Hans Dieter Flick
Del minitorneo per la Coppa dei Campioni alla tedesca, vinto dal Bayern di Flick sul Psg di Tuchel, resterà l'esperienza - promossa- di una Final Eight nata dall'emergenza: il presidente Uefa Ceferin ne discuterà con l'Eca, l'associazione dei club, sul se e quando fare diventare prassi i turni a eliminazione diretta in partita unica.
Ciò che invece sembra destinata a restare, e a durare per un po', è l'egemonia della scuola transgenerazionale degli allenatori tedeschi: in finale Flick (55 anni) e Tuchel (46), in semifinale anche Nagelsmann (33) col suo Lipsia. Lo scorso anno vinse Klopp (53) col suo Liverpool. Le 8 Coppe dei Campioni tedesche (6 del Bayern, 1 del Dortmund, 1 dell'Amburgo) le hanno vinte i tedeschi (Lattek, prussiano di Polonia, Cramer, Hitzfeld, Heynckes e appunto Flick): l'eccezione è l'austriaco Happel con l'Amburgo.
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Col Psg Tuchel non è riuscito nel processo inverso, come aveva fatto Klopp a Liverpool: in teoria non rischia la panchina (quante voci nei mesi scorsi su Allegri e Conte) e ieri non ha chiuso sull'ipotesi Messi a Parigi («a chi non piacerebbe allenarlo?»), però ci sono posizioni più solide della sua.
Solidissima è quella di Flick, la cui parabola di nuovo profeta della tattica iperoffensivistica, da eterno secondo che era (sempre vice o dirigente), assurge a paradigma dell'attuale superiorità della scuola tedesca e del suo sincretismo tattico: gli insegnamenti dei più importanti allenatori del mondo vengono continuamente rielaborati, anche col supporto delle metodologie e delle tecnologie più avanzate, da un sistema nazionale per formazione ma cosmopolita per mentalità.
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Quello che fa a capo al centro tecnico di Colonia, dove si laureano gli allenatori, non è un metodo chiuso. Dell'ibrido tattico è cultore Klopp: debitore del pensiero di Ralf Rangnick, Der Professor sedotto e ripudiato dal Milan, e teorico del gegenpressing (con finalità difensive), lo ha perfezionato con i principi del pressing d'attacco di Guardiola, che ha poi spesso battuto nelle sfide dirette.
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Flick e Tuchel devono a loro volta parecchio a Rangnick, ma hanno poi superato Der Professor, grande scopritore di talenti della panchina. Storicamente tutto parte da una grande sconfitta: col Portogallo all'Europeo 2000.
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Da lì nacquero i famosi Centri di alto rendimento, le Accademie obbligatorie per ogni club, e la revisione tattica di un modello obsoleto. Una volta il regista difensivo era Beckenbauer, centrocampista arretrato in difesa a fare il libero. Ora è Neuer, portiere avanzato a impostare per primo l'azione.
Dal Portogallo della sconfitta di allora al Portogallo del trionfo di domenica è cambiato tutto, anche se Elber, brasiliano ma ambasciatore mondiale del Bayern, sintetizza il segreto del calcio tedesco attraverso il sistema dirigenziale del club bavarese, che nel 2021 ratificherà l'avvicendamento tra grandi ex alla presidenza, con Kahn al posto di Rummenigge: «Valorizzare il senso di appartenenza. Il calcio, in Germania, non dimentica le proprie radici. E dopo le sconfitte rivince in tempi mai troppo lunghi».
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