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    “GLI INGLESI CHE SI SONO TOLTI LA MEDAGLIA DURANTE LA PREMIAZIONE? HO TROVATO QUESTA POLEMICA PATETICA" - DE ROSSI SCATENATO: “SONO STATO UN BUON GIOCATORE MA SE SERVIVA ANCHE UN FIGLIO DI PUTTANA. CHIELLINI LO AMI SE STA NELLA TUA SQUADRA, ALTRIMENTI LO ODI. NOI SIAMO QUESTI. AZZURRI, NON PRINCIPI AZZURRI” – E POI MANCINI, IL COVID, I NO VAX: "LE LORO MANIFESTAZIONI SONO PURA FOLLIA. LE IMPOSIZIONI MI FANNO SCHIFO MA…” – DOPO L’ADDIO ALLA NAZIONALE, LA ROMA PENSA DI AFFIDARGLI LA PRIMAVERA


     
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    Andrea Di Caro per Sportweek- La Gazzetta dello Sport

     

    ESULTANZA DE ROSSI EURO 2020 ESULTANZA DE ROSSI EURO 2020

    Foto di gruppo festante, al centro la Coppa appena conquistata. Ad accompagnarla questo commento: "Non ridevamo tutti perché si vinceva, ma vincevamo perché ridevamo tutti". La sintesi più bella, intensa e azzeccata dell’impresa dell’Italia all’Europeo non l’ha regalata Churchill, Giulio Cesare o Gandhi in uno dei loro discorsi epici, ma Daniele De Rossi sul suo profilo Instagram.

     

    Che peraltro usa pochissimo: non è social, Daniele, non insegue follower, like, cuoricini e consensi. Non l’ha mai fatto durante la sua lunga e prestigiosa carriera, nonostante sia tra i pochi a potersi fregiare del titolo di campione del Mondo e d’Europa. Non cerca copertine, cura la barba ma non l’immagine, le sue interviste sono rarissime ed è un peccato perché con De Rossi un argomento tira l’altro e lui li affronta tutti senza mai nascondersi, prendere tempo, abbassare lo sguardo.

     

    de rossi spinazzola de rossi spinazzola

    Lo ascolti e ritrovi nelle sue parole la stessa concretezza dei suoi tackle, l’efficacia delle sue scivolate, la potenza dell’urlo liberatorio che dopo un gol gli faceva gonfiare sul collo l’emblematica 'vena di De Rossi', ma anche il calore e la solidità degli abbracci che non ha mai fatto mancare a un compagno in difficoltà.

     

    Daniele è passato un mese dal trionfo di Wembley e…

    "E ancora ridiamo!"

    Ma allora perché hai deciso di lasciare lo staff di Mancini e il gruppo azzurro?

    "È stata una scelta difficile perché mi sono trovato splendidamente. Io ho dato forse un 1 per cento e loro in cambio mi hanno permesso di vivere un’esperienza indimenticabile. Sarò sempre debitore verso la Nazionale. Però ho chiaro cosa voglio fare: allenare. E per quanto possa sembrare strano, visto che ho solo 38 anni e non mi sono mai seduto in panchina, mi sento pronto. Continuare con la Nazionale, aspettando la prima panchina che si libera, non avrebbe senso e non sarebbe corretto verso la Federazione e verso Mancini che con me si è comportato in modo fantastico".

     

    Riavvolgiamo il nastro: come è nata la possibilità di entrare nel suo staff?

    luis enrique de rossi luis enrique de rossi

    "Quando lasciai la Roma, il mister mi invitò a casa sua e mi offrì di diventare un suo collaboratore. Lo ringraziai, ma rifiutai perché avevo in testa un sogno: giocare con la maglia del Boca Juniors… Mi guardò come se fossi matto, ma mi lasciò una porta aperta: 'Anche il giorno prima che cominci l’Europeo, se avrai voglia di unirti a noi chiamami. Ci serve uno come te'".

    Beh, la tua voglia l’hai dimostrata unendoti al gruppo senza percepire compenso. Un bel gesto…

    "Avrei pagato io per fare questa esperienza. Tra Covid, corso allenatori a singhiozzo, patentino rinviato, avevo bisogno di iniziare".

     

    Primi pensieri?

    "Mi sono detto: non devo fare troppo il freddo, cambiando il rapporto con giocatori che conosco da anni, ma neanche essere il compagnone di una volta. Sicuramente saranno bravi loro a non coinvolgermi e a non mettermi in difficoltà. Coverciano, pronti via: 'Bella Daniè, l’hai portata la PlayStation?'.

