Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”
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Lo sapevano Camila, papà Sergio, mamma Claudia, i due fratelli, Leandro e Amadeus. E basta. «Noi, contro tutti». Solo i Giorgi avevano l'intima convinzione che un giorno questa bella ragazza di Macerata con il fisico da quattrocentista e il tennis del futuro, figlia di un ex militare italo-argentino che ha combattuto la guerra delle Malvine, sarebbe riuscita a vincere un grande torneo.
Ora che è successo, oggi che Camila Giorgi è la campionessa del Master 1000 di Montreal (seconda italiana dopo Flavia Pennetta a Indian Wells 2014, terzo titolo in carriera), guardarsi indietro è una dolcissima rivincita.
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Camila, grazie a chi?
«A papà, che ci ha sempre creduto dall'inizio. L'unico che nei momenti bui non si è arreso, mi ha spinta, mi ha regalato energia. Il giorno dopo una brutta sconfitta, lui c'era. Nessun altro poteva darmi la convinzione nei miei mezzi. Abbiamo un'intesa unica, una comunicazione continua. Da Montreal ci siamo sentiti dieci volte al giorno».
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L'ultima subito prima della finale contro Pliskova.
«L'ho chiamato io: papà sono pronta, sono forte, posso farcela, gli ho detto. Con lui faccio la dura. Con mamma, invece, mi sciolgo. Abbiamo pianto al telefono insieme. È solo una partita di tennis, Camila, mi ha detto, vai e divertiti che per me sei bravissima comunque».
Papà Sergio dice che il salto di qualità non è questione di colpi ma di testa.
«Ha ragione, come sempre. È un grandissimo conoscitore dello sport, ha dedicato la sua vita a me. Tante volte mi sono scappate via partite che potevo vincere. E lui a dirmi: Camila, tranquilla, ce la fai. Ma la convinzione dovevo trovarla dentro di me».
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Quando è successo?
«È dall'inizio della stagione che sto giocando bene. Nell'autunno 2020 abbiamo fatto la miglior preparazione di sempre: a Melbourne sono arrivata in gran forma però ho subito avuto un problema all'adduttore. Per trovare il mio tennis avevo bisogno di continuità».
Il Covid a marzo non ha aiutato.
«L'ho preso a Miami. Nessun sintomo in particolare, mai perso olfatto né gusto. Però ero stanchissima. In Florida ho dormito una settimana di fila e, tornata a casa, ho dovuto praticamente ricominciare tutto da capo. Non è stato facile. Sono arrivata a Roma con pochissima preparazione, sono rimasta in campo quattro ore con la Sorribes Tormo in un match che avrei meritato di vincere. A Eastbourne, sull'erba, finalmente le cose hanno cominciato a girare meglio e ho battuto tre top player (Pliskova, Rogers e Sabalenka). Non mi succedeva da un po'. Poi mi ha fermata un altro risentimento muscolare alla coscia».
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Ai Giochi di Tokyo è stata la migliore dell'Italia: sconfitta nei quarti a un passo dalla sfida per il bronzo.
«Lì ho ritrovato la fiducia e la continuità. A Montreal non è stato facile battere quattro teste di serie, perdendo solo un set in semifinale. È stata una prova importantissima anche perché in Canada ero da sola, senza papà. Ed è stato bellissimo ritrovare il pubblico, che mi ha sempre sostenuta».
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Come può un padre che non ha mai giocato a tennis allenare la figlia, è stata la critica ricorrente di questi anni.
«Papà sa tanto, è molto saggio. Io le critiche non le tollero, non le capisco: mi ha portata da zero a vincere un Master 1000, a mio padre dovrebbero fare un monumento. C'è tanta invidia in giro, la gente parla senza conoscerci e senza sapere. Ma io so quanto vale mio padre e questo mi basta».
La linea di vestiti disegnata da mamma Claudia sta andando a ruba online, Camila.
«Sono felice. Giomila è un'idea di mamma, partita come un hobby nel tempo libero che le lascia il mestiere di professoressa di arte contemporanea. Mamma è un'artista unica, mi conosce, abbiamo gli stessi gusti. La mia linea preferita è quella dei babydoll, tipo quello con i fiorellini con cui ho giocato a Montreal. Mi piace truccarmi un po', essere femminile anche in campo, non tutte le giocatrici ci tengono. In ufficio andrei curata e, visto che il campo da tennis è il mio ufficio, mi piace non dimenticarmi mai di essere una donna».
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Una donna con un amore?
«Ora non c'è, non sono fidanzata. Ma l'amore per me è importante, ho avuto storie lunghe, quando ho pensato che ne valesse la pena ho saputo conciliare sport e vita privata. Compirò 30 anni il 30 dicembre: il tennis non è tutto, non lo è mai stato».
Ha già un'idea di futuro?
«Adoro la moda ma mi piace anche molto scrivere: un romanzo per bambini è tra i miei sogni. A proposito di bambini: non mi dispiacerebbe aprire una scuola per insegnare ai piccoli le basi del tennis, che sarà sempre una parte importante della mia vita».
Il successo a Montreal spalanca una nuova carriera, Camila, un tempo supplementare imprevisto.
«L'asticella sale. Il sogno dei sogni è un titolo Slam, come Francesca Schiavone e Flavia Pennetta. Bisogna sempre migliorarsi, darsi nuovi obiettivi. Intanto oggi a Cincinnati torno già in campo: prima ancora di pensare all'Open Usa devo farmi trovare pronta per il match con Jessica Pegula».
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