Michela Allegri per “il Messaggero”
IL PADRE DI MARTINA ROSSI
Mentre parla ha di fronte a sé la fotografia della sua Martina, «guarda come sorride. Mi sembra di sentirla mentre mi rimprovera: Papà, lascia stare, non andare avanti come un carro armato. E invece no, noi siamo andati avanti per dieci anni e continueremo a farlo, anche se speriamo che domani sarà tutto finito».
Era il 3 agosto 2011 quando Martina Rossi, studentessa genovese di 20 anni, precipitò da un balcone al sesto piano di un hotel a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. Da quella morte è scaturito un processo tortuoso, che si è chiuso con la condanna in appello di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi: 3 anni di reclusione per tentata violenza sessuale.
MARTINA ROSSI
L'altra accusa, quella di morte come conseguenza di un altro reato, è ormai prescritta. Il padre di Martina, Bruno Rossi, con la moglie Franca, attende da mesi la giornata di domani: la Cassazione emetterà il verdetto definitivo.
Signor Rossi, sono passati dieci anni da quella notte terribile.
«Dieci anni sono un tempo infinito per la vita di una persona, anche per me che ne ho già vissuti 80. Dieci anni con la mancanza di una figlia, morta in quelle condizioni, sono un tormento, un eterno tormento.
martina rossi 3
Quando sento parlare questi ragazzi, i loro avvocati, i loro periti, quando vedo questi giovani forti, in salute, circondati dai loro genitori, penso sempre a Martina. Penso al desiderio con cui l'abbiamo aspettata, per così tanti anni. È stata un dono arrivato dopo tantissimo tempo dal matrimonio. Era così tranquilla, serena, gioiosa di vivere. La sua morte non è comprensibile per me, non l'ho mai accettata».
Che idea si è fatto dopo tante udienze e dopo tante testimonianze?
«C'era una contraddizione lampante, che si è manifestata subito e che è stata espressa dai giudici e dai poliziotti. L'assurdità di questa fine insolita: una ragazza felice che improvvisamente cade dalla finestra di una camera non sua, dal sesto piano dell'albergo, senza pantaloni, e rimane 35 minuti a morire in una vasca. Le persone che erano con lei, invece di aiutarla, invece di scendere a vedere cosa le fosse successo, hanno iniziato a dire bugie e a cercare alibi. L'hanno lasciata morire da sola, per 35 minuti».
MARTINA ROSSI
Domani ci sarà la decisione della Cassazione. Dopo tutti questi anni, cosa pensa della giustizia?
«La giustizia è stata troppo lenta e laboriosa. La verità l'hanno cercata solo in Italia. In Spagna dicevano che mia figlia aveva aggredito alcune persone e si era buttata dalla finestra. Invece, con le indagini abbiamo capito che non era stata una disgrazia. Era il 2014 quando è finita l'inchiesta.
Poi è iniziato un processo lunghissimo, estenuante. Quando c'è stata la prima sentenza, che ha stabilito 6 anni di reclusione per gli imputati, era il 2018. Erano già passati 7 anni da quando Martina era morta. Io pensavo che fosse finita, pensavo di poter tornare un po' a respirare.
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Invece è arrivato l'appello e quei due ragazzi sono stati assolti. Poi la Cassazione ha annullato tutto e abbiamo ricominciato un nuovo processo di secondo grado. È arrivata la condanna, ma a quel punto il reato più grave era prescritto. Si parla tanto di riforma della giustizia, ma penso che agli esperti sfugga ancora un dato fondamentale».
Quale?
«Il vero scandalo della giustizia italiana è che è un affare per persone benestanti. In questi anni abbiamo speso tantissimi soldi, per andare avanti e combattere. Se non avessimo avuto disponibilità economica ci saremmo dovuti arrendere. Ricchi e poveri non hanno le stesse armi da impugnare di fronte ai giudici».
Gli imputati vi hanno mai contattati? Vi hanno mai parlato?
alessandro albertoni e luca vanneschi
«Sono stati in silenzio per anni. Uno di loro ha fatto dichiarazioni spontanee per dire che stava dormendo e non si era accorto di nulla. Per il resto non hanno mai detto una parola in aula, ma hanno cercato di riscrivere i fatti. Stanno cercando di farlo anche in questi giorni».
Si riferisce al fatto che uno degli imputati, Alberto Vanneschi, ha aperto un blog nel quale pubblica gli atti del processo e sostiene di essere vittima di un errore giudiziario?
martina rossi,
«Vanneschi, che sui social si vantava di essere ammiratore di Vallanzasca e indossava le magliette di Scarface, ora scomoda addirittura Émile Zola e paragona il suo caso all'affaire Dreyfus. La prima pagina di questo sito è la foto dell'editoriale J' accuse.
È l'ultimo colpo di teatro che stanno mettendo in atto. Una volta mi sono bruciato con l'acqua fredda, a Firenze, quando è arrivata l'assoluzione. Non me lo aspettavo. Ora sono fiducioso.
Anche questo colpo di coda del blog è come buttare il pallone fuori dal campo per prendere tempo. Questa storia è diventata un giallo che ha appassionato tutti tranne la mamma e il papà di Martina. Non dimenticheremo mai quei giorni».
Cosa ricorda?
«Ero in giardino. Stavo tagliando un albero di albicocche che si era seccato e sono arrivati cinque poliziotti. Pensavo di avere fatto qualcosa io, invece mi hanno dato la notizia. Mia moglie non c'era, ho aspettato che arrivasse. Ci siamo precipitati in Spagna, nessuno sapeva dirci cosa fosse successo.
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Ci hanno trattato malissimo, sembrava quasi che volessero arrestare noi. C'è stato un tentativo di rendere la vittima carnefice. Con le donne succede troppo spesso».
Cosa si aspetta dalla sentenza di domani?
«Siamo sfiniti, ma spero di trovare una porzione di verità, che non sarà mai totale. Sono convinto che le abbiano dato un pugno in faccia e l'abbiano buttata giù. Le hanno levato i pantaloni, lei ha reagito e loro non hanno accettato il rifiuto».
Com' era Martina?
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«Non lo dico perché era mia figlia, ma lei era bella davvero. Era intelligente, sapeva scrivere e disegnare, sapeva fare tutto. Era la prima volta che andava in vacanza da sola, che prendeva l'aereo con le amiche. Una cosa mi tormenta: perché nessuno l'ha aiutata dopo la caduta? Il medico legale ha detto che si sarebbe potuta salvare, invece è stata lasciata sola.
La colpa di questi due giovani è tremenda. Non so come faranno a vivere, ad avere una moglie, una fidanzata. Se avessero ammazzato una formica per loro sarebbe stata la stessa cosa. Sa perché parlo delle formiche? Perché Martina da bambina mi sgridava e si arrabbiava quando distrattamente le schiacciavo».
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