Paolo Conti per “Sette - Il Corriere della Sera”
Francesco De Gregori: il doppio album VivaVoce, ormai Disco d’Oro, e il libro-racconto fotografico Guarda che non sono io. Tutto mostra una gran voglia di fare il punto su una vita, una carriera.
francesco de gregori
«Il libro era un progetto partito due anni fa, la coincidenza col disco è stata casuale... ma i casi, si sa, non sono mai casi. Oggettivamente sì, c’è un riassunto, un bilancio. Una capacità di accettare la foto di me stesso oggi. Dieci anni fa non me la sarei sentita. Oggi sì».
In VivaVoce alcuni pezzi storici sono stati ripensati, “risuonati”. Per esempio l’intervento di Nicola Piovani per La donna cannone ha reso tutto più morbido. È così che capita, nella maturità?
«Forse sì. Diventa tutto più fluido. Più liquido... Scrivendo una nuova canzone c’è sempre la tentazione di inserire subito un ritmo, perché pensi che così le comunichi meglio, o che le radio te le passano più facilmente. Ma quando esegui un nuovo brano, affronti qualcosa che conosci poco.
francesco de gregori
Poi, negli anni, a forza di cantarlo, di sentire i giudizi altrui, si accumulano altri riflessi e trovi la strada migliore e più adatta per proporlo. Un po’ come succede con le giacche. All’inizio le “senti” nuove. Poi, dopo averle indossate, ci stai sempre meglio. Sempre più a tuo agio».
Come e perché ha deciso la tecnica di ripensamento delle canzoni?
«Nulla di studiato. Non abbiamo mai risentito prima le versioni originali e poi le abbiamo eseguite come venivano. Come succede nei concerti».
Un personaggio pubblico, lo dimostra il libro, è sempre costretto a rivedere se stesso giovane nelle foto e nei filmati. Fermo in “quel” momento. Non è pesante? Non sottolinea il tempo che passa?
«Fa parte del mio lavoro. La Rai, per esempio, passa continuamente immagini di me venticinquenne. Quel flusso fa sì che io abbia fatto pace con la mia immagine di allora e con quella di adesso».
FRANCESCO DE GREGORI 2
Quanti diversi “se stesso” ci sono nell’arco di una vita, dai venti ai sessantatré, quanti ne ha lei oggi?
«Io mi sento fondamentalmente uguale ad allora. A vent’anni, pensandomi a sessanta, mi immaginavo più saggio e posato, più colto, con meno slanci nel godermi la vita, forse più triste. Beh, non è accaduto nulla di tutto questo. Forse perché i cambiamenti sono graduali. Ma non ho niente di cui lamentarmi...».
I ragazzi che hanno oggi quegli stessi vent’anni cantano con i padri le sue canzoni. Cosa prova?
«Soddisfazione. Fossi più cretino, direi che mi sento un figo. Ma con l’arte capita. E la cosa mi piace».
Lei ha deciso di non tingersi i capelli né la barba, di accettare i cambiamenti provocati dal tempo. Una scelta anomala per chi sta sul palcoscenico.
«Trovo faticosissimo rimanere giovani con i mezzi tecnici. I risultati sono spesso ridicoli e creano infelicità. Ora mi ritrovo somiglianze con mio padre invecchiato, così come mi rivedo nei miei due figli. Provo non direi un’emozione, ma un senso di appartenenza familiare. E quindi molta serenità. Quando mi dicono “però, eri carino, allora”, io rispondo: “E perché, oggi non sono carino?” (ride)».
toni renis e antonello venditti 2
Altra anomalia. Lei è sposato dal 1978 con la stessa donna, Francesca Gobbi. Ha “lavorato” molto su questo matrimonio?
«Se ci avessimo lavorato, se avessimo compiuto sforzi, non saremmo rimasti insieme così a lungo. È questione di fortuna, più che di disciplina. La verità è che senza Francesca mi annoio. E credo succeda anche a lei».
Lei ha detto che per un artista è vietato lavorare su misura per l’indice di gradimento. davvero mai fatto?
fabiola pino daniele
«Mai. Ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti, e anche con discografici, che mi hanno sempre dato la sensazione di realizzare ciò che era giusto per me. Capita che un brano, un disco vadano male. Ma è meglio fallire rimanendo se stessi piuttosto che fallire, per di più cercando il consenso. Anche Alice o La donna cannone all’inizio non sono state capite. La donna cannone, poi, proposta in pieno dominio della disco music...».
C’è chi si interroga ancora sul senso di Alice. Lei ha detto che non si può cercare di “comprendere” Otto e Mezzo di Fellini. E lo stesso vale per alice. Ma adesso, quarant’anni dopo, cos’era Alice?
nicola piovani
«C’era la mia scoperta dei surrealisti, dopo lo studio dei classici a scuola.... Però c’era tanto altro. Non l’ho mai detto prima, ma in Alice c’è un po’ il mio autoritratto in quel momento. Il marito appena sposato che vorrebbe fuggire, e non potrà mai farlo, alla fine sono io... cominciavo a capire che il mondo della musica, dello spettacolo non sarebbe più stato un hobby, ma la mia vita, il mio lavoro. Lo sentivo, lo capivo, e lo speravo anche. Ma c’è sempre una voglia di fuga quando vedi il tuo futuro definito».
