Gianna Fregonara per il “Corriere della Sera”
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Neppure l'emergenza Covid ha convinto i giovani medici a scegliere per la loro vita professionale specialità come la medicina d'urgenza e la rianimazione, che in questo ultimo anno e mezzo sono state fondamentali per limitare i danni della pandemia e salvare molte vite.
Quest'anno c'erano a disposizione 17 mila borse di studio quinquennali per gli specializzandi che cominceranno i corsi il primo novembre. Un numero molto maggiore rispetto al passato - quasi il doppio se paragonato a due o tre anni fa. Ne sono rimaste 1.300 non assegnate o rifiutate. Una parte verrà probabilmente recuperata scorrendo la graduatoria tra gli esclusi e i posti che ancora rimarranno vuoti verranno messi a bando di nuovo il prossimo anno.
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Ma il dato che più colpisce è che il maggior numero di «buchi» riguardi le specializzazioni del Covid: per i medici di pronto soccorso su 1.077 borse ben 456 sono rimaste senza titolare; per gli anestesisti e rianimazione ce n'erano 2.100, ne sono rimaste 166 e persino per microbiologia e virologia ne sono avanzate 76. Se a questo si aggiunge che anche tra chi ha accettato il posto di medicina d'urgenza c'è un 15 per cento che lo ha fatto per fare esperienza e il prossimo anno proverà a passare ad un altro campo, la situazione è drammatica.
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È ormai da qualche anno che al momento di scegliere, i giovani medici preferiscono cardiologia, oftalmologia, otorinolaringoiatria, professioni «ambulatoriali». Un tema che è ben noto anche alla ministra dell'Università Cristina Messa, che è medico e aveva già lanciato l'allarme su questo nuovo fenomeno che rischia di lasciare vuoti molti posti chiave negli ospedali già nei prossimi anni, quando tra l'altro è attesa un'ondata di pensionamenti senza un adeguato numero di specializzati per garantire il turn-over.
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«I giovani sono disincentivati a scegliere la specializzazione in pronto soccorso o rianimazione perché è un lavoro molto gravoso che non è riconosciuto. Anzi - spiega Salvatore Manca presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) - negli ultimi tempi sono aumentate le aggressioni da parte dei malati e dei parenti che costituiscono un preoccupante rischio per tutti noi».
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In più, ad ascoltare i rianimatori, non c'è un riconoscimento che si tratti di una professione «usurante»: «E per giunta i medici di medicina d'urgenza - continua Manca - sono gli unici che non possono fare libera professione intramoenia». Responsabilità, pressione, fatica, difficoltà a fare carriera: sarà anche tutto questo ma già lo scorso dicembre lo studio dell'Anaao-Assomed segnalava che negli ospedale mancavano 3.000 anestesisti rianimatori per garantire la normale attività.