     

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    E meno male che puntavo sulla loro sensibilità (ride, ndr). Il timore più grande però era entrare in uno staff collaudato. Non volevo pensassero che fossi lì per farmi vedere, scalpitare o rubare spazi. Preoccupazioni inutili: i valori umani di questo gruppo sono così solidi che non esistono gelosie. C'è una tale armonia che mi sono sentito sempre libero di dire la mia. Giocatori e staff sono stati una cosa sola, ma quando 60 persone sembrano tutte belle e buone il merito principale non è di quelle 60 ma di una sola, quella che le guida".

     

    Iniziato il torneo avevi la sensazione che l’Italia potesse arrivare in fondo?

    "Sì, per la qualità, la continuità e la coralità del gioco, la compattezza, l’identità forte e lo spirito di gruppo che altri non avevano e ci hanno permesso di affrontare tutti senza paura. Poi è chiaro che per arrivare ad alzare la Coppa ti deve anche dire bene ogni tanto. Successe anche a noi azzurri del 2006, perché se Francesco (Totti, ndr) non segna quel rigore all’ultimo minuto con l’Australia…".

     

    Qual è stato il momento di svolta?

    luis enrique totti de rossi luis enrique totti de rossi

    "Beh, se contro l’Austria Arnautovic fosse partito 10 centimetri dietro, oggi forse non staremmo a raccontare questo trionfo. Quel gol annullato è stato l’attimo fuggente che abbiamo colto. Lì è scattato qualcosa".

    E poi i rigori…

    "La vita può cambiare con un solo tiro. Siamo gli eroi nel 2006 per un rigore avversario che ha preso la traversa interna. Non è accaduto nel 1994 per uno nostro calciato alto… Abbiamo vinto l’Europeo grazie ai rigori in semifinale e in finale. Però non è solo fortuna o come tirare una monetina. C’è studio, preparazione, abilità, precisione, freddezza, ci sono tante cose dietro un calcio di rigore".

     

    Per gli avversari c’è qualcosa anche davanti: un muro come Donnarumma…

    "Per segnare a Gigio devi tirare benissimo, e spesso non basta. Oggi è un portiere senza limiti, può raggiungere tutto, compreso il Pallone d’oro. Governa la difesa, riprende il compagno se sbaglia e sta acquisendo le malizie e il carisma della coppia di killer che gli gioca davanti".

    Parli di Bonucci e Chiellini…

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    "Sono due mostri. Quando giocavano con Barzagli, consideravo lui il più completo: un fenomeno. Tra Federer-Bonucci e Nadal-Chiellini, per me Barzagli era Djokovic, un mix perfetto. Pensavo che senza di lui e Buffon avrebbero sofferto, e invece… Sono affamati di vittorie e professionisti incredibili, con una conoscenza perfetta del proprio corpo. Si allenano e fanno prevenzione più di tutti: da sempre".

     

    Da allenatore quanto pensi sarà importante trasferire professionalità e mentalità?

    "Tanto, ma ci sono teste di giocatori dentro le quali non entrerai mai. Puoi spingerli, spronarli, ma non ce la faranno mai ad essere come i Bonucci e i Chiellini. Ho avuto compagni a cui ripetevano mille volte di mangiare sano, poi andavano a casa e si facevano una birra con la crepe alla nutella.

     

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    O di dormire di più e invece la sera uscivano lo stesso. Non li cambi, ti seguono dieci giorni poi mollano, perché pensano di poterne fare a meno. E da tecnico devi essere bravo anche a capirlo e trovare strade alternative per trarre il meglio da tutti in base a quello che possono darti. Poi quando stanno per smettere capiscono quanto sarebbe stato importante fare diversamente. E quanto conta alla fine per vincere".

     

    Ma vincere è l’unica cosa che conta?

    gravina de rossi gravina de rossi

    "È una frase che non apprezzo. Non rispecchia quello che per me è lo sport. Se la Nazionale avesse perso ai rigori con l’Inghilterra avrebbe comunque lasciato un ricordo indelebile negli italiani. Il calcio è pieno di storie bellissime di chi alla fine non ha vinto. Ma di certo quello che pretenderò da tecnico è che i miei giocatori, da quando si svegliano a quando vanno a dormire, abbiano la convinzione e la voglia di vincere la domenica. Perché vincere non è l’unica cosa che conta, ma deve essere l’unico tuo obiettivo. Questa è per me la mentalità vincente".