Qual è la canzone che ama di più. Se dovesse sceglierne una tra tutte?
«Ce ne sono di più belle e più brutte, più riuscite e meno riuscite. Ma non ce n’è una sola alla quale rinuncerei. Me ne sono accorto realizzando questo disco».
Lei parla spesso di Patria. La ama ancora?
«L’Italia si può ancora definire terra felice per la sua storia, la sua bellezza artistica, per il paesaggio. Certo, siamo un Paese in crisi, ma alla fine prevale questa dolcezza. Perché la domanda è: siamo in crisi solo noi o il mondo? Il problema sono Berlusconi o Renzi, o è un certo sistema planetario che si sta rovesciando? Alla fine prevale questa dolcezza che si associa alla nostra debolezza».
Quale debolezza?
LUCIO DALLA
«Tempo fa ho rivisto un libro, Lavorare con lentezza, su Enzo Del Re che bazzicava al Folkstudio, la palestra dei miei esordi. E recentemente sono stato in Germania. Ho visto la differenza e capisci perché la Merkel voglia far pagare all’Italia lo scotto per questo suo “lavorare con lentezza”, una particolarità tutta italiana, un ritardo rispetto alle moderne democrazie. E forse così ti spieghi, in certi ambiti, la pressione fiscale, la corruzione».
Domanda che le hanno già fatto, ma a questo punto è inevitabile: riscriverebbe Viva l’Italia?
«No, perché l’ho già scritta. Però la canto volentieri. Perché mi fa sperare che l’Italia possa concepire un modo diverso di lavorare, di pensarsi italiani, rispetto a quello che abbiamo sempre conosciuto».
Matteo Renzi la convince?
«Vorrei dargli tempo. Perché nessuno glielo concede. Alla fine mi è simpatico perché ha tanti, troppi nemici. Tutti sembrano voler parlare male di lui, si trova sotto un fuoco incrociato terrificante. Penso che il suo riformismo moderato possa essere una buona cura per questo Paese, se sarà in grado di realiz- zarlo. Non ho certo un atteggiamento messianico. Non ho più l’età in cui ci si innamora di un progetto senza realizzazioni».
matteo renzi e angela merkel
Si sente ancora “di sinistra”?
«In un’intervista ad Alzo Cazzullo tempo fa dissi che per me la sinistra significava la difesa dei più deboli, dei diritti, del principio di uguaglianza, ma che ora appare polverizzata intorno tanti temi diversi, spesso in conflitto tra loro. Si po- trebbe discutere per ore su cosa è di sinistra, di destra, più di sinistra, più di destra. Se io vado tra i No Tav mi considerano di destra. La verità è che il mio interesse per la politica, oggi, si è enormemente attenuato. Preferisco discutere di altro. Di arte. Di spiritualità».
RENZI MERKEL SELFIE
A proposito di questo, lei ha detto che un artista non può non confrontarsi con questa parte di noi stessi. si considera ateo?
«Ateo è una parola sorda, muta. Non mi sono mai considerato un ateo. E non amo parole come agnostico, non credente, che partono da una negazione di ciò che non si è, o forse si vorrebbe essere. Per me la spiritualità, la trascendenza appartengono a una zona di dubbio sulla quale non posso darmi una risposta. Cioè non mi invento una risposta “atea” né da credente per dire “sì, ho trovato”. Mi ritrovo in Leopardi, “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Questo non poter sapere è la misura della mia assoluta inadeguatezza rispetto al poter comprendere tutto ciò che ci circonda. E mi va benissimo».
In palcoscenico indossa sempre cappello e occhiali scuri. Perché?
«Perché fa parte dello spettacolo. In palcoscenico un po’ ci si maschera. Per me, cappello e occhiali è come truccarmi».
C’è una differenza tra il de Gregori uomo di tutti i giorni e il de Gregori artista?
francesco de gregori nicola piovani
«Non c’è nessuna differenza tra l’uomo e l’artista. Resto un uomo normale e un artista anche con le borse della spesa in mano. Ma se si cerca l’uomo di spettacolo, allora bisogna aspettare il concerto...».
Parlano di lei ormai come di un classico. Ne sente il peso?
«Se vogliamo usare questa parolona... forse sono un classico perché alcune canzoni sono scolpite nel corredo di chi ha la mia età, perché hanno toccato qualcosa di delicato, una nervatura. Probabilmente per la loro sincerità. Sì, tutto questo mi fa piacere».
Francesco De Gregori
Le manca molto Lucio Dalla?
«Sì, ma in modo piacevole. Ho un ricordo bello e solare del nostro incontro, ho avuto la fortuna di lavorare con un grande artista con reciproca soddisfazione. Tutto questo mi ha arricchito. Sono grato alla vita di aver condiviso con Lucio la tipica intimità che nasce tra musicisti quando suonano insieme. Poi tutto questo è finito. Succede anche con i grandi amori che si concludono. Ti dispiace, ma alla fine la bellezza predomina sul dolore. E così la morte. Fa parte della vita. Ci devi stare».