Carlos Passerini per Corriere.it
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L’ha decisa Sergi Roberto, un ragazzino, o forse l’ha decisa il destino, o forse tutti e due insieme, di sicuro dopo questo Barcellona-Psg 6-1 la storia del calcio non sarà più la stessa, di sicuro non lo sarà più il concetto di impresa storica, non nel calcio, forse nemmeno nello sport. È successo quello che nessuno, nemmeno il più squinternato ottimista dei tifosi avrebbe mai avuto l’azzardo di sognare: rimontare i quattro gol beccati nella partita d’andata al Parco dei Principi.
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Un film, sembrava. E il finale è stato da film davvero. Un finale inimmaginabile, qualcosa di cui si parlerà a lungo, di cui forse non si smetterà mai di parlare. Per la prima volta in 186 tentativi una squadra è riuscita a ribaltare il 4-0 dell’andata.
Aveva ragione Luis Suarez, quel diavolaccio, che alla vigilia aveva digrignato i canini gridando in faccia allo sprovveduto cronista che gli aveva chiesto quante possibilità avesse la sua squadra di passare il turno: «Se c’è qualcuno che può farcela, quelli siamo noi». Qualcuno aveva preso per illuso il suo allenatore Luis Enrique, che nel mettere in chiaro i suoi piani di battaglia aveva buttato lì un «ne faremo sei» che era suonato tanto come un’inutile sbruffonata. Invece aveva ragione. Sei.
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Ma si era capito subito che qualcosa di assurdo sarebbe successo, già dopo due minuti quando – guarda te – proprio Suarez di testa ha fatto il primo. Una minaccia da «potrero», da campetto sudamericano, sangue e polvere, una cosa simile a un «stiamo venendo a prendervi».
Ma non è stato così facile, è stato più assurdo, più bello. Prima il raddoppio su autogol di Kurzawa, poi il terzo di Messi su calcio di rigore. Siamo al 50’, un’eternità, il Camp Nou ci crede. Ma è lì che Cavani con un destro al volo gela tutti. Ne servirebbero sei, ormai è andata davvero. E invece.
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Lo spettacolo nello spettacolo di una partita come se ne sono viste e come ne rivedremo poche è stato Unai Emery, o meglio la sua faccia, un po’ Adrien Brody e un po’ Al Pacino, ripresa dozzine di volte dalla puntualissima regia internazionale che l’ha marcato a uomo.
Prima inquieto, poi sofferente, terrorizzato, di nuovo sollevato, poi ancora terrorizzato, poi senza più espressione. Perso, amorfo. Nella sua mimica facciale c’è stata tutta la partita, la realizzazione di un miracolo sportivo vissuta però dall’altra parte, dalla parte di chi il miracolo l’ha subito al contrario.
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Perché quello che è successo negli ultimi minuti è complicato quasi anche da raccontare. Di Maria sbaglia malamente il 3-2 davanti a Ter Stegen, all’88’ Neymar fa 4-1 su calcio di punizione. Poi ancora lui fa il quinto su calcio di rigore. Cinque minuti di recupero, sembrano un’eternità, il Camp Nou è davvero «una pentola a pressione» come aveva promesso Luis Enrique prima di cominciare.
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Per raccontare il finale occorre usare l’indicativo presente. Tutto il Barcellona è nell’area parigina, tutto compreso il portiere. Neymar, ancora lui, autentico trascinatore, scodella una palla perfetta nel cuore dell’area del Psg, Trapp è terrorizzato e resta inchiodato sulla linea di porta, i difensori francesi sono ancora più atterriti non si muovono, palla a Sergi Roberto. Il ragazzino della cantera si allunga, il tempo si ferma, il Camp Nou resta muto per un istante, tocco leggero e palla in rete. Il resto è rumore, festa, gioia. «È una notte impossibile» dirà Luis Enrique. Forse anche di più.
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