Flavio Vanetti per corriere.it
jordan obama
Dan Peterson in una riflessione sulla Gazzetta dello Sport ha elaborato un’ipotesi interessante e, forse, non così lontana dalla possibilità che si avveri: «Non mi definisco un veggente – sono le parole dell’ex coach dell’Olimpia –, ma credo che presto Michael Jordan potrebbe trovare una collocazione all’interno del governo in un ruolo importante. Ma dipende da lui». E subito dopo il corollario di questa affermazione: «Se fossi Joe Biden, per le elezioni del 2020 lo sceglierei come vicepresidente: se l’idea è quella di vincere, in questo campo Jordan è maestro assoluto».
Ora, c’è un piccolo problema: il candidato democratico in recenti dichiarazioni ha più volte annunciato che sceglierà una donna da proporre nel ruolo di vicepresidente. Questo peraltro vuol dire tutto e nulla: magari Biden non se la sentirà di rinunciare a una mossa che avrebbe svariati vantaggi, ma per l’ex cestista potrebbe benissimo studiare una posizione ad hoc che gli consenta di agire con autorevolezza, mettendo in campo il suo nome, la sua immagine e il suo prestigio.
jordan obama dino meneghin e dan peterson
Intanto sul fronte dell’impegno pubblico, MJ ha dato una svolta rispetto a quanto eravamo abituati a vedere da lui: tramite la Jordan Brand, la sua azienda, ha messo a disposizione 100 milioni nei prossimi 10 anni per sostenere la lotta al razzismo. Nel recente passato era stato più schivo, tanto da rimediare non poche critiche. Ma era solo una questione di visibilità e di volontà di non apparire, perché nella sostanza Air la mano al portafoglio l’ha già messa eccome quando si è trattato di intervenire in cause a favore della gente di colore. Forse i più non rammentano che nel luglio 2016, quando degli afro-americani furono uccisi e per reazione la stessa sorte toccò ai dei poliziotti, Michael elargì 1 milione di dollari sia a un’organizzazione delle forze dell’ordine che si occupa di creare le condizioni per un servizio migliore e più credibile (parliamo dell’Institute for Community-Police Relations) sia alla NAACP Legal Defense Fund, la più antica associazione americana che si occupa di diritti civili. Fu in quell’occasione che disse la famosa frase: «So che questo Paese è molto migliore e che non posso più rimanere in silenzio. Dobbiamo trovare una soluzione che garantisca alla gente di colore di ricevere un trattamento equo e ai poliziotti, che ogni giorno mettono a repentaglio la loro vita per proteggerci, di essere rispettati».
dan peterson 17 dennis rodman michael jordan
Per vedere un Michael Jordan impegnato in politica bisogna anche rimuovere un pregiudizio che lo accompagna, frutto di un malinteso. Ci riferiamo alla frase del 1995, riportata pure in «The Last Dance» (la serie Tv di Espn/Netflix che ha avuto un successo straordinario pur non senza ricevere critiche), «Anche i repubblicani comperano le scarpe». È stato un modo – sostiene la critica – per non prendere posizione e per tutelare il business della Nike e delle sue scarpe.
In realtà non è così. Jordan in quel periodo era stato avvicinato dal senatore afro-americano Harvey Gantt per aiutarlo nella corsa allo stato del North Carolina contro il repubblicano Jesse Helms. Ma declinò l’invito: non si sentiva pronto e la Nba gli aveva anche chiesto di non farsi coinvolgere. Sam Smith del Chicago Tribune e autore del libro «The Jordan Rules» nel quale la battuta è riportata, ci ha tenuto a precisare che bisogna rivedere l’intero episodio: «Un po’ è colpa mia perché ho scritto quella frase che si è prestata ad essere equivocata. Tutto è molto più semplice: come in campo voleva e sapeva essere protagonista, così Jordan voleva vincere pure nei dialoghi. E avere l’ultima parola. Quell’uscita era un modo per farlo in quel dibattito: ma era una battuta assolutamente scherzosa».
MICHAEL JORDAN A TRIESTE
Insomma, non era facile vivere da Jordan, fuoriclasse al centro dell’attenzione: ogni suo gesto era sezionato e valutato. Quando nel 1991 dopo il titolo dei Chicago Bulls si rifiutò di andare al ricevimento alla Casa Bianca del presidente George H.W. Bush, fu attaccato da molti compagni con l’accusa di voler spaccare la squadra e di fare in modo che si parlasse solo di lui. Replicò astioso: «Semmai è il contrario, mi sono forse stancato di essere sotto i riflettori dei media. Quanto alla mia assenza, non era mia intenzione mancare di rispetto a nessuno, men che meno al presidente Bush, che peraltro avevo già conosciuto e incontrato. Semplicemente, avevo spiegato che avevo degli impegni presi in precedenza e che non potevo cancellarli: tutto sarebbe stato risolto cercando un’altra data».
Dan Peterson jordan pippen
joe biden
A dirla tutta, in questa spiegazione c’è una bella punta di narcisismo. Ma quello era un MJ differente da quello di oggi che ha lasciato la ribalta. E l’idea di un Jordan in politica piace a parecchia gente. In un editoriale di fine maggio, Pete Souza del Chicagoreader ha modificato la frase (»Be like Magic») che Air usò per beffeggiare Magic Johnson nella famosa partitella di allenamento del Dream Team a Montecarlo. Nella sua versione è diventata «Be like Mike». Il suo assunto: «Sarebbe un’evoluzione di Obama, con più carisma e coraggio». Vedremo, come pensa Dan Peterson, se Michael si sentirà di compiere questo grande passo.
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