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    “NOI SIAMO GENTE DI MARE E COME I PESCATORI SAPPIAMO ASPETTARE” – DARIO VASSALLO, FRATELLO DEL SINDACO DI POLLICA UCCISO IN UN ATTENTATO 12 ANNI FA, PARLA DELLA SVOLTA CHE HA PORTATO TRE CARABINIERI AD ESSERE INDAGATI PER CONCORSO IN OMICIDIO - "AL DI LÀ DELLA PISTA DELLA DROGA E DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA I VERI RESPONSABILI DELLA MORTE DI MIO FRATELLO SONO SUL TERRITORIO. I NOMI? CI SONO. LEGGETE TUTTI BENE TRA LE RIGHE DEL MIO LIBRO…" (DAGO-RETROSCENA: OLTRE AL COMPIANTO NELLO GOVERNATO, EX DIRIGENTE DELLA LAZIO E SUOCERO DELL'AUTORE, ALLA STESURA DEL LIBRO HA CONTRIBUITO ANCHE IVAN ZAZZARONI)


     
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    Petronilla Carillo per ilmattino.it

     

    dario vassallo dario vassallo

     

    «Oggi non è affatto un giorno felice. Soprattutto se consideriamo che tra gli indagati ci sono degli esponenti dell'Arma dei carabinieri. Ma io sono tranquillo, sta uscendo fuori quella verità negata di cui noi della Fondazione Angelo Vassallo ci siamo sempre resi paladini. Verità che io stesso ho sempre denunciato, l'ultima volta qualche anno fa e le mie dichiarazioni sono contenute in un verbale secretato ora nelle mani degli organi inquirenti.

     

    Ma noi siamo gente di mare e come i pescatori sappiamo aspettare anche se facciamo un altro lavoro». Dario Vassallo, fratello del sindaco, è sempre stato il portabandiera della ricerca della verità su quanto accaduto ad Angelo.

     

    Quindi lei ritiene che ci sono altre cose interessanti che dovranno venir fuori?

    «Io credo che siamo sulla strada giusta... finalmente, dopo dodici anni. Abbiamo però dovuto aspettare dodici anni... Io credo che avrete tutti modo di conoscere una Acciaroli diversa, peggiore. Io credo che al di là della pista della droga e della criminalità organizzata i veri responsabili della morte di mio fratello siano proprio sul territorio. Non si deve andare troppo lontano».

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    I suoi riferimenti sembrano essere molto precisi...

    «Basta vedere gli indagati. C'è Domenico Palladino, un imprenditore del posto che quando Angelo era sindaco era un consigliere comunale. Nel corso degli anni la sua attività è cresciuta. Credo che se è indagato gli inquirenti abbiano qualcosa di concreto tra le mani. Cose, magari, che a Pollica tutti sanno e nessuno dice».

     

    Quello che dice fa supporre che possano uscire fuori altri nomi.

    «Io quello che so, le ripeto, l'ho detto agli inquirenti già qualche anno fa. Non posso parlare, è tutto secretato ma, se leggete tutti bene tra le righe del mio libro, quei nomi ci sono. A me è sempre stato tutto molto chiaro».

     

    Tra le accuse mosse, in particolare agli esponenti dell'Arma dei carabinieri, vi è quella di aver indirizzato le indagini su altri personaggi che poi si sono rivelati del tutto estranei ai fatti. Un nome su tutti, quello di Bruno Humberto Damiani.

    «Sicuramente. Questa è una delle cose che fa rabbia. Io da subito ho detto anche al procuratore di allora, Franco Roberti, che quel ragazzo non c'entrava nulla con Angelo. Ho sempre detto che era stato tirato in ballo per sviare le indagini. Ho anche detto all'allora procuratore capo di Salerno che non si doveva necessariamente mettere qualcuno in croce per dare risposte al delitto.

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    Noi abbiamo sempre cercato la verità, quella che è sotto gli occhi di tutti ma sembra difficile da vedere. Eppure è palpabile: nessuno mai in politica si è speso per onorare la memoria di mio fratello. Dopo dodici anni non gli è mai stata intitolata una strada, una piazza, un vicolo. Ho scritto in passato una lettera al segretario Letta del Pd per ricordargli di Angelo ma lui, come anche il Pd campano, non hanno prestato molta attenzione a mio fratello (ricordiamo che Dario Vassallo è in odore di candidatura sul fronte opposto al Partito democratico, si parla di un seggio per lui con il Movimento Cinquestelle di Conte, ndr)».

     

    IL COLONNELLO FABIO CAGNAZZO IL COLONNELLO FABIO CAGNAZZO

    Quando ha incontrato la prima volta il procuratore capo Giuseppe Borrelli che ha fatto dell'indagine sull'omicidio Vassallo uno dei capisaldi della sua governance giudiziaria?

    «Credo di averlo incontrato subito dopo il suo arrivo, nel 2020. E devo dire che mi ha sempre ascoltato con grande interesse. Come il sostituto Marco Colamonici che da sette anni segue il caso di mio fratello senza alcuna battuta d'arresto. Devo dire che sono due magistrati in gamba e coraggiosi. Perché ci vuole coraggio a mettere sotto indagine tre carabinieri tra cui un colonnello, fratello di un colonnello e figlio di un generale dell'Arma. Vuol dire avere le spalle forti, essere fuori dal circuito della politica, portare avanti le proprie idee e il proprio lavoro senza alcuna paura ma con grande professionalità».

     

    Dopo dodici anni, sentir parlare di «svolta nelle indagini» deve essere molto pesante per chi, come lei e gli altri familiari, oltre al dolore si è visto anche negare la verità. Uno stillicidio emozionale.

    «Sì, sicuramente. Ma, ripeto, siamo gente di mare e sappiamo aspettare sicuri che quello che sta venendo fuori è soltanto una parte della verità che finora ci hanno negato».

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