Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
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“Niente Coca Zero, solo acqua, birra e vino”. Lele ci resta male. La delusione fatta uomo. Linus, quando gli sfilano la coperta da sotto il naso. “Sono drogato di Coca Zero, ne bevo sei, sette lattine al giorno.” fa lui, l’occhione a mezz’asta in segno di lutto. Siamo in un ristorante al centro di Bologna. C’è un solo modo per rimediare. Lambrusco e cappelletti in brodo. L’equivalente del metadone. Per l’eventuale crisi d’astinenza c’è sempre il bar di fronte.
“Vedi la nebbiolina là fuori, questo clima uggioso? E’ il mio ideale”. Daniele Adani, per gli amici Lele, lo vedete ogni settimana su Sky che parla di calcio. In realtà non parla, trabocca. E’ incandescenza pura. Febbrile e lucido allo stesso tempo. Lo riconosci subito anche se non lo conosci, nel mucchio dei colleghi, che ancora devono decidere se ammirarlo o temerlo. Dallo sguardo morboso. Ha una luce addosso. E’ il più acceso di tutti. Una meravigliosa anomalia nella chiacchiera televisiva da pallone. Potrebbe essere uscito da una tela mistica del Prado, da una pagina o da una notte bianca di Fiodor Dostoevskij, uno di quei monaci dei romanzi gotici di Lewis. Il demone è lo stesso. La passione lo brucia. La parola lo divora. E lui si lascia divorare. Lui dice che è la passione per il calcio, io dico che, non fosse il calcio, sarebbe un’altra cosa. Lele brucia di suo. La scorta di Coca in frigo è per spegnere le fiamme.
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Con lui è facile, accendi il registratore e il gioco è fatto. Va avanti per ore. Sei ore in questo caso, una per ogni lattina di Coca Zero mancata. Si agita, si dimena, muove le braccia come un tarantolato, si tormenta la barba, quasi si strangola con il foulard. Si torce i tre anelli. Quelli del mignolo. “Sa di uomini d’onore”, ammicca. Quello all’anulare. “L’ha fatto uguale mio fratello Matias Almeyda, quando eravamo all’Inter. Per me è un oggetto sacro.” Sulla cover del cellulare ha inciso “Vola come una farfalla, pungi come un ape”, citazione dal suo mito assoluto Muhammad Alì. Si commuove quando ne parla.
Parla e ascolta con la stessa intensità. Non si dà e non ti dà tregua. Il gong non suona mai nella sua testa. Non conosce i tempi morti. Lele deborda nello spazio e nel tempo. Emorragia allo stato puro. Fosse per lui, parlerebbe un’ora e mezzo di una diagonale della Carrarese del suo amico Silvio Baldini o delle imprese di Adolfo Pedernera e di quel River lì. Un ossesso. Non ho dubbi, è posseduto. Non parla, è parlato. Da chi? Boh. Non c’è esorcista che tenga. Per fortuna, dico io. I fatui barboncini da salotto, quelli che non potendo affrontare l’imbarazzo di essere nulla si dedicano a sfregiare chi è troppo, lo sfottono. La verità è che Lele Adani strega le masse e t’inchioda ad ascoltarlo.
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“Cominciamo pure. So dove potermi perdere”, fa lui e non so immaginare un modo migliore per cominciare un’esplorazione truccata da intervista.
Succede solo con il calcio che ti parte l’embolo?
“Mi succede anche quando parlo delle donne, dei valori, della lealtà. Ma il calcio, confesso, mi esalta. Mi dà la pienezza dell’essere. Mi moltiplica. Mi esagera. Il calcio accentua i valori che uno ha in natura.”
“Annida ideale” è l’anagramma di Daniele Adani. Il tuo ideale di calcio è quello latinoamericano. Domenica sera hai sofferto come una bestia, costretto a commentare Milan-Juventus mentre stavano giocando Boca-River alla Bombonera.
