Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera”
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Il ciclo della Juve è stato una lunga anomalia dovuta alla diversità della sua gestione (un presidente bravo e operativo), alla sua ricchezza e ai 10 anni di deriva del calcio di Milano. La fine del ciclo e la sottovalutazione iniziale di Allegri arrivano dalla vecchiaia del nucleo della squadra, da quello che io chiamo il sentimento della Juve.
max allegri e cristiano ronaldo
Non ci sono più Chiellini, Bonucci, Barzagli, perfino Evra, il vecchio Vidal, il vecchio Pirlo. È finito Marchisio, che era l'equilibratore della vera Juve «socialista», intendo una squadra che giocava per se stessa, aiutandosi uomo su uomo continuamente.
Quella Juve si è conclusa con l'arrivo di Cristiano Ronaldo, un fantastico errore della società, che ne ha sottovalutato le conseguenze dentro una squadra ormai abituata a vincere da sola, quindi sicura di sé e portata a credere nel valore del complesso, non del singolo.
cristiano ronaldo massimiliano allegri
La Juve non è il Real, è una squadra per cultura e geopolitica abituata alla durezza, all'essenziale. Ronaldo ha cominciato a rompere questo equilibrio, ha dato a tutti un alibi e un rancore. I grandi giocatori non credono nelle differenze, si sentono tutti indispensabili.
Dopo che hanno vinto 6 scudetti e giocato finali di Champions maturano l'idea di essere alla pari con chiunque, sopportano male differenze acute. Lì si è rotta la Grande Juve proprio quando la società era convinta di averla costruita.
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Allegri è tornato dopo due anni di non lavoro, è un allenatore ancora giocatore, era convinto di conoscere la squadra in cui tornava, ma l'ha trovata impoverita, invecchiata e ormai presuntuosa.
Le vittorie facili aiutano a non credere alle sconfitte difficili. Allegri si è trovato davanti una squadra sconosciuta nella mentalità, una squadra di individui, quindi un complesso non organico.
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Sarri aveva definito i giocatori «inallenabili». E Sarri è uno specchio reale del tempo perché è bravo e impolitico, dice quello che vede. Ronaldo se n'è andato, la Juve aveva già in mano Vlahovic ma non poteva dirlo, ha dovuto aspettare mezza stagione per sostituirlo, ma era tardi ed era sbagliato il terreno su cui impiantare Vlahovic.
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I giocatori non hanno accettato un'altra differenza, un giocatore con alto ingaggio e altissimo costo immesso in una squadra che era rimasta convinta di essere la migliore anche senza di lui.
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Questo spiega la normalizzazione tentata da Allegri sul ruolo di Vlahovic. È un ragazzo, deve capire dove gioca ora, è troppo ansioso sulla palla. Cose che al tuo miglior giocatore non diresti mai. Cose che la squadra ha ascoltato e Vlahovic subìto. Il risultato è che hai avuto meno squadra e meno Vlahovic.
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In realtà era finito il tempo, la Juve si era sovradimensionata lasciando solo il proprio tecnico. In parole secche, severe, c'è stato un grande equivoco. Così Vlahovic è rimasto solo dentro una squadra che non lo cerca perché non ha voglia di altri capi, tantomeno se devono ancora dimostrare molto.
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Dybala è il perfetto interprete di questa Juve, uno straordinario giocatore a metà, indispensabile nella sua luce relativa, nel suo gioco di contorno, meno nella sostanza. La bellezza è un momento del calcio imprescindibile ma quasi mai decisivo.
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Dybala è l'ulteriore ed è arrivato a questa dimensione nel momento in cui tutta la squadra era andata oltre se stessa, creando così un problema doppio. Allegri ha capito in inverno di aver dato troppa importanza alle sue convinzioni originali, ma non aveva più la base per rimediare.
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Danilo vale D'Ambrosio, vale Calabria, Di Lorenzo. De Ligt è splendido ma irregolare, porta tanti rigori. Cuadrado si sta involvendo, il centrocampo non è un reparto. Perfino Chiesa è stato e sarà un problema se si aspettano da lui i cross per Vlahovic. Chiesa non crossa, va da solo.
Questa stagione non è stata la stagione di un errore, ma del dovunque. Allegri ha giocato male, ma ha fatto vedere che può giocare meglio. Ora bisogna ricostruire, tutto. Molto difficile rimanendo competitivi. Ma dopo dieci anni, un momento così era inevitabile.