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    ALLA FINE IL POPOLO VUOLE SOLO PANEM ET CIRCENSES - DOPO IL FISCHIO D’INIZIO DEI MONDIALI QUANTI SI DIMENTICHERANNO DEGLI SCANDALI, DEI MORTI E DELLE POLEMICHE?– LO SPORT È SEMPRE STATO UN MODO PER SPOSTARE LA PERCEZIONE PUBBLICA DI PAESI CHE NON ASSICURANO I DIRITTI E IL QATAR USERÀ QUESTA OCCASIONE PER RILANCIARE LA SUA IMMAGINE – PUR DI ORGANIZZARE IL TORNEO, IL PAESE SE N'E' FREGATO DELLE VITE DEGLI OPERAI PAGATI UNA MISERIA, DELLA CRISI ENERGETICA E DEI DIRITTI UMANI, MA I TIFOSI ARRIVERANNO LO STESSO...


     
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    Giulia Zonca per “la Stampa”

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    Tra il bianco dei palazzi e il grigio dell'asfalto all'improvviso ci sono colori mai visti perché il deserto lo puoi riprogettare, ma è difficile cambiarlo, riempirlo e ora succede. Il Qatar e gli Emirati, fino a poco fa vicini inconciliabili, si scatenano insieme e inseriscono il fattore umano nel panorama. Presto per dire come uno contaminerà l'altro, ma intanto la gente c'è. E fa rumore. 

     

    Nelle fermate delle metropolitane che iniziano a sputare folla in superficie, sui marciapiedi che non vedono mai nessuno camminare e ora si popolano di passi, su tribune a lungo vuote che non hanno più spazio, in locali nati per imitazione che scoprono un'inedita naturalezza.

     

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    La domenica del golfo riunisce soldi, contraddizioni, ambizioni, sogni e riempie strade, poco abituate a essere occupate. Il Mondiale che parte in Qatar la Formula Uno che chiude la stagione ad Abu Dhabi, Global soccer che distribuisce premi a Dubai e il Medio Oriente che scintilla. Dovrebbe raccontarsi ma non ha voglia di giustificarsi e allora morde un passato recente per andare avanti.

     

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    Tenta un dialogo globale, anche se qui stare zitti è considerata una virtù. Infatti ci pensano i suoni a segnare lo strappo, il fischio che libera la prima partita, il motore sulla linea di partenza e dietro girano Stati freschi e cifre pesanti. Nel pieno della crisi energetica occidentale, questa è la risposta agli incubi e il calcio approfitta degli accordi politici per uscire dalla lavatrice. Da anni viene considerato un riciclatore, prende finanziamenti da luoghi che non assicurano i diritti e restituisce la nobiltà di eventi che coinvolgono, spostano la percezione. 

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    Lo hanno fatto le Olimpiadi in Cina, la Serie A in Arabia Saudita, le auto in Bahrein, il golf ovunque, lo hanno fatto le archistar i grandi testimonial, come Beckham che oggi a Doha parla di eredità difficili da immaginare. Però adesso c'è chiasso, umanità, calca e tutto quello che si presentava foderato di ordine e funzionalità inizia a vibrare. L'alta velocità di una rete sempre perfetta vacilla, l'ospitalità patinata con il volo del falcone e le jeep sulle dune si accompagna al bivacco, ai tamburi, ai viaggi deliranti, in bici, dietro una nazionale, al karaoke. 

     

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    Talmente tanto mondo in pochi chilometri quadrati che il Qatar ha deciso di ritrattare la concessione sugli alcolici e li ha riproibiti. In poche ore ha ritirato dal tavolo uno dei compromessi offerti agli sponsor del pallone: niente stadio, si beve birra solo nella Fan Fest e a 12 euro il bicchiere. Un gesto di controllo mentre tutto inizia a muoversi a un nuovo ritmo. C'è un Mondiale e non si lascia tenere al guinzaglio, il Qatar lo ha desiderato talmente tante da rischiare di perdere la faccia per averlo.

     

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    Oltre a distribuire denaro, ha inseguito il progresso, almeno per un po'. Era lo stato che proteggeva i terroristi, fama superata in mutazioni costanti. Era lo stato della kafala, la legge che permette al datore di lavoro di disporre della vita di chi impiega, quel legame brutale non è più permesso, ma regge ancora perché la cultura non cambia con le norme, si modifica con la pratica. 

     

    Secondo qualcuno il buon proposito germoglierà, per altri marcirà però ora la sfida tra le due visioni ha un pubblico. Argentini che anche qui, a 35 gradi, dormiranno in macchina davanti al campo dove si allena Messi e canteranno che hanno visto Maradona e vogliono altro.

     

    Brasiliani decisi a impazzire per qualche altro idolo, il primo che mette il nome sopra i gol e quando il prescelto si rivelerà loro balleranno in strada, lì dove di solito passano solo limousine. Olandesi dipinti di arancione e arcobaleno, poco importa se non sarà gradito e inglesi che escono a comitive dagli alberghi e implorano il calcio di tornare a casa, almeno questa volta.