“Ho sofferto, vero, ma questo non ha influito sulla mia prestazione. Quando c’è un evento da raccontare riesco a isolarmi. Non mi lascio fuorviare da nulla.”
Higuain si è fatto fuorviare, eccome. Ha perso la testa. Non è la prima volta. Salvini, milanista, l’ha definito “indegno”.
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“Essere campione non ti esonera dalla fragilità. La sua cattiveria agonistica è l’animo del pugile, ereditato da zio e nonno materni. Può diventare rabbia vincente o frustrazione autolesionista. Higuain è il miglior 9 a far giocare gli altri. Il migliore nel sentire e vedere la porta alle spalle come se l’avesse davanti. Nessuno come lui corre in un verso e vede l’azione proiettata nell’altro. Qui e là allo stesso tempo. Non deve stupire. Nel River nasce con la predisposizione a essere anche 10”
Più viscerale o più mentale il tuo sguardo sul calcio? Io dico, incredibilmente, entrambe le cose.
“Non riesco ad essere solo carnale nell’approccio al calcio. Che giochi la Juventus o la Lavagnese di mio fratello Simone, mi scatta la passione di approfondire. Il rischio, ammetto, è di diventare logorroico.”
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Eri già così da giocatore?
“Sedici anni o ventidue, non importa, non permettevo a nessuno di farmi fare una cosa in cui non credevo. Fosse un’interpretazione del ruolo o una situazione tattica. Fosse l’allenatore della primavera del Modena, Lucescu, Trapattoni, Mancini o Zaccheroni. Sono cresciuto a furia di scontrarmi con i miei allenatori. Ero ossessionato dal voler capire.”
Il maestro dalle cui labbra pendere.
“Mircea Lucescu. Prima di ogni altro, mi ha insegnato che il difensore deve essere protagonista. Agire e non solo reagire. Il difensore che agisce costringe l’attaccante a fare una cosa in più. Lo fai pensare, lo fai correre. Gli fai fare più fatica. Gli togli certezze.”
Esempio?
“Il famoso elastico di Franco Baresi nasce molto prima di Sacchi. Le cose che insegna Guardiola oggi, le insegnava Lucescu vent’anni fa. Difendersi nella metà campo dell’avversario, era un concetto chiaro per lui.”
Oggi, un concetto abbastanza diffuso.
“Per questo, l’attaccante atipico di oggi è quello che fa gol, l’Icardi della situazione.”
Icardi attaccante atipico? Il senso comune dice il contrario.
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“Quello che era tipico una volta oggi è atipico. Icardi è l’attaccante anomalo, per questo fa montagne di gol e tutti lo elogiano anche se poi gioca da solo e non becca palla. Oggi l’attaccante tipico è quello che gioca con la squadra.”
L’anacronismo di Icardi sarebbe la sua virtù?
“Sai perché viene valutato sempre bene? Non gli si chiede altro che fare gol. Perché solo quello sa fare. Le cose in più le chiedi a Higuain, Lewandowski, Luis Suarez. Se fanno un gol e non toccano palla gli dai la sufficienza ma non li esalti. Loro ti offrono troppo calcio. Sono loro per me quelli giusti.”
L’allenatore contemporaneo più sopravvalutato.
“Con tutto il rispetto per ciò che ha rappresentato in Turchia, dico Fatih Terim. L’ho avuto come allenatore alla Fiorentina. Era improvvisazione pura. Troppo poche conoscenze per essere credibile. La settimana di lavoro era fatta di torelli infiniti e snervanti, poco altro. Chiamiamola differente cultura.”
Tornando a Lucescu?
“Non lasci un segno solo per i titoli che hai vinto. Ma quando fai una rottura, apri un movimento nuovo, un pensiero che scuote, un linguaggio diverso. Lucescu era avanti a tutti. Lui vede la proiezione del singolo e del gioco meglio di chiunque altro.”
Più e meglio di Bielsa?
