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    "DE ANDRE'? UN BRONTOLONE, SI LAMENTAVA DI TUTTO" - MAURO PAGANI, CHE HA COLLABORATO CON "FABER" AL DISCO "CREUZA DE MA", CELEBRA I 40 ANNI DELL'ALBUM: "ASCOLTAVAMO IN MACCHINA LE CASSETTE DELLE MUSICHE DEL MONDO. IN MEZZO AI BRONTOLII, MI DICE: 'BELIN, QUESTA COSA È BELLISSIMA: BASTA CON LE INFLUENZE AMERICANE, FACCIAMO UNA ROBA NUOVA, IN GENOVESE'" - "FABRIZIO MI PORTAVA AL MERCATO DEL PESCE, DOVE LE DONNE VENDEVANO LA MERCE CANTANDO. DICEVA CHE I DIALETTI SVANISCONO QUANDO…" - VIDEO


     
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    Estratto da www.open.online

     

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    «Brontolava e si lamentava di tutto». Così il polistrumentista e compositore Mauro Pagani ricorda oggi Fabrizio De André in un’intervista rilasciata all’edizione torinese del Corriere della Sera. E rammenta: «Ho iniziato a collaborare con lui dopo il disco dell’Indiano (“Fabrizio De André” del 1981). In tour viaggiavamo in macchina assieme e ascoltavamo le cassette di ciò che facevo in studio, le musiche del mondo, soprattutto del Mediterraneo. Un giorno, in mezzo ai brontolii, mi dice: “Belin, questa cosa è bellissima: basta con le influenze americane, facciamo una roba nuova, in genovese”. All’inizio non lo presi sul serio: era il cantautore-simbolo dei testi in italiano, non poteva mica passare al dialetto. Invece era serissimo».

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    «CREUZA DE MÄ»

    Di «Creuza de mä» Pagani è stato co-autore, arrangiatore e produttore. Oggi al disco dedica uno spettacolo: […] «Sul palco siamo in nove e lo suoniamo per intero, ma è un disco breve, 35 minuti circa, perché Fabrizio i pezzi li contava con calma: diceva che le canzoni vanno rispettate, non sfruttate.».

     

    IL RAZZISMO E L’IGNORANZA

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    Tra i valori che ne fanno un album così importante, dice Pagani, «il primo è Genova. Fabrizio diceva che i dialetti svaniscono quando una città perde una guerra di troppo e a Genova, un tempo potente repubblica marinara, era successo quello. Il recupero della lingua, che lui mi portava ad ascoltare al mercato del pesce, dove le donne vendevano la merce cantando, è la sua prima forza. La seconda è l’attenzione per le culture del Mediterraneo: usiamo ancora i numeri arabi e la nostra medicina è debitrice di Avicenna e Averroè. La conoscenza ci difende dal razzismo e dall’ignoranza». […]

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