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    IL CARCERE FA BENE, A PICCOLE DOSI - DOPO IL SUCCESSO CON “REALITY”, L’ERGASTOLANO ANIELLO ARENA RACCONTA LA SUA STORIA IN UN LIBRO: “ERO UN PEZZO DI CARNE ANALFABETA CHE CAMMINAVA”


     
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    Giovanni Valentino per "il Venerdì di Repubblica"

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    Per capire i motivi che hanno spinto solo di recente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a proclamare l'emergenza carceri, ventilando l'amnistia perché in Italia le condizioni dei detenuti sono «dolorose, umilianti e disumane», basta leggere ‘'L'aria è ottima (quando riesce a passare)''.

    Io, attore, fine-penamai. Il libro che Rizzoli manda in libreria dal 13 novembre è l'autobiografia di Aniello Arena realizzata con Maria Cristina Olati, nel quale la maschera atletica della Compagnia della Fortezza di Volterra (esperimento teatrale creato nell'88 nell'omonimo carcere toscano dal regista Armando Punzo) e del lungometraggio Reality di Matteo Garrone (Arena ha vinto il Nastro d'argento come miglior attore dell'anno) racconta la sua vita tra gli agenti di custodia.

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    Evocando i trasferimenti di Gianni Valentino snervanti da Poggioreale a Viterbo, da Campobasso a Bologna a Roma. Lui è stato condannato all'ergastolo per un pluri-omicidio avvenuto nel gennaio 1991 nel quartiere napoletano di Barra. Si è sempre proclamato innocente: «L'accusa ha prodotto soltanto un testimone contro. Uno spacciatore. Ma io quel giorno ero a Genova», rivendica anche nel libro.

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    Quarantacinque anni, padre di Maddalena e Antonio, ormai separato da Maria, Arena è spietato nel ricordare i fatti: «Tanti anni fa ero un pezzo di carne analfabeta che camminava. A Volterra ero arrivato quando pesavo un quintale e avevo già pensato al suicidio». Dopo l'ultima sentenza fu sincero: disse all'ispettore di voler stare per conto suo. «Ve lo chiedo per gentilezza: sto combattendo con la mia anima, non posso combattere con qualcun altro in stanza. Se mi fate stare con un altro io lo prendo, lo faccio a pezzettini e lo metto in una busta. Non sono pazzo, mi fa male l'anima. Voglio stare da solo».

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    Solo, non in isolamento. Come accadde per punizione a Napoli, anni addietro. Per difendersi dagli abusi delle guardie, si mise lamette da rasoio in bocca e nei calzini. Lo calmò un ispettore, parlandogli non da «guardia a detenuto» ma «da uomo a uomo». «Per sentirsi una persona nuova» dice Arena, «è necessario un percorso riabilitativo, permessi premio, lavori esterni, altrimenti dalla voragine della cella non si riesce a uscire più. Il 7 luglio 2007, giorno del mio primo permesso, è una data più importante del giorno in cui sono nato».

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