     

    Gli abbracci tra Vialli e Mancini, Cristante che accarezza Spinazzola a terra, tu che lo porti in braccio ad esultare… Fotogrammi da brividi.

    “Vialli ha trasmesso tanto a tutti, è un lottatore, un uomo onesto che quando parla emoziona. L’infortunio di Spinazzola ha dato al gruppo una motivazione in più: regalargli la Coppa”.

    Gli inglesi che si sono tolti la medaglia durante la premiazione sono stati tacciati di antisportività.

    "Non so fingere: ho trovato questa polemica alimentata da noi italiani patetica. Ho visto decine di finali in cui chi ha perso si è levato la medaglia. Sono rimasti lì 20 minuti, hanno visto noi alzare la coppa a casa loro, qualcuno ha pure applaudito. Che dovevano fare di più? Abbiamo vinto, siamo stati i più belli, gli abbiamo urlato in faccia il nostro orgoglio, non facciamogli pure la morale.

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    Che non è nel nostro Dna, visto che non siamo degli stinchi di santo. Hanno fischiato il nostro inno? Brutto, certo. Ma quante volte i nostri tifosi hanno fischiato quello altrui e Buffon doveva chiamare l’applauso? Sono stato un buon giocatore, ma se serviva anche un figlio di p…. Chiellini lo ami se sta nella tua squadra, altrimenti lo odi. Io da avversario in certe partite gli ho fatto pure qualche entrata dura. Noi siamo questi: azzurri, non principi azzurri".

     

    Polemiche anche per i vostri festeggiamenti sul pullman scoperto a Roma e le norme anti Covid.

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    "Il problema dell’innalzamento dei contagi non credo sia dipeso da quel tratto di strada, dopo aver visto giorni di feste nelle piazze e migliaia di persone davanti ai maxischermi durante tutto l’Europeo. Se polso fermo doveva esserci, era giusto mostrarlo anche prima. Gli enti preposti dovevano organizzare meglio il nostro rientro e l’inevitabile accoglienza. Detto questo, non è neanche normale che se il ministero dice di no, poi cambi idea perché i calciatori chiedono un’altra cosa".

     

    Nel tuo riscaldamento con i giocatori azzurri prima della finale e nella festa negli spogliatoi quando ti sei buttato sul tavolo, c’è stato l’ultimo passaggio tra il calciatore e il tecnico De Rossi?

    "Credo che questa esperienza mi sia servita per attraversare metaforicamente una porta. Il riscaldamento l’ho fatto perché allenavo i portieri e altrimenti mi sarei stirato, ma mi sarebbe piaciuto da morire giocare la finale. Però mi è piaciuto altrettanto leggere la partita, gestendo le emozioni, in tribuna in giacca e cravatta. Quel tuffo sul tavolo è stato un riconoscimento per quello che i ragazzi avevano fatto. In certi momenti reprimere la gioia non ha senso. Ognuno la vive a modo suo: c’è chi piange, chi urla, chi si butta su un tavolo".

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    Quanto vorresti che restasse del De Rossi calciatore nel De Rossi allenatore?

    "La percentuale del calciatore nel tempo andrà sempre più diminuendo, ma non vorrei perderla del tutto. Ricordare cosa si prova in certi momenti prima, durante e dopo le partite credo sia un valore aggiunto per capire i giocatori e creare la giusta empatia. Perché il calcio non è solo filosofia e libri di schemi, ma anima ed emozioni, stress e motivazioni".

     

    Però Arrigo Sacchi diceva: per essere un grande fantino non bisogna essere stato un cavallo.

    "I grandi maestri come lui si ascoltano, non si contraddicono. Sacchi è tra i pochi ad aver cambiato il gioco del calcio e ha vinto tutto senza una carriera da giocatore alle spalle. Ma ritengo che averla avuta, pur non essendo indispensabile, aiuti a comprendere la psicologia di un calciatore e capire come e quando dire le cose. O quando è il caso di fermarsi".

    Poter allenare ex compagni è un vantaggio o un rischio?

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    "Dipende dalla tua personalità e dalla loro intelligenza. Possono aiutarti se non pretendono un trattamento di favore. Non è un problema se qualcuno mi chiama Daniele. Al Boca tutti chiamavano il mister Gustavo. Basta che non manchi mai il rispetto. Con i giocatori puoi essere più o meno amico, l’importante è essere sempre chiaro e onesto: se metti una maschera, se sei falso, ti scoprono subito ed è finita".

