Franco Vanni per “la Repubblica”
DESTINY UDOGIE
Dieci anni fa suo padre si rivolse agli scout del Verona che lo avevano notato, dicendo loro: «Tenetelo con voi per una settimana, poi decidete». A Verona Destiny Udogie, che oggi ha quasi vent' anni, è tornato con la maglia dell'Udinese lunedì. E come quasi sempre succede quest' anno ai ragazzi di Andrea Sottil, ha vinto.
Qual è il segreto di questa Udinese, seconda in classifica a un punto da Napoli e Atalanta?
«La società è organizzata, ambiziosa e punta sui giovani. I dirigenti mi hanno detto che mi seguivano da quando avevo 15 anni. Noi siamo uniti, stiamo bene insieme, ci completiamo a vicenda. Siamo una squadra».
DESTINY UDOGIE
Lei cosa porta nel gruppo?
«La voglia di giocare, di mettermi in mostra, di aiutare i compagni».
Dove volete arrivare?
«La stagione è lunga, ma abbiamo fame, non ci poniamo limiti. Pensiamo a una gara alla volta».
Che rapporto ha con l'allenatore Sottil?
«È una grande persona. Sin da subito ha dimostrato stima nei miei confronti. Accetta di avere coi giocatori un rapporto tranquillo, ci permette di dirgli le cose in faccia, come fa lui quando ci dà indicazioni e consigli».
DESTINY UDOGIE
A lei, in particolare, cos' ha consigliato?
«Di non perdere la voglia di crescere e la determinazione».
È vero che con i suoi compagni alla PlayStation preferite i giochi di basket a quelli di calcio?
«Dipende. Con Soppy giochiamo a calcio. Con Makengo ci sfidiamo con giochi di Nba. Nel tempo libero gioco a basket, sono appassionato. La mia esultanza dopo i gol l'ho presa in prestito da Steph Curry».
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Fino a poco tempo fa lei quando segnava praticamente non esultava. Come mai?
«Perché era tale lo stupore che non riuscivo a gioire fino in fondo. Vedevo la palla in rete e pensavo: "Ehi, ma l'ho segnato davvero io?". Da esterno di fascia, non sentivo il gol come un mio compito. Ma visto che di gol ne ho fatti un po' nella scorsa stagione, quest' anno mi sono dovuto adeguare».
Lei è già un giocatore del Tottenham. Fino a qualche anno fa, i calciatori ventenni sognavano la Serie A, oggi il campionato più bello del mondo è la Premier League. Si sente pronto per il grande salto?
DESTINY UDOGIE
«La Serie A aiuta a crescere. I mesi che mi restano qui in prestito a Udine saranno importanti per migliorarmi ancora. Con la testa ora sono qui. Per dire, non ho ancora sentito Antonio Conte. La Premier comunque non mi spaventa. Il gioco è fantastico e l'inglese lo parlo da sempre in casa con i miei genitori, nati in Nigeria».
Lei però, potendo scegliere, nelle giovanili ha sempre voluto vestire la maglia azzurra.
«Sono nato qui, a Nogara, nel Veronese. Anche mio padre mi ha sempre sostenuto in questa scelta. Sto bene in Italia. In Nigeria non vado da quando avevo due anni. Il mio sogno più grande ora è giocare in Nazionale maggiore. Mi sento bene, sono pronto. Continuerò a lavorare fin quando arriverà il mio momento. Avrò 22 anni quando ci sarà l'Europeo in Germania, e 24 nell'anno del Mondiale in America».
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Quando ha capito che era veramente forte a giocare a calcio?
«A 15 anni ho cominciato a sentire i commenti di chi mi vedeva giocare e ho realizzato di potere fare questo nella vita. Ma ora come allora il mio primo pensiero è divertirmi, che nel calcio è quel che conta».
Qual è stata l'emozione più grande nella sua carriera finora?
«Il debutto in Serie A a novembre 2020 a San Siro deserto, con la maglia del Verona contro il Milan. E proprio al Milan ho segnato il mio primo gol, entrando a partita in corso e portando all'Udinese un pareggio importante. Di quel giorno tengo il risultato di squadra».
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Chi è il suo idolo come calciatore?
«Non ne ho, cerco di imparare da tutti. Qualche anno fa, avrei risposto Marcelo».
E come uomo?
«Kobe Bryant. Ho visto i suoi video. Ho letto i suoi libri. Mi piace leggere storie di sport e manuali di motivazione. Romanzi non ne leggo».
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Che lavoro fanno i suoi genitori?
«Mia madre faceva le pulizie in un ufficio, ora ha smesso per seguire me. Il nome Destiny lo ha scelto lei. Mio padre è operaio. Mi piacerebbe mantenerlo, ma so che non farei il suo bene. È il suo lavoro, gli piace. Ciascuno deve fare quello per chi è portato. Mio fratello, di un anno più grande di me, studia Ingegneria a Padova. Mia sorella fa lo scientifico. Io ho preso il diploma di Economia aziendale».
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È difficile oggi essere un italiano nero?
«No, sono sincero. Non ho mai avuto problemi, non ho ricordi negativi legati al colore della mia pelle. A scuola in tanti anni non c'è mai stato un episodio spiacevole».
E negli stadi?
«Può capitare che qualche tifoso dica qualcosa che non va bene. Ma ormai è fuori dal tempo. Nelle nazionali giovanili ci sono diversi ragazzi di colore, è la normalità».
La politica fa abbastanza per combattere il razzismo?
«Di politica non so molto. Non ho nemmeno votato, ero via con i miei compagni dell'Under 21».
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