Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
GIANCARLO DOTTO
“Amo Totti e gridarlo vorrei!” (Trastevere Time, by John Charles Learned). Il titolo di uno dei tanti prestigiosi quotidiani planetari che celebrano oggi l’impresa del Capitano. Mi aggiungo, travestito da monaca di Monza, al coro, mentre da più parti mi assediano le grida dell’esercito tottiano: “Pentiti fedifrago, inginocchiati blasfemo!”.
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Buttiamola, allora, sul teologico spinto. Mica per la speranza di essere capiti, ma solo per confondere le acque e, nella confusione, sparire quatto quatto. Se Totti è una divinità del calcio, e lo è, io amo Totti. Ma quelli che amano Dio sono anche quelli che lo interrogano nel profondo, lo mettono in dubbio, lo esortano a essere un Dio mai vacante. Sfidando il sacrilegio. Chissà che non siano proprio questi bestemmiatori ad amarlo veramente.
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Ovvio, nemmeno un subnormale da museo lombrosiano discuterebbe il Totti calciatore. Anche oggi, domani e dopodomani, nel quarto d’ora di tempo, in un fazzoletto di campo, il mago può pescare un’infinità di conigli dal suo cilindro, due anche ieri.
Discuto, eccome, il Totti che si presta a fare da leader totemico di una religione che spacca in due una tifoseria e crea lancinanti problemi agli allenatori dell’ultimo quinquennio (almeno da Ranieri a Spalletti, passando per Luis Enrique e Rudi Garcia) e dirigenti, che non aiuta i giocatori, soprattutto i giovani, a crescere nella sana prospettiva che può esistere una Roma anche senza Totti.
Uno stadio che fischia il suo allenatore alla lettura della formazione (un allenatore da dieci vittorie su tredici partite!), che se ne sta torpido per tutto il tempo mentre la squadra boccheggia, fatta a pezzi da quattro non vedenti, inizia ad esistere solo quando entra in campo il Capitano, non è grande bellezza, ma malessere profondo e anche un po’ volgare. Si può dire? L’ho detto.
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Totti diventa imperdonabile per me, ma per tanti altri a Trigoria, anche se non lo possono dire se non nelle camere di carità al riparo da orecchie nemiche, quando non solo non fa nulla per attenuare questo malessere, ma lo esaspera con i suoi silenzi (tanti) e le sue parole (poche), fiducioso che sarà il suo visibile e udibile cervello a parlare per lui. No, non è bello questo.
Questo Totti non ha nulla a che fare con il grandioso omonimo che gioca a calcio. Questo Totti, ribadisco, è il male della Roma.
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