     

    Cosa ti lascia questa esperienza con Mancini?

    "Tantissimo. A volte in giro c'è un po' di 'fenomenite'. C'è chi parla di calcio come se fosse una cosa per scienziati. Mentre i maestri veri, come Mancio, lo semplificano. Riconoscere la qualità dei giocatori, utilizzarli nel proprio ruolo, metterli a proprio agio a livello umano, allenarli bene, saper preparare la partita evidenziando i punti deboli degli avversari e i punti forti tuoi: il calcio alla fine è questo. Poi certo c’è qualcuno che innova ed è più bravo di un altro. Io proverò a metterci del mio, ma quelli che hanno stravolto il calcio si contano sulle dita di una mano".

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    E allora mister De Rossi, qual è il suo calcio?

    "Alt. Quando giocavo, sentire un allenatore che parlava del 'suo' calcio già mi urtava. È facile rispondere che amo una squadra offensiva, votata all’attacco, ma che rispetti gli equilibri.

     

    Ma lo possono dire tutti. Il mio calcio è libero, senza etichette. Deve esserci il giusto mix tra le idee che uno ha, la qualità della rosa, gli obiettivi da raggiungere, la conoscenza del club, la sua storia e il suo Dna che non va tradito. Rispettando le radici e la tifoseria. Ci sono club di lotta e altri di governo. Non c’è il mio calcio, ma quello che credo sia giusto proporre in base a tante componenti. Mi piace costruire il gioco dal basso, ma se ho un portiere con i piedi fucilati o due centrali tecnicamente inadatti, cerco alternative. A meno che non sei l’allenatore del Psg e ti fai comprare pure Messi…".

     

    Molti tecnici oggi sono diventati maestri di comunicazione. Spesso un po’ furbetta…

    "Io non devo vendere nulla, non amo regalare frasi a effetto. Non dirò che la prossima squadra è quella che sognavo da bambino. E quella del mio cuore già si conosce. Certamente darò tutto me stesso per il club che mi sceglierà, ma non dirò proverbi milanesi se andrò a Milano o citerò Totò a Napoli. Le trovo paraculate che lasciano il tempo che trovano".

     

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    Sapresti formare l’allenatore perfetto con le caratteristiche di quelli che hai avuto?

    "Farei torto a qualcuno. Tra Roma e Nazionale ne ho avuti tanti in momenti diversi della mia carriera. Avere a 18 anni Capello lo augurerei a qualsiasi ragazzo. Il primo Spalletti è stato geniale. Luis Enrique proponeva un calcio nuovo e umanamente mi ha dato tanto. Conte è un martello ma cosa vuoi dire a uno che dovunque va vince il campionato? Con Zeman non mi sono trovato bene, ma il suo gioco offensivo era spettacolare. Ranieri e Di Francesco mi hanno fatto sognare scudetto e Champions League".

     

    Quanto mi dai se non ti chiedo anch’io quanto ti piacerebbe allenare la Roma?

    "Nulla, perché ti rispondo senza problemi… Tutti sanno cosa è stata e sarà sempre la Roma per me: una seconda pelle, un amore appassionato e puro. Certo che mi piacerebbe allenarla, quando sarò pronto e me lo sarò guadagnato per il mio valore da tecnico e non per il mio passato da calciatore. Credo che accadrà un giorno. Ma è un desiderio, non un’ossessione. Ora voglio fare le mie esperienze in Italia o all’estero".

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    I tifosi ti avrebbero voluto come vice Mourinho.

    "Due minuti dopo l’annuncio del suo arrivo, il mio telefono è stato invaso di messaggi: 'Sarai tu il vice…'. Era il desiderio della gente, per la quale io sono come un fratello. Ma a chiunque sostiene che Mourinho potesse avere bisogno di me consiglio di andare su Wikipedia e vedere tutto quello che ha vinto. Ecco, vi assicuro che l’ha vinto senza di me…".

     

    Cosa potrà dare lo Special One alla Roma?

    "Ancora prima di arrivare aveva già dato tanto. Aspettative, sogno, entusiasmo. Quello di cui si ciba ogni tifoso. Dopo l’addio di Totti e il mio, trovare una nuova identificazione era una necessità forte del tifoso della Roma".

