Estratto dell'articolo di Renato Franco per www.corriere.it
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Ha avuto un successo planetario come cantante, ma non cantava. È arrivato ad avere 13 miliardi di lire in banca ma poi ha perso tutto. Oggi vive nove mesi all’anno a Malaga, fa serate ma potrebbe anche non lavorare. La parabola di Den Harrow (vero nome Stefano Zandri, 60 anni da Nova Milanese) è l’immagine degli Anni 80, un decennio di superficialità ed edonismo, ma anche di opportunità che oggi sono impensabili.
L’adolescenza?
«Un disastro. Da ragazzino ero dislessico e grasso, venivo bullizzato. Fino ai 13 anni la mia infanzia è stata difficile. Poi — è il mio temperamento — mi sono arrabbiato, sono dimagrito 20 chili in un mese, mi sono messo a praticare arti marziali e dopo un anno ho picchiato tutti i bulli che mi avevano menato».
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La scuola?
«Altro disastro. La dislessia non era ancora stata diagnosticata e quindi io per le maestre ero solo un ragazzo che faceva fatica a capire; sono stato bocciato in terza elementare. Ancora oggi se non mi concentro capovolgo lettere e numeri, sul cellulare ho la rubrica con tanti numeri di telefono sballati».
La musica è una traiettoria che arriva per caso.
«Da brutto anatroccolo mi ero trasformato in un bel ragazzino e avevo cominciato a frequentare una discoteca a Milano[…]Quando ballavo intorno a me la gente si metteva in cerchio a guardare, tipo Febbre del sabato sera, un film che all’epoca mi fece impazzire. Infatti volevo fare il ballerino, ma un giorno mi chiesero se volevo fare il cantante: c’era un disco già pronto, già cantato».
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In che senso già cantato?
«Negli Anni 80 funzionava così, c’erano personaggi che prestavano solo l’immagine e la voce era di altri. Era la prassi, io avevo 19 anni e mi dissero che mi sarei chiamato Den Harrow: era un gioco di assonanze con denaro».
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Che vita faceva?
«In una settimana prendevo 10 aerei, ho passato la mia gioventù in volo e in hotel. E poi ero frustrato, mi sentivo di prendere per il culo la gente […] nessuno si era mai accorto di nulla. A quel punto avevo 30 anni e circa 13 miliardi di lire in banca (ho venduto 20 milioni di dischi)».
Il lusso più stravagante?
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«Un giorno mi presento in ufficio, dico che non voglio prendere per il culo i mei fan, ma avevo 22 anni ed ero comprabile e corruttibile. “Ti piacciono le macchine? — mi chiedono —. Vai a farti staccare un assegno per comprare una Porsche e non rompere le balle”. Spesi 95 milioni. Gli sponsor mi davano tutto, non pagavo niente […] ».
La droga?
«Ce n’era tanta tanta tanta. Ricordo a Londra, una festa in una chiesa sconsacrata con Boy George e George Michael, c’erano ciotole e insalatiere piene. Andavi e ti servivi, montagne di cocaina, tiravano tutti. Si fa in fretta a cascarci».
Pure lei?
«Sono sempre stato un ragazzo curioso, ma mai tossicodipendente».
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Quando si stancò di fingere?
«A un certo punto feci un ultimatum alla casa discografica: o canto io il prossimo brano o me ne vado. Mi fecero cantare il primo disco, Born to Love. […] quando è uscita la storia tutti a dire: eh sì lo sapevamo, si capiva. E quindi sono stato massacrato: ero il truffatore, quello che aveva imbrogliato la gente».
[…] Nel 1991 la Finanza mi portò via tutto, due case, le macchine, rimasi con 10 milioni di lire sul conto e la disco dance era finita. Ho messo il dito sul mappamondo ed è venuta fuori San Diego. Sono partito con due valigie leggere per un posto dove non conoscevo nessuno».
Cosa faceva in California?
«L’istruttore di body building in un club sulla spiaggia. Poi andai a Las Vegas e per un mese studiai i ballerini di strip-tease ma erano molto piu grossi di me. In una palestra trovai uno spacciatore di bombe anabolizzanti: presi 15 chili in un mese, dovevo fare in fretta. Portavo sul palco le mie canzoni, l’unica cosa in più era togliermi i vestiti. Facevo 7 spettacoli al giorno per 3 giorni a settimana e guadagnavo un botto. Il nome d’arte era diventato Den Hard...».
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Poi tornò in Italia spinto da?
«Per la voglia di rivalsa […] A Mediaset faccio Meteore, poi arrivo all’Isola dei famosi che mi rovina».
Il suo pianto a dirotto.
«Mi prendono per il culo ancora oggi dopo 16 anni […]».
Oggi cosa fa?
«Tantissime serate, revival Anni 80, ma posso anche permettermi di non lavorare».
Tornasse indietro?
«Non vorrei essere Den Harrow. Mi ha dato più rogne che altro».
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