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“Un altro maestro straordinario della rivoluzione che esalta il calciatore protagonista in ogni zona del campo. A differenza di molti miei colleghi, io non ho paura di citare i miei riferimenti.”
Che sono?
“Lucescu ha segnato la mia svolta come giocatore, ma se devo pensare in termini di pensiero applicato al calcio, dico Menotti, Bielsa, Valdano, Guardiola e Diego Latorre, il più grande analista dell’America Latina. Sono loro cui devo la mia formazione culturale, calcistica e valoriale.”
Non hai citato tra i maestri il Trap che hai avuto alla Fiorentina e ti ha chiamato per quattro anni in Nazionale.
“Mi chiamò anche al Benfica quando andai via dall’Inter. Per amore di giustizia e di verità, devo anche dire che non mi portò ai Mondiali 2002, che sentivo di meritare. Era dura per me all’epoca. Nel mio ruolo giocavano Cannavaro, Nesta, Materazzi. C’era ancora Paolo Maldini.”
Mettere insieme il Trap e Bielsa o Lucescu è dura.
“Il Trap allenatore aveva necessità di persone che ne condividessero i valori. La forma la potevi discutere e talvolta era frutto della timidezza. Ci incrociava negli spogliatoi e aveva quasi paura di dirti che al tuo posto giocava un altro. Mi faceva tenerezza, ma lo rispettavo.”
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Tutta qui la virtù del Trap allenatore plurititolato?
“Cercava più empatie con i singoli calciatori che non con il collettivo. Alla Viola parlava molto con Rui Costa. Che aveva in campo l’intelligenza e l’altruismo di pensare per tutti. Faceva fatica a fare un’analisi video, il Trap, ma era efficace quando andava toccare il cuore. Un po’ di Trapattoni c’è in alcuni allenatori di oggi.”
Dimmene uno.
“Max Allegri. Un fuoriclasse nel sapere dove e quando mettere i giocatori. Non come. Come non è la sua passione. Almeno non lo è adesso.”
L’abbiamo visto spesso in tivù andare in tilt con voi analisti del calcio.
“A me piace il confronto, a lui forse no. Non gli interessa approfondire.”
Reitera stizzosamente che il calcio è una cosa semplice e siete voi a complicarlo.
“Il primo a dirlo non è stato lui, ma Johan Cruijff. L’uomo più importante della storia del calcio. Che giocare semplice è la cosa più difficile. Il problema non è quando semplifichi, ma quando banalizzi. Chiudere un confronto con una battuta. Nella battuta forse Allegri si trova meglio.”
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In questo c’è anche la negazione dell’interlocutore.
“Quando sei sotto pressione esce quello che sei. Ti gioca brutti scherzi. Detto questo, io rispetto lo stress di uno condannato sempre a vincere. Io e te non la conosciamo, troppo facile mollare sentenze.”
Lo si diceva difensivista, Trapattoni.
“Falso. Nel mio esordio in Champions, 11 agosto ’99, il giorno dell’eclissi totale di sole in cui riuscii nell’impresa di segnare e fare autogol nella stessa partita, giocavamo con Rui Costa, Chiesa, Mijatovic e Batistuta davanti, Di Livio quinto uomo.”
La Nazionale, Inter, Fiorentina, Brescia, tante altre. Il calciatore più forte con cui hai giocato?
“Dalmat nell’Inter era uno dei più forti, ma ha fatto poco o nulla in relazione alle sue capacità. Morfeo era un talento clamoroso. L’unico che lanciava calcolando l’intensità e la direzione del vento.”
Il più grande italiano in assoluto?
“Meazza per quello che mi raccontava mio padre. I filmati mi dicono di Rivera. La capacità di strabiliare, Baggio. Ma chi ha unito i due mondi nel mio ruolo è Paolo Maldini.”
Calciatori pensanti.