    La gente sognava anche il ritorno di Totti.

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    "Mi sembra sereno e soddisfatto del suo nuovo ruolo di agente, che gli permette anche di godersi la famiglia. Ma spero anch’io di rivederlo un giorno nella Roma. Invece di ripetere che non era pronto, che avrebbe dovuto studiare, io credo che Francesco avrebbe meritato una vera chance come dirigente, perché lui sa tanto di calcio. Non essere valorizzato e considerato lo aveva spento e deluso. Mi faceva male vederlo così".

     

    Da Allegri a Spalletti, da Mourinho a Sarri, da inzaghi a Pioli fino a Gasperini… Che sfide in panchina quest’anno.

    "Ci aspettano non solo partite ma anche conferenze stampa pirotecniche. Sono tutti affamati di vittorie o di rivincite, peccato non ci sia Conte, forse il più agonista di tutti".

    Chi parte in pole?

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    "La Juve, come lo scorso anno d'altra parte. L'Inter ha perso tre pezzi da novanta, sarà dura ripetersi. Il Milan proseguirà sul solco tracciato. L'Atalanta è la storia più bella del calcio italiano degli ultimi dieci anni, merita di vincere qualcosa. Il Napoli è l'ideale per Spalletti: può sognare. Sarri farà giocare bene la Lazio. E Mourinho può essere una bomba atomica a Roma. Ci sarà da divertirsi".

     

    E in fascia media?

    "Sono curioso di vedere la Fiorentina di Italiano. Il Cagliari ha una rosa importante, il Bologna di Sinisa darà fastidio a tutti, Juric riporterà il Torino dove merita. Lo Spezia di Thiago Motta potrebbe stupire".

    Appesi gli scarpini, sei riuscito ad apprezzare quegli aspetti della vita che la carriera toglie un po’?

    "La straordinaria esperienza umana e di vita al Boca Juniors è terminata nel gennaio del 2020. Avevo in programma viaggi, partite da vedere in Italia e all’estero, visite ad allenatori. Sognavo di andare in India affascinato da Shantaram, il libro più bello che abbia mai letto e che mi riporta alla mente uno dei più cari amici che ho avuto nel calcio: Davide Astori, che in India c’è stato. Ma due mesi dopo aver smesso di giocare è scoppiato il Covid e ci siamo ritrovati tutti chiusi in casa".

     

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    Come hai vissuto il lockdown?

    "All’inizio in modo traumatico, poi mi ha fatto riscoprire quanto sia importante e unico stare con la propria famiglia. Ho fatto a tempo pieno il marito di Sarah e il papà di Gaia (16 anni), Olivia (7) e Noah (5). Certo, so di parlare da privilegiato: non avevo problemi di spazi o economici, l’unica attenzione era non contrarre il virus".

     

    Siete una famiglia molto riservata.

    "Sì da un punto di vista mediatico, ma poi ci piace vivere in mezzo alla gente. Ho scelto una casa in pieno centro, non ci siamo chiusi in una villa separati dal mondo. Mi affaccio sulla bellezza di Castel Sant’Angelo, ma viviamo anche la Roma 'stradarola' più autentica e verace".

    Quanto ti ha cambiato l’incontro con tua moglie, l’attrice Sarah Felberbaum?

    "Mi ha aperto un mondo diverso, regalandomi una multiculturalità che fa parte della storia della sua straordinaria famiglia. Abbiamo gli stessi ideali e valori, condivido con lei la passione per i viaggi, i libri, l’arte e il cinema che è la sua professione. È più riflessiva di me e ha saputo gestire benissimo il suo triplo ruolo di madre, moglie e attrice. Pur avendo accanto un uomo famoso che avrebbe potuto offrirle dei vantaggi o conoscenze, non mi ha mai fatto mezza richiesta. Ha una grande pulizia e onestà intellettuale. Sarah non è mai pressante, sa lasciarmi libero, capire quando devo decomprimere. Grazie a lei sono cresciuto come uomo e marito. Non so se io ho migliorato lei, di certo lei ha migliorato me".

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    Hai paura che da allenatore possa portarti lo stress a casa?

    "Un po' sì. Ho visto tanti tecnici essere sopraffatti dalla pressione del lavoro. Ma anche tanti che quando staccano, ci riescono. Spero di non dimenticare mai che la vita è una e va goduta in tutti i suoi aspetti. Dare il cento per cento in tante cose e non lasciare che una sola cosa diventi il tuo cento per cento".

