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Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Adesso chiamateli profu-gay. O meglio, finti profu-gay. Dopo aver millantato stato di salute, età e nazionalità, non poteva mancare il sesso (presunto) come ultimo stratagemma per guadagnarsi la condizione di rifugiato.
L'aspetto più inquietante è che ogni volta noi abbocchiamo: se i migranti si dichiarano gravemente malati, noi spalanchiamo le frontiere e le porte di casa, anche se magari hanno solo un accenno di raffreddore; se dicono di essere minorenni, sebbene abbiano una trentina d' anni, noi ce ne prendiamo cura perché soggetti fragili e non in grado di badare a se stessi; se dichiarano di essere gay, e per di più perseguitati, in fuga non da guerre, fame e povertà ma dalla feroce omofobia dei loro Paesi, noi fingiamo di credergli e subito li mettiamo sotto la nostra tutela, concedendo vitto, alloggio, assistenza e diritto di asilo.
OMOSESSUALITÀ PERCEPITA
Non stiamo raccontando la favola del Paese del Bengodi per gli immigrati. Stiamo parlando della realtà tragicomica dello Stato Italia. Dopo i finti minorenni e i finti malati della Open Arms ospitati sul nostro territorio, ecco il caso del profugo pseudo-omosessuale.
A Trieste la Corte d' Appello ha accolto la richiesta di asilo di un immigrato 23enne che dichiarava di essere gay e a rischio di persecuzione nel suo Paese di origine, il Gambia, dove gli omosessuali vengono puniti con 14 anni di galera. La beffa è che per due volte, prima la Commissione di Gorizia poi il Tribunale di Trieste, avevano respinto la sua domanda, sostenendo che il gambiano avesse mentito al fine di ottenere lo status di rifugiato. Ma la Corte d' Appello ha compiuto un rocambolesco salto concettuale, così riassumibile: non importa l' essere gay ma il sembrarlo.
Nella sentenza si legge infatti che «non è necessario indagare quale sia l' effettivo orientamento sessuale del soggetto richiedente asilo, essendo sufficiente il modo in cui lo stesso viene percepito nel paese d' origine e la sua idoneità a divenire fonte di persecuzione».
È la teoria della percezione sessuale, già alla base del pensiero gender, applicata ai casi di immigrazione: il sesso non è più un' identità biologica, un fatto o un dato di natura, ma una sensazione, uno stato d' animo proprio o un pregiudizio altrui. Basta sentirsi gay, o meglio apparire gay e venire giudicati come tali dagli altri per esserlo a tutti gli effetti.
Una deriva del genere offende parimenti tre soggetti. In primo luogo si fa beffe delle leggi del nostro Stato, irride i regolamenti che disciplinano l' immigrazione, i tanti decreti volenterosi di questo governo che provano a discernere tra profughi e clandestini. In seconda istanza, si fa gioco dei veri rifugiati, di chi ha davvero rischiato di morire sotto le bombe in Siria o magari è stato perseguitato dai fondamentalisti islamici.
Da ultimo, umilia gli stessi omosessuali, utilizza il loro orientamento per scopi meschini, non rispetta il travaglio di chi è gay e rischia di venire condannato per questo, riducendo l' omosessualità a un' identità transitoria, buona solo a fregare il nostro Paese.
la strategia Un ulteriore elemento interessante è la strategia che c' è dietro: ormai molti clandestini hanno compreso che non bastano più il colore di pelle e l' origine geografica a far scattare la macchina dell' accoglienza. Non si viene più presi in carico dal nostro Paese solo in quanto neri arrivati su barconi. No, servono ulteriori elementi: una presunta malattia, una minore età inventata, uno status di persecuzione a causa del proprio orientamento sessuale.
Ma sì, che facciano pure, tanto col probabile nuovo governo Pd-Cinque Stelle non dovranno neppure ricorrere a queste bassezze per essere accolti. Resta solo lo sconcerto di vedere finti gay fare gli omosessuali col culo degli altri.
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