Francesco Grignetti Ilario Lombardo per “la Stampa”
gina haspel direttore della cia 4
A Palazzo Chigi e a piazza Dante, nella sede dei Servizi segreti, la preoccupazione è la stessa: le fughe di notizie che stanno diventando incontrollate. L' ultimo esempio ieri.
Era a Roma Gina Haspel, direttore della Cia, per una riunione - nell' ambito di un tour europeo - con i vertici dei nostri servizi segreti, programmata oltre due mesi fa. Svariati i temi al centro dei colloqui, non il Russiagate, viene garantito. E così attorno alla notizia si è cominciato a tessere una tela di ipotesi. Segno che non è finita la cottura a fuoco lento del premier Giuseppe Conte e del suo uomo più fidato alla guida dell' intelligence, Gennaro Vecchione, direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza.
carmine masiello
C' è un clima di vigilia, al quartier generale, come se qualche testa eccellente dovesse cadere presto. Non quella del direttore Vecchione, comunque, difeso da Conte che continua a sostenere: «Non si tocca». Almeno non ora. Né quella dei direttori di Aisi e Aise, Mario Parente e Luciano Carta. Piuttosto pencolano i numeri due e tre.
Soprattutto fonti di maggioranza continuano a insistere sul nome di Carmine Masiello, vice di Vecchione al Dis e indicato come uomo di riferimento dell' area di Matteo Renzi, il più deciso a chiedere a Conte di lasciare la delega ai servizi. Ex consigliere militare a Palazzo Chigi sia di quest' ultimo, quando era premier, sia di Paolo Gentiloni, già a luglio si parlò di un suo siluramento mascherato da promozione allo Stato Maggiore dell' Esercito. Conte è deciso a procedere nel riordino dell' organigramma dei servizi e considera il lavoro di Vecchione indispensabile, soprattutto per la razionalizzazione dei fondi che sta portando avanti. Ma ogni decisione, il capo del governo intende comunque rinviarla a dopo l' audizione al Copasir.
CONTE E MATTARELLA
Con l' arrivo del leghista Raffaele Volpi alla guida del Comitato che controlla l' operato dell' intelligence, tutto lascia presagire che per Conte non sarà una passeggiata. L' antipasto è già nel calcolato gioco del rinvio, per tenere il premier ancor più sulla graticola. Il tutto condito con la stilettata di Volpe: «Non è lui a decidere i nostri tempi».
A piazza Dante, nel palazzone liberty dove le tre agenzie di intelligence hanno preso casa, una accanto all' altra, si respira ormai un' aria mefitica, di sospetti contrapposti, di veleni. I cui effetti di vedono sulle informazioni che circolano.
E che a Palazzo Chigi esaminano al microscopio, leggendo tra le righe, cercando connessioni, in un caleidoscopio di spie, politici e giornalisti. Questo groviglio che rischia di intossicare i rapporti istituzionali non può che preoccupare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ieri si è visto a pranzo con Conte, senza sfiorare l' argomento servizi. Ma in questi giorni i due si sono sentiti molte volte anche al telefono. Non sfugge la curiosa coincidenza che la coda italiana del Russiagate avvenga alla vigilia del viaggio a Washington, dove il 16 Mattarella avrà un colloquio alla Casa Bianca con Donald Trump.
giuseppe conte gennaro vecchione 1
E nel giro diplomatico c' è chi non nasconde il possibile imbarazzo che si creerebbe se il presidente Usa affrontasse, anche con lui, la questione del presunto coinvolgimento italiano nel complotto al centro della contro-inchiesta degli uomini di Trump sul Russiagate È ormai pacifico che gli incontri tra il ministro americano Barr e Vecchione sono stati almeno due. Uno pare avvenuto a cena, dalle parti di via Veneto, attorno a Ferragosto. L' altro, il 27 settembre, in piazza Dante, presenti sia Parente che Carta. Nel merito, sembra che i nostri abbiano garantito agli americani che nulla sapevano del professor Joseph Mifsud, individuato come possibile agente provocatore contro Trump.
MATTARELLA TRUMP
Gli incontri, regolarmente autorizzati da Palazzo Chigi, sono definiti «irrituali» praticamente da tutti i protagonisti. Ma la spiegazione è che «irrituale» è stata la richiesta di Washington, perché sommamente «irrituale» è tutta la gestione Trump. Viene spiegato: «Se non si fida dei suoi agenti e dei suoi diplomatici, e individua in un ministro il plenipotenziario per rapporti così delicati, che colpa ne abbiamo noi?».
Già, perché è palese che le due missioni romane di Barr sono state svolte tenendo all' oscuro sia l' ambasciata, sia l' ufficio italiano della Cia. Quel che sarebbe stato un normalissimo incontro tra servizi alleati, è diventato invece un pasticciaccio. In linea con l' approccio cospirazionista di Trump. Assecondandolo, per interesse politico o per desiderio di non scontentare il potente amico americano, Conte ha però innescato una faida tra 007 italiani di cui non si sentiva il bisogno.
donald trump william barr