    Alla fine il Covid ha colpito anche te, in Nazionale.

    "L'ho preso in Bulgaria. Sono stato subito male con febbre alta, ma l’ho sottovalutato. Avevo letto che alla mia età, 37 anni, al massimo avevi tre giorni di febbre. Invece è stato un crescendo. Ho vissuto tre fasi. La prima, di malessere vero: tosse tutto il giorno e nausea. Spossante. La seconda, della paura: in ospedale allo Spallanzani, dopo aver preso la saturazione che misurava 87 i dottori, che non smetterò mai di ringraziare, hanno cambiato faccia… Sono stato quattro giorni sotto ossigeno. La terza fase è stata quella dell’attesa: finiti i sintomi, sono rimasto 18 giorni positivo, senza poter uscire".

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    Come passavi il tempo?

    "Guardando il mare dalla finestra… Mi ero trasferito in isolamento a Ostia dove sono nato. Sono tornato spesso con la mente a quando ero ragazzino. La mia infanzia, mio padre che quando rompevo mi diceva: prendi il pallone e vai a giocare. Oggi invece ai nostri figli per farli stare tranquilli diamo l’iPad. Altri tempi. Sono cresciuto per strada e mi è servito. Andavo a scuola alla Passeroni alle medie e passavo per la pineta per andare a casa di nonna. Oggi avrei paura a fare quel tragitto. Ho visto quartieri disagiati, palazzi diroccati. Chi ha avuto tanto dalla vita deve restituire qualcosa. Voglio fare qualcosa per Ostia: magari permettere ai ragazzini di fare sport in una zona pulita e non pericolosa".

     

    Quando eri in ospedale è girato ed è stato pubblicato anche un tuo video con la maschera di ossigeno.

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    "L’avevo mandato agli amici più stretti per rassicurarli, uno di loro l’ha girato in una chat di famiglia e da lì è uscito. L’inoltro è l’opzione peggiore di WhatsApp, andrebbe eliminato. Però anche i giornali e i siti dovrebbero fermarsi prima di pubblicare un materiale riservato senza la volontà del diretto interessato. Il dolore spettacolarizzato e questa morbosità per incidenti, infortuni, malattie, non la condividerò mai. Disumanizza la società".

     

    Impazza la protesta dei no vax: che ne pensi?

    "Sono vaccinato, mai stato contro. Posso capire l’anziano che ha paura delle reazioni, ma le manifestazioni in piazza di chi parla di complotti e nega il Covid, le ritengo pura follia. Avere intorno gente che ragiona così mi spaventa. Il vaccino è l’unica strada per tornare ad avere una vita normale. Gli obblighi e le imposizioni mi fanno schifo sempre, la democrazia non si tocca, ma la tua libertà di scegliere non può intaccare la mia salute".

    Dopo l’Europeo anche le Olimpiadi ci hanno regalato emozioni fortissime.

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    "Le ho sempre seguite e le ho anche disputate vincendo un bronzo ad Atene nel 2004. So cosa significano per gli atleti. Da Jacobs a Busà mi hanno esaltato tutti. Se la guida di Giovanni Malagò continuerà a essere così brillante chi non ha vinto a Tokyo lo farà a Parigi. Spero che dopo questi Giochi anche noi del calcio sapremo dare la giusta importanza a questa manifestazione unica".

     

    Voltati indietro e scegli un fotogramma della tua carriera.

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    "Io e mio padre in macchina mentre andiamo a Trigoria il giorno dopo il mio primo gol in Serie A. Mi arriva sul telefono un video in cui parlano del giovane De Rossi a 90' minuto, che per me era sempre stato un appuntamento in tv imperdibile. È stato uno dei momenti più belli della mia vita".

    E uno che vorresti vivere in futuro?

    "Io e Lele Mancini che sarà il mio vice con un trofeo importante in mano a festeggiare. È il mio migliore amico, con lui ho condiviso tutta la carriera nelle giovanili della Roma. È stato meno fortunato di me, vorrei regalargli una soddisfazione altissima, che da giocatore non si è mai tolto e si sarebbe meritato. Magari qui, a casa nostra… Dove l’aspettano da tanto tempo".

     

    La cosa di cui vai più orgoglioso?

    "Ho sempre difeso i miei compagni di squadra. Mai una volta ho girato loro le spalle. Spero di essere bravo a fare la stessa cosa con i miei giocatori".

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