mattoncini colorati incastonati tra vecchie e nuove pietre, disposti per sigillare una crepa, ricomporre un capitello o ripristinare un gradino.
Dai monumenti di Parigi agli antichi palazzi di Venezia, passando per le case bombardate di Beirut, le eleganti vie di Londra o quelle anonime di Auckland: spuntano dove meno te l’aspetti le toppe artistiche di Jan Vorman, 32 anni, scultore e docente di fisica applicata all’arte alla Btk, università berlinese di art e design, che dal 2007 ha lanciato il suo affascinante progetto di restauro architettonico.
Cittadino del mondo
«Mio padre è tedesco e mia madre tunisina, da giovane ho vissuto in Usa e Russia e ho sposato una donna cilena: sono cittadino del mondo ed ero in cerca di un linguaggio globale, un qualcosa che facesse parte di un vissuto condiviso. Tutti da bambini abbiamo giocato con i Lego: appartengono all’immaginario comune e rappresentano il primo oggetto con cui tentiamo di costruire qualcosa, di lasciare un segno. Quello che volevo fare era proprio questo: lasciare un segno, guarire le ferite nei muri e aggiungere colore al grigio delle città».
Con le tasche piene di mattoncini, rigorosamente non di marca, Jan cammina per le città in cerca di fessure e fratture da sistemare: fino ad oggi ha toccato 34 nazioni, anche se gli interventi censiti e documentati con tanto di fotografie nel sito www.dispatchwork.info coinvolgono un centinaio di paesi, grazie a decine di persone di tutte le età che si sono fatte contagiare dalla vena riparatrice.
«Chiunque può partecipare, a patto che non lo faccia per soldi. Le istruzioni sono semplicissime: bisogna armarsi di pazienza e mattoncini. Non va usata colla o cemento: i pezzi devono incastrarsi, cercando la combinazione migliore usando forme e misure diverse. Servono tenacia e tempo: a volte si sta ore davanti alla stessa crepa, per capire quale tassello utilizzare».
Altre regole tassative: non ingrandire, levigare o smussare le fenditure, permettere che i mattoncini possano essere tolti in ogni momento e alternare sempre i colori. Magia e stupore, gioco e decoro, geometria e creatività: un patchwork universale che appare in una casa di fango a Marrakesh come in un marciapiede di Tokyo, a fianco di una vecchia grondaia a Modena come nel cuore della Grande Muraglia in Cina.
Zone meno conosciute
«Non amo “firmare” i monumenti famosi, ma cercare nelle zone meno conosciute. Le reazioni dei passanti sono positive: sono uno studioso di arte e ho rispetto per tutte le costruzioni e il mio intervento non arreca danni. Le forze dell’ordine mi lasciano fare. Solo a Venezia ho noleggiato una barca di notte e mi sono spostato tra i canali fino a quando non ho trovato uno spigolo rovinato che aveva bisogno di essere riaggiustato».
Tra sindaci che lo contattano per riassestare angoli di piazze e insegnanti che organizzano workshop, Jan diffonde la sua tecnica. «Nessuno lo ammette, ma la plastica è il materiale simbolo della nostra era. Mi stimola metterla in relazione con la pietra, creare interazioni. Mi piacciono i contrasti e le imperfezioni: dall’unione nasce un qualcosa che tutti capiscono. E’ questa la forza della cultura, che va al di là delle frontiere».
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