“Daniele De Rossi su tutti. Per distacco. C’è lui e poi ci sono i calciatori. Non riesce ad essere banale nemmeno se s’impegna. Se ne frega delle conseguenze. La sua capacità d’amare non conosce compromessi. Non è ruffiano e non fa niente per cercarsi una vita facile. E’ il giusto che lo attrae. Un vero uomo d’onore.”
Diventerà un grandissimo allenatore.
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“Questo non so dirtelo. La fortuna di un allenatore dipende da troppe variabili. Dipenderà molto dalla sua capacità d’incanalare il sentimento nelle scelte giuste. Lui lo saprà fare. E’ troppo intelligente. Daniele sulla panchina della Roma sarebbe il coronamento di una storia bellissima. Vedrei meravigliosamente anche un Bielsa sulla panchina giallorossa.”
L’allenatore del prossimo futuro.
“De Zerbi. Ha tutto. Strategia e condivisione. Poche settimane fa eravamo insieme qua in giro per Bologna a camminare e a parlare di tutto, di calcio ma anche di vita, di dolore, di equilibri difficili da raggiungere.”
La virtù di De Zerbi?
“Non è un talebano, come si crede. E’ un uomo vero. Si confronta con lealtà con i giocatori. Il Guardiola che si alza di notte e, in preda a una visione, chiama Messi: “Dobbiamo inventarci il falso centravanti.”, insegna. Può essere Messi o Berardi, il concetto non cambia.”
L’allenatore esemplare secondo Adani.
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“Un capofamiglia che sa farsi amare. Ascolta i ragazzi che hanno giocato con Mourinho. Ne parlano tutti benissimo. E sai perché? Mourinho è uno di quegli allenatori che ti porta a guardarti dentro, uno che riconosce e rispetta la tua storia.”
Nell’Inter stavi in camera con Bobo Vieri.
“Il più grande professionista che ho mai conosciuto. Una cosa che nessuno immagina. E’ molto facile essere Zanetti, difficile è essere Vieri. Uno che a Pisa, Ravenna e Venezia non sapeva stoppare la palla ed è diventato un bomber straordinario.”
Smettendo con il calcio, ha dimostrato di saperci fare in tante altre cose.
“A Christian riesce tutto. Il calciatore, il comunicatore, l’organizzatore. Adesso, in tre mesi, è diventato un grande Dj che fa le serate in giro per l’Italia. Un personaggio. Con un cuore incredibile”.
Cosa ti eccita del calcio italiano di oggi?
“Mi eccita chi fa proposte di gioco. De Zerbi, Pioli con la sua Fiorentina, il Napoli di Ancelotti, il Milan di Gattuso quando è al completo. Mi piace Gattuso. Un allenatore che ti dà tanto calcio e che cerca il gioco. Mi eccita Andreazzoli. Esonerarlo è stato un passo indietro per il calcio.”
Ancelotti al Napoli?
“Bravo a riconoscere il buono che c’era e bravissimo a lasciare ai suoi quel po’ di libertà che non avevano da anni. Insigne su tutti.”
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Spalletti all’Inter?
“Mi piace. Uno che studia e sa di calcio più di quanto faccia capire. Bravo anche a comunicare. Quando vince se li mangia tutti. Il problema è quando perde. Escono fuori le sue insicurezze.”
La caduta di Giampiero Ventura è senza fine.
“A me non piace un allenatore che arriva in un club e come prima cosa dice: “Ho trovato una squadra fisicamente a pezzi.” E poi lascia la barca che affonda. E’ nella sconfitta che si vede l’uomo.”
Di Francesco alla Roma?
“Alla Roma manca l’illusione. I suoi tifosi hanno bisogno di illudersi per decollare. Non possono vivere nel limbo. La Roma di oggi è troppe domande sospese. Devo capire chi è Cristante, chi è Schick, se Pastore tornerà lui. La Lazio ha più certezze. Lotito sai chi è, Tare è bravo anche se poco celebrato, Simone Inzaghi è più pragmatico che creativo, ma sa quello che vuole.”
