DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
Che vediamo stasera in streaming fra l’ultima puntata di “The Penguin” su Sky e la nuova stagione di “The Diplomat” con Keri Russell su Netflix, in attesa dell’ultimissima puntata di “Disclaimer” di Alfonso Cuaron che ha diviso davvero il nostro pubblico? Intanto vi faccio notare che c’è molta Italia sulle piattaforme. Al punto da farle diventare la vera tv generalista che Telemeloni sta cancellando.
avetrana. qui non e' hollywood
E, come noterete, è il momento delle serie e miniserie targate Groenlandia, cioè Matteo Rovere. Groenlandia è prima in classifica su Netflix con la seconda stagione di “La legge di Lidia Poet” con Matilda De Angelis e Eduardo Scarpetta, ancora diretta dallo stesso Rovere, Letizia Lomartire e dalla new entry Pippo Mezzapesa. Prima in classifica anche su Disney+ grazie a “Qui non è Hollywood”, cioè “Avetrana”, quattro strepitosi episodi tutti diretti da Pippo Mezzapesa, che lo ha scritto assieme a Antonella Gaeta.
E prima in classifica su Sky grazie ai nuovi episodi di “Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883", serie diretta da Sydney Sibilia, Alice Filippi, Francesco Capalbo con Elia Nuzzolo, Matteo Oscar Giuggioli e la bellissima Ludovica Barbarito. Credo che con poche serie Matteo Rovere, Pippo Mezzapesa e Sydney Sibilia hanno svecchiato di colpo la serialità all’italiana. Copioni decisamente meno contorti, cast assolutamente più giusti e maggior attenzione all’ambientazione.
Non credo che una cosa simile sia mai esistita. Ci sentivamo anzi un po’ una Cenerentola rispetto alle produzioni straniere, dalle spagnole alle norvegesi. Cosa altro vedere sulle piattaforme? Su Amazon vi segnalo, primo in classifica dei più visto e perfetto come terribile flash-forward per le elezioni americane, “Civil War”, scritto e diretto da Alex Garland, celebrato autore di “28 giorni dopo”, con una strepitosa Kirsten Dunst come la fotografa di guerra Lee, e i suoi non meno strepitosi compagni di viaggio Wagner Moura, il giornalista della Reuter Joel, Stephen Henderson come il veterano Sammy e la giovane Cailee Spaeny come Jessie.
Scordatevi però che vi offra una qualche chiave politica per capire l’America di oggi. Volutamente, forse proprio per rispettare il punto di vista giornalistico dei suoi protagonisti, non si sbilancia, si astiene da qualsiasi commento possibile sullo scontro tra Biden-Trump o Harris-Trump, sul futuro dell’America. Ci mostra però un presidente dittatore impazzito, Nick Offerman, chiuso nella Casa Bianca, che offre al giornalista Joel un’ultima intervista, in un paese dilaniato da una guerra quasi senza logica.
La California e il Texas, due stati davvero distanti politicamente, mettiamoci anche i non precisati “maoisti di Portland”, si sono uniti per far fuori il presidente, arrivato al potere sul modello di Trump. Ma è la follia della guerra a dominare qualsiasi situazione e a rendere quello che è in fondo un road-movie, un viaggio di 879 miglia da New York a Washington di quattro giornalisti, non molto dissimile dal viaggio di “The Last of Us”, una discesa agli inferi nella logica-non-logica di chi spara tanto per sparare e di chi risponde solo perché gli hanno sparato.
Sappiamo che il Presidente americano è un dittatore impazzito che il vecchio Sammy paragona a altri dittatori, Mussolini, Ceausescu, Gheddafi, che hanno dato il peggio di sé, rivelandosi uomini mediocri, proprio nella caduta, sappiamo che dietro ogni mitra che incontrano può esserci un criminale che ti uccide senza logica, Jesse Plemons ruba la scena a tutti nella scena chiave del film, ma quanto più il film toglie informazioni e politica al racconto, più cresce il ritratto dei quattro giornalisti di guerra, tre veterani e una ragazzina con la Nikon in mano, che attraversano il paese. E la loro paura diventa la tua.
Su Mubi abbiamo una scelta di film curiosi che mi sono segnato come da vedere. Penso a “L’empire” di Bruno Dumont, sorta di fantascientifico d’autore con Fabrice Luchini, Brandon Viegha, il vampiresco “Cannibal Love” di Claire Denis con Vincent Gallo e Beatrice Dalle. Ma il più appetitoso, a mio parere, è il remake di “Harakiri”, capolavoro in bianco e nero di Masaki Kobayashi, diretto nel 2011 dal prolifico Takashi Miike, “Hara-kiri, Death of a Samurai” o “Ichimei”, subito dopo lo strepitoso “I 13 assassini”. Ricordo di averlo visto a Cannes. Piuttosto bello.
Su Mubi trovate anche “Audition” di Takashi Miike. A Dago che mi chiede di segnalare i grandi film del passato, quelli di Max Ophuls, di Michael Powell, di Howard Hawks, gli ricordo che su Amazon ha dei classici da recuperare come “Il tesoro della Sierra Madre” di John Huston con Humphrey Bogart, Walter Huston e Tm Holt, “L’uomo che uccise Liberty Valance” di John Ford con John Wayne e James Stewart, “Un dollaro d’onore” di Howard Hawks con John Wayne, Dean Martin e Walter Brennan, un film assolutamente perfetto.
Ma gli propongo anche di dare un'occhiata su Mubi ai documentari meravigliosi di Ulrich Seidl sui vizi degli occidentali, "Safari", sui mostri che vanno a caccia di elefanti e animali selvaggi in Africa, "Import Export" sul traffico di prostitute tra ESt e Ovest, "Paradies: liebe", sull'amore prezzolato tra vecchie signore tedesche e giovani ragazzi africani, il fenomenale "In cantina"/"Im keller" su quel che trovi tra i maniaci feticisti tedeschi nelle loro cantine.
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