L’ETERNO RAGAZZONE CON IL FARFALLINO CHE HA SPIEGATO L’ARTE IN CATTEDRA E IN TV
Pierluigi Panza per Corriere.it
PHILIPPE DAVERIO E LA MOGLIE ELENA GREGORI
Pensiamolo con il suo sorriso arguto e bonario, pensiamolo con il suo farfallino, quell’aria da eterno ragazzone mezzo italiano, mezzo francese, certamente europeo poliglotta e ricordiamo quanto ha insegnato, divulgato dietro a uno schermo tv, dietro una cattedra o passeggiando in museo.
Stava male da qualche tempo e ci ha lasciati stanotte Philippe Daverio, alsaziano di Mulhouse (1949), città sempre contesa sin dai tempi degli Asburgo e dove aveva studiato da ragazzo, «in maniera rigorosa», ricordava, con i suoi fratelli, lui quarto di sei figli di padre italiano (ma di nome faceva Napoleone) e madre alsaziana.
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La carriera e la politica
Educazione un po’ottocentesca, la sua, che si conclude alla Bocconi prima della laurea e l’apertura di una sua galleria d’arte a Milano. Propone mostre, apre una sede a New York, diventa il divulgatore d’arte e cultura di spicco in città e il sindaco Marco Formentini lo chiama in Giunta come assessore alla cultura (1993-97).
ROBERTO D'AGOSTINO PHILIPPE DAVERIO
L’esordio è straordinario, con una installazione giocosa davanti a Palazzo Reale. Dal 1999 è artefice di programmi televisivi: Art’è sui Raitre, poi Art.tù quindi il celeberrimo Passpartout, seguito poi da Il Capitale. Diventa collaboratore di molti giornali, cura iniziative d’arte legate al Corriere della Sera ed è collaboratore di Style Magazine, diventa direttore di Art Dossier e docente a Palermo nel 2016 per Chiara fama.
Escono un lunga messe di libri per Rizzoli a partire da «Il museo immaginato», sorta di breviario per farsi ciascuno un proprio ideale museo. Interpreta persino piece teatrali e una parte in «La vedova allegra» alla Scala con regia di Pizzi; Scala di cui è stato consigliere di amministrazione per la Regione Lombardia. Aveva creato anche il movimento politico «Save Italy» nato per opporsi alla discarica vicino a Villa Adriana.
PHILIPPE DAVERIO - HO FINALMENTE CAPITO L ITALIA
Polemista e attivista
Come tutte le persone brillanti e di carattere fu al centro di polemiche spesso risolte con il sorriso, che largamente e con generosità riservava a tutti quanti, amici di una vita e persone da poco conosciute. Molto impegnato con gli Amici di Brera nel sostegno alla pinacoteca milanese, questa proverà forse ad attrezzarsi per una camera ardente.
PORTÒ L’ARTE IN TV, CON GUSTO E IRONIA. E LA RAI LO MANDÒ VIA SENZA UN MOTIVO
Aldo Grasso per Corriere.it
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«Passepartout», il programma di divulgazione artistica di Philippe Daverio, scomparso oggi a 70 anni, per molto tempo ha saputo narrare il mondo attraverso quel racconto privilegiato che è la storia dell’arte: per fare un programma culturale non basta parlare di cultura.
Non è nemmeno necessario evocare «linguaggi alternativi»: bisogna invece avere competenza, passione e gusto per il dettaglio. Non capitava tutti i giorni di sentire frasi come «Hieronymus Bosch non è un direttore di circo ma un raffinato intellettuale che tenta di riassumere tutte le fiabe della fine del millennio, quando non fa più paura ma genera nuove fantasie»
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o «La pittura? Un virus latino diffuso in tutto il mondo dagli antichi romani» o «La madonna e Dio padre sembrano i reali di un misterioso oriente nordico» o «Questa è un’opera di catarsi didattica» o «La Pala di Isenheim di Matthias Grünewald conservata nel monastero degli Antoniani è uno dei dieci eventi pittorici più importanti dell’umanità, è la Cappella Sistina del Nord». Capitava una volta alla settimana, cui vanno aggiunte le migliaia di repliche estive. Ed era sempre una festa.
DAVERIO
Della curiosità e della conoscenza Daverio (così mirabilmente snob da fare l’assessore leghista alla cultura del comune di Milano, ai tempi di Formentini, e poi la tv) guardava sempre in macchina, per fissare lo spettatore con sguardo ora minaccioso ora complice. Ma, giocando sulle spinte contrapposte della ripulsa e della lusinga, lo conduceva in un affascinante viaggio.
Un bel giorno, era il settembre del 2011, la Rai decise di chiudere “Passpartout”, dando il benservito a Daverio, come fosse una “badante” del sapere. Nessuno è sceso in piazza a gridare contro l’oscurantismo, la censura, la libertà di pensiero.
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Nessuno ha evocato editti bulgari, ha parlato di “funerale del Servizio pubblico” o di “Italia del bavaglio”, come a suo tempo era stato fatto per altri conduttori.
A questo atto di ottusità della Rai, Daverio rispose con ironia, componendo un elogio funebre della sua trasmissione: «È improvvisamente mancato Passepartout, nel pieno della sua salute. Lo compiangono la redazione tutta e centinaia di migliaia di affezionati suoi seguaci. La causa del decesso è da ascriversi probabilmente ad una pallottola vagante sparata durante il riordino amministrativo recente della Rai che si è trovata costretta a passare dall’ordinamento privato della sua gestione a quello pubblico più consono alle risorse erariali che la alimentano».
Philippe Daverio
Daverio aveva una straordinaria capacità di farsi capire senza per questo evitare la complessità dei discorsi, di descrivere manifestazioni conosciute (dalla Biennale al Salone del Mobile) con un occhio diverso, di non trattare mai la cultura al pari di un oggetto o di un argomento, come di solito fanno le précieuses ridicules della tv.
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