Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
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Puoi anche fare un’alzatuccia di spalle finché un politico fa il suo quotidiano gargarismo di demagogia picciola e spicciola non avendo specchi e filtri sufficienti per vietarsi dal dire in pubblico senza imbarazzi apparenti, non velando anzi un brivido mignon da anima bella : “Con quattrocento morti al giorni, parlare di calcio è l’ultimo dei problemi…”. E vai! L’ha detto! Se l’è lasciato dire.
Dove sei Petrolini? E dove sei Pasolini? Applausi di scherno e scudisciate, ma il palazzetto è sordo, non muto ahinoi, che il Palazzo è ormai già belle èpoque. I giganti sono cenere. Siamo tutti Gulliver invischiati nella tela dei nani. Incassiamo palate di nulla. Magari deglutendo, i più delicati di stomaco, il fiotto di nausea e la disperante idea che le nostre vite siano nelle mani di questi zero dalle lunghe orecchie. A tanto incolto e troglodito cinismo che si fa bello dei cadaveri per strigliare i vivi, che cornifica i morti per mazziare i morituri. Allacciamoci non resta che nel fango della tempesta imperfetta. In mancanza di un’orchestrina fatta in casa, spariamo almeno un razzo nell’oscurità.
giancarlo dotto
Il guaio è quando l’occhio di bue si allarga e scopre che anche uomini liberi e intelligenti sfrenano il loro intelletto per tenere in piedi la biforcuta patacca che la vita sia cosa diversa dalla morte, che vivere e morire non si nutrano delle stesse radici e dello stesso rumore, se non proprio umore.
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L’uomo certamente libero e indubitabilmente intelligente in questione è Mario Sconcerti, tutti lo conoscete, un uomo che mi piace perché so che ama cantare e chi ama cantare ha di per sé, se non le chiavi, almeno l’ascensore per il paradiso, quello un po’ infernale di Dylan intendo (lo sfido pubblicamente, Mario, a bussare in musica le stesse porte del cielo). Ecco, avrei solo preferito che avesse speso il suo tempo a cantare per i suoi cari “My Way” di Sinatra o anche “Trottolino amoroso” di Minghi invece che affannare un po’ di arguta prosa ai microfoni di Tmw Radio, portando stampelle al modesto pulpito degli Speranza e degli Spadafora. Sconcerti ci ricorda con incedere elegante che “tutto è sempre relativo”, che “oggi non è il momento di giocare a calcio” e che “tutta la nazione deve prendersi una parentesi di rilassamento e di convalescenza per uscire dalla malattia”, non mancando nemmeno lui di sferzarci a non dimenticare i morti.
mario sconcerti foto di bacco
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Tutti dimenticano. A cominciare da chi ci esorta a non dimenticarli. Sono loro, i nostri morti, quelli che ci vogliono bene, a supplicarci di dimenticare. Perché la domanda vera è: come si rimuove la morte che è fuori e dentro di noi? Portando corone di fiori e battendosi il petto o strappandosi i peli dal petto e i fiori dalle corone? Se non c’è rimedio alla morte, qual è il rimedio alla vita? Facile.
Ingannarla. Come la si inganna? Facile anche questo. Giocandola. Ruotando a più non posso il caleidoscopio. Il segreto è darsela a bere. Drogarsi con ogni azzardo, incluso quello di alzarsi dal letto ogni mattina. Incluso quello dell’amore. Fingere che non sia quello che è o che sia quello che non è.
La nazione ha bisogno di rilassarsi? E come, di grazia? Con la sfilata a tempo pieno di burocrati appesi al loro manichino? Facce senza luce, voci senza voce, nemmeno per cantare che dietro la collina ci sta la notte crucca e assassina. Sconcerti piace quando sconcerta (e quando canta), non quando dice che “oggi non è il momento di giocare”. Oggi più che mai è il momento di giocare, tutti i giochi possibili. Di essere un po’ puttane e e un po’ clown compassionevoli con se stessi e con il prossimo, amabile più di se stessi. Altrimenti, ditemi voi, perché si mandano i clown negli ospedali e le puttane in trincea?
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L’intelligenza, se ce l’hai, deve confondersi, lasciare il passo al guasto che serve per truccare le carte, fare due salti meglio se sgangherati nel cuore insondabile della vita. Non può essere buttata nel secchio per elaborare il compitino troppo saputo che “il calcio è prepotente, i presidenti vogliono i soldi e tutti vogliono i soldi”. Chi se ne frega dei loro e dei nostri mediocri appetiti!
Dateci Messi, dateci Federer, dateci Verdone, isolateli in qualunque bolla, in qualunque isola, in una tuta da palombaro, perché loro sono un vetro per niente banale del nostro caleidoscopio. Proteggeteli e proteggeteci. Compagnia cantante e calciante, se lo stalker virale ci assedia, se la vendemmia è quella del dolore, dateci sotto, non priviamoci del piacere. “Il calcio è la spina dorsale del Paese…”, dice e si disdice Sconcerti. E da dove partono i piccoli orgasmi del piacere, dove viaggiano, se non attraverso i vasi comunicanti in cui, guarda caso, la beatitudine coincide con lo svanimento.
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Ci sveglieremo con l’emicrania? E allora? È tanto diverso da qualunque risveglio? Sconcerti non perdona il calcio perché “abbandona i sentimenti”, io invece lo perdono, perdono tutti, perdono Lotito, Gravina, perdono persino Briatore, perdono belli e brutti, buoni e abbietti, perché comunque sono strumenti molto sentimentali al servizio dell’immane sentimento che è la vita e chi bara con la vita. Più bari e meno bare, speriamo. Ma se le bare insistono, non mortifichiamo i bari. E cioè noi tutti che stiamo al mondo. Perdono tutti. Perdono chi dice che tutto è relativo, quando è chiaro che, per quanto ci riguarda, tutto è assoluto, assolutamente relativo, non viceversa. Perdono anche l’amico Malagò, altra intelligenza deviata dall’ambizione di passare alla Storia come più pilatesco di Pilato. No.
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Oggi meno che mai abbiamo bisogno della misera sartoria che confeziona gli abiti alla moda del funerale di giornata. Con tutti i profilattici e i nasi finti del mondo, lasciateci essere un po’ clown e puttane. A cominciare da noi e per continuare con voi, calciatori, attori e cantanti, buffoni e sciantose di lusso al capezzale del nostro amabile sconforto che, di tutto ha bisogno, meno che di essere ulteriormente sconfortato. Una catena che si affaccia ai balconi e suona le sue campane a tempo pieno, non solo all’ora del vespro o dell’aperitivo. L’isola felice è sempre stata una balla, facciamo che sia almeno una bolla. Se i protocolli saranno impeccabili, qualcuno, se non Sconcerti, ci perdonerà se ci lasceremo peccare.
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