LUIGI DI MAIO MATTEO SALVINI
Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo per “la Stampa”
Luigi Di Maio, in versione sovranista dice che il reddito di cittadinanza andrà solo agli italiani. E dunque, a suo avviso, aveva ragione il sovranista per eccellenza, Matteo Salvini, e torto il ministro dell' Economia Giovanni Tria che in realtà l' altro ieri non ha fatto altro che citare la platea considerata dal M5S in campagna elettorale. Ma un conto sono i numeri, un altro la politica, l' arte magica di cambiare idee e proposte. Nella difficile convivenza di governo, è scontato che spesso bisogna muoversi nella logica del compromesso e dello scambio.
Così è avvenuto ieri mattina, quando al vertice di Palazzo Chigi si è incrociata la discussione sulla manovra a quella sui decreti di Salvini su sicurezza e immigrazione. Ci sono state limature, e si è affrontato il nodo dei requisiti di necessità e urgenza, obbligatori affinché il Quirinale firmi i due decreti del Viminale.
conte di maio salvini
Ma il vicepremier leghista è riuscito a strappare quello che voleva: arrivare con il testo intatto al Consiglio dei ministri di lunedì. Una concessione che il premier Giuseppe Conte e i grillini hanno fatto dietro la garanzia di poter liberamente modificare il testo una volta arrivato in Parlamento. «Quando arriverà in Camera e Senato si vedrà» commenta Salvini, consapevole che l' intenzione del M5S è di spolpare il suo testo e buttarne gran parte nel cestino. Ma è una partita rinviata.
salvini di maio
L'importante era non impantanarsi in uno scontro che in questa fase, quella delicatissima sulla legge di Stabilità, sarebbe potuto essere fatale. Il leader della Lega, in cambio del passaggio più agevole del decreto in Cdm e della limitazione del reddito di cittadinanza agli italiani, offre la sua sponda a Luigi Di Maio, assente, perché impegnato nel viaggio in Cina. Durante la riunione per la prima volta sostiene con convinzione la misura simbolo dei 5 Stelle, che il grillino vuole anticipare a marzo 2019, in tempo per le Europee.
Ma il leghista li spalleggia anche nel loro sforzo di ottenere da Tria più margini di deficit per finanziare la loro proposta, dopo settimane di cautela e di indifferenza alle istanze degli alleati.
conte salvini di maio
Finita la riunione, per tutto il giorno la sensazione, alimentata dalle indiscrezioni veicolate dai due partiti, è che per la prima volta il ministro del Tesoro abbia disarmato la guardia, lasciando spiragli di vera trattativa per oltrepassare le colonne d'Ercole dell' 1,6 per cento. Senza per questo accogliere le proposte più radicali grillo-leghiste .
LA GUERRA DEI NUMERI
giulia bongiorno giovanni tria matteo salvini
I 5 Stelle presenti al vertice sono la viceministra Laura Castelli e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. Prima di andar via Salvini si mostra favorevole alle richieste del Movimento. Il M5S chiede il 2,6 per cento di deficit, un punto in più rispetto a quanto il ministro dell' Economia era disposto a concedere.
Tria strabuzza gli occhi, spiega che è impossibile, che Bruxelles non lo concederà mai perché significherebbe far schizzare il debito. Al massimo, fa capire il ministro, si può arrivare all' 1,8-1,9 per cento.
giovanni tria
«Io non mi impicco ai decimali e dell' Europa sinceramente non mi interessa» dice Salvini. La Lega si spinge a forzare fino al 2,2-2,4 per cento. L' impressione è che comunque si sia ritrovato una comune energia per sfondare il 2 per cento, la soglia che, anche secondo il più realista del governo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, potrebbe essere il compromesso: «Questa mattina mi è sembrato di vedere grandi progressi» si sbilancerà in serata il numero due della Lega. E il sottosegretario all' Economia Massimo Bitonci conferma: «Penso si possa arrivare tranquillamente tra il 2 e il 2,2 per cento».
LA LISTA DELLA SPESA
Avere un deficit più ampio a disposizione è in realtà più vitale per i 5 Stelle che per i leghisti. Perché nella Lega sono convinti che i provvedimenti più cari a Salvini saranno coperti quasi interamente dagli introiti derivanti dal condono. Secondo i loro calcoli la pace fiscale potrebbe portare nelle casse dello Stato oltre cinque miliardi (i grillini dicono tre): solo Quota 100, la riforma delle pensioni che permette l' uscita a partire dai 62 anni di età e 38 anni di contributi, dovrebbe costare 5-6 miliardi. Resta il nodo della copertura strutturale, perché essendo una sanatoria la pacificazione delle cartelle ha un valore una tantum.
CONTE GIORGETTI
Tutto, o quasi, quello che arriverà dal disavanzo dovrebbe andare ai grillini. O così sperano loro, mentre compilano la lista della spesa: 12 miliardi sono necessari per centri per l' impiego (2 miliardi) pensioni di cittadinanza da gennaio e reddito di cittadinanza da marzo (10 miliardi). Tre miliardi sono garantiti dall' assorbimento del reddito di inclusione (Rei) introdotto dal centrosinistra. Sette miliardi dal deficit. E il resto?