     

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    Un tempo qui era impero britannico, un protettorato abbandonato nel 1971, la disdicevole kafala è entrata in vigore sotto la loro giurisdizione, così come il Mondiale arrivato a spinte ha triangolato pure con le pressioni francesi. E ora tutti dubitano e hanno ragione perché l'omosessualità è illegale quando non è nascosta. Fa orrore e il disagio si appiccica a giorni concitati che svelano pure l'opposto: il sorriso di chi si vuole aprire davvero, la disponibilità degli immigrati (il 90 per cento della popolazione) che ora stanno in buona parte sgranati sui percorsi a indicare vie e trasporti, perle di vivacità.

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    Oggi, il bene supremo è il gas, il fondo di stato che controlla la Lng, la compagnia, in mano alla famiglia reale, muove un patrimonio da 450 miliardi. I Mondiali ne sono costati 220, dentro il conto c'è pure il prezzo di un'anima.

     

    A Doha c'è uno stadio pronto a salpare, porta il prefisso del Qatar, si chiama 974, come il numero che serve per chiamare il Paese e come la quantità di container che lo compongono. È letteralmente il carico di una nave e la prova di quanto lontano sia disposto a spingersi questo minuscolo stato arabo per farsi vedere. L'impianto sparirà dopo il torneo, ma non sarà affatto demolito: nasce in mezzo a un porto ed è pensato per viaggiare, per essere trapiantato altrove. Insieme con la storia che racconta.

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    Non serviva certo il pallone per avere la scusa di ridefinire un'area da anni terra di grandi cambiamenti, di immaginifiche costruzioni, di vere e proprie gare a concretizzare l'idea più strabiliante, però questa è la prima volta che miliardi di occhi fissano questo indirizzo. E un milione di persone spettina gli ultimi cinque decenni.

     

    Il desiderio di farsi riconoscere, toccare, ha scatenato la fantasia e gli investimenti oltre che lo sfruttamento e reso visibile, anzi indimenticabile, il lascito. Spesso la storia fonde insieme i sogni e i danni che sono costati, le grandi piramidi rendono evidente l'assurdità e la crudeltà dello sforzo che chiedono. In Qatar si è stravolto il paesaggio e ora promettono di fare lo stesso con il sistema sociale. Ci metteranno di più, molto più tempo di quanto è servito per vedere gli otto fascinosi impianti. Il Qatar è poco motivato ha tracciato i piani del futuro e lo sguardo puntato sull'orizzonte scavalca il presente.

     

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    In principio è stata Dubai, tutta in arrampicata sul desiderio di essere notata e frequentata. Diciannove edifici contro il cielo: il Burj Al-Arab, il palazzo a vela con l'hotel a sette stelle, la Cayan Tower, l'unico grattacielo la cui cima è girata di 90 gradi rispetto alla base, il Burj Khalifa, 828 metri superati, senza sorpresa, dalla Gedda Tower dell'Arabia Saudita. Il Golfo rincorre la maestosità, sfoggia il denaro e in qualche frenetico modo costruisce un'identità perché i petroldollari portano un Dna comune.

     

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    Lo stadio di Qatar-Ecuador, che domani apre il Mondiale, è una tenda berbera, fatta con materiali ed esperienza friulana, è la più grande al mondo. Al-Bayt, in arabo significa la casa. Così come l'Al-Janoub di Zaha Hadid, modellato su un dhow, l'imbarcazione usata per raccogliere perle ed è il loro colore che viene richiamato, ripescato, nel tentativo di creare un legame tra il passato nomade e il presente ambiguo che in queste ore si tinge pure di altro. Presenze, chiacchiere, maglie, punti interrogativi, mondo che sciama e chiede. L'occidente entra, guarda e inevitabilmente si riconosce, in tutto, anche nelle contraddizioni.

     

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    Jean Nouvel ha progettato sia il museo del Qatar, che ricorda la rosa del deserto, sia il Louvre di Abu Dhabi appoggiato sull'acqua, sia il Burj Doha, 238 metri mutuati dalla Torre Glòries di Barcelona e dal Gherkin di Norman Foster, a Londra: la West Bay declinata in ogni parte del mondo. L'ultima corsa è all'isola artificiale, ogni stato del Golfo ne ha una, ma i sauditi si sono spinti oltre e preparano Neom, città del futuro, 26.500 km quadri destinati al turismo da ricchi: polo d'attrazione affacciato sul mar Rosso. 

     

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    Sarà forse l'ultima frontiera, ma prima c'è il Mondiale del Qatar, sotto alla gahfiya, il copricapo arabo a cui si ispira lo stadio Al Thumana. Loro riempiono gli occhi, la gente riempie le strade, gli ospiti sparpagliano benessere, chi arriva si ritrova a pagare 600 euro a notte una stanza riesumata dagli anni Novanta, una di quelle dimenticate che ora tornano buone. Perché c'è ressa e non si può usare solo il servizio buono. I Mondiali non hanno classe sociale e il pallone in questo mese dovrà uscire dalla lavatrice e sporcarsi. Poi si vedrà chi ne esce diverso, lui che rotola ovunque o chi l'ha voluto qui.

     

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