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    DATEMI UNA BIONDA E VI CAMBIERÒ IL MONDO DEI MASCHI - ALLA FINE DEGLI ANNI '60 FARRAH FAWCETT RAPPRESENTAVA LA DONNA INDIPENDENTE E CONTROVERSA, UN PO' FEMMINISTA E UN PO' NO: "IL SUCCESSO DELLE “CHARLIE’S ANGELS”? NESSUNA DI NOI PORTAVA IL REGGISENO" – AL FUNERALE DELLA SUA FARRAH, RYAN O' NEAL  INCONTRA UNA BELLA RAGAZZA E COMINCIA A PARLARLE GALANTE E QUELLA DICE "MA PAPÀ NON MI RICONOSCI? SONO TATUM" (VIDEO)


     
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    Maria Luisa Agnese per “Sette”

     

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    I ragazzi di fine anni Sessanta avevano capito che la loro compagna Farrah Fawcett annunciava i tempi che venivano e che in qualche modo rappresentava la donna indipendente e controversa, anche qui un po’ femminista e un po’ no. Un produttore potente e di talento come Aaron Spelling la volle per una serie che stava per lanciare: tre donne poliziotto libere e belle che risolvevano delitti come gli uomini.

     

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    Charlie’s Angels diventò subito qualcosa di più di una serie, un caso non solo americano, modello anticipatore di come la tv può dire la sua sul cambiamento sociale come il cinema, a volte di più. Le femministe storsero il naso per quei modelli troppo da donne in carriera e meno ideologici, senza avvertire che in qualche modo anche loro interpretavano spiriti di innovazione e di voglia di vivere al di fuori degli stereotipi.

     

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    E Farrah Fawcett divenne l’icona pop di tutto ciò, celebrata sulla copertina di Time. Lei, che pure qualche dote di attrice l’aveva, ma era dotata di grande ironia, dette un giudizio definitivo sul fenomeno in un’intervista all’americano Tv Guide nel 1977: «Quando Charlie’s Angels incominciò ad avere un primo successo pensai che fosse grazie alla nostra bravura ma, quando ebbe un tale successo internazionale, capii che ciò era dovuto al fatto che nessuna di noi portava il reggiseno».

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    Le altre sue compagne di trionfi erano Kate Jackson e Jaclyn Smith, un trio vincente che lei inaspettatamente abbandonò dopo la prima serie, accendendo le ire di Spelling che a lungo la osteggiò con altre produzioni. Poco male, la leggenda Fawcett volava nel mondo con quel poster in costume rosso che scivolava sul suo corpo, firmato Norma Kamali, che vendette 12 milioni di copie e con la Barbie ricalcata dal poster che ancora oggi è oggetto di collezione.

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    Dovette faticare per risalire la china ma lavorò con Robert Altman (Il dottor T e le donne) e Robert Duvall (L’apostolo) e fu protagonista di Oltre ogni limite, storia di una donna che sequestra il suo stupratore che le valse un Golden Globe come migliore attrice. Intanto la bionda Farrah bruciava altri record, la copertina di Playboy per cui accettò di posare a 50 anni con corpo intatto fu la più venduta di tutto il decennio e lei dichiarò soddisfatta che considerava quell’esperienza «una vera rinascita. Non sento più restrizioni nella mia vita, dal punto di vista emotivo, artistico, creativo. Non sento più i limiti che sentivo una volta».

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    Anche quando arrivò la malattia, nel 2006, un cancro al colon che le aveva invaso il fegato e l’ aveva ridotta in sedia a rotelle facendole cadere anche l’ultimo ricciolo, decise di viverla senza limiti. Voleva che fosse di aiuto il suo esempio, nella lotta contro il cancro. Ma si attirò anche accuse di strumentalizzare il suo male quando girò un documentario sulla sua malattia, filmato dalla produttrice Alana Stewart.

     

    Fino a quel matrimonio annunciato e non avvenuto con Ryan O’Neal, tormentato amore di una vita errabonda e padre di suo figlio Redmond. Farrah aveva detto sì alla proposta di matrimonio che in articulo mortis le aveva fatto l’attore: avrebbero dovuto sposarsi, lei e Ryan, in ospedale in diretta tv appena lei avesse ritrovato un briciolo di forze, lui raccontava di aver già comprato l’abito da cerimonia; ma Farrah morì prima, il 25 giugno.

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    Finale strappalacrime ma confortante, se non fosse che lui al funerale della sua Farrah incontra una bella ragazza e comincia a parlarle galante e quella dice «Ma papà non mi riconosci? Sono Tatum».

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