Tu, Daniele Adani detto Lele, sai quello che vuoi?
“Sono uno che non vive per raccattare consensi, per un “mi piace” o un “like” in più. Chi vive per queste cazzate alimenta la mediocrità. Noi siamo in mezzo tra i protagonisti e la gente. Abbiamo una responsabilità. Non essere superficiali, non fare i furbi. La superficialità è tradimento.”
cassano adani trevisani e cattaneo
Ti basta come gratificazione quando ti dicono che sei preparato?
“Per niente. Essere preparati è il minimo. Se non sei preparato non devi andare in onda. Non devi scrivere. Non cominci neanche a parlare. Poi devi essere empatico. Trasmettere quello che provi. Mostrarti nudo, come ho fatto spesso io in diretta.”
Racconta.
“Il gol di Vecino contro il Tottenham a San Siro. Il 36mo di Higuain in mezza rovesciata sotto una pioggia biblica a Napoli, uno più di Nordhal. Ho cominciato a urlare: “Non è possibile!”. Non mi fermavo più. Maracanà, mondiale 2014. Le migliaia di cileni che cantano a cappella l’inno nazionale contro la Spagna. Lì non c’entrano più le maglie o le bandiere, lì è la magia del calcio.”
Smanettando a destra e a manca, vedo tuoi celebri colleghi che, si capisce, non hanno nemmeno letto i giornali della mattina.
“Dovrebbe essere fondamentale cosa dici e non chi sei, il contenuto e non il nome. Passione, descrizione, analisi. Dobbiamo meritarcelo il confronto con i Guardiola e i Sarri. Nel sistema non c’è lungimiranza. Non si vuole lasciare un segno, costruire un coinvolgimento. Non c’è quella smania utile di volersi rinnovare.”
VIERI ADANI
Sembri uno inesorabile con te stesso. I più si fanno bastare quello che basta.
“Dei soldi e dell’esito me ne frego. Tutto quello che sono lo devo a me e ai miei genitori. Mamma Vanna operaia che non c’è più e papà Sante che c’è ancora. Un artigiano del legno, un vero fenomeno, un lottatore, un comunista d’altri tempi, amante di Berlinguer.”
Smetti a 34 anni di fare il calciatore.
“Smetto per nausea. Non sopporto più la nausea di sentirmi fuori posto in campo. Cominciavo a pensare in maniera diversa, mi dovevo reinventare.”
Che calciatore eri?
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“Un fenomeno come commentatore e scarso come giocatore” si sente dire in giro. In realtà, sono stato un difensore centrale notevolissimo che meritava di fare un mondiale.”
Nel 2011, dopo aver già lavorato nella comunicazione, hai fatto il vice di Silvio Baldini al Vicenza. “Il mio posto è il campo”, dicevi.
“La fratellanza con Silvio mi portò a seguirlo. Lavorare sul campo è molto duro, mette a nudo le tue debolezze. Specie se, da allenatore, senti su di te le sorti di una città. Ti snerva. Ti sfinisce. Resta un’esperienza fondamentale della mia vita. Considero Baldini un messia. Il Marcelo Bielsa italiano.”
Si è rimesso in gioco in serie C con la Carrarese, pretendendo di non essere pagato per sentirsi libero.
“Si è presentato in conferenza stampa dicendo: “Il nostro sogno è la serie A”. Capisci il tipo? L’hanno preso tutti per matto e lui si è incazzato. Lui dice che è pronto a morire per i giocatori e non è un modo di dire.”
Il calcio di vertice lo ha messo ai margini.
“Silvio sa trasformare il margine in centro. Il suo centro. Non è uno studioso di Coverciano. Le sue letture tattiche partono dalla virtù dell’uomo. Coraggio, protagonismo, fratellanza. Lui non scinde il calciatore dall’uomo. Ti spinge incessantemente ad andare oltre.”
daniele adani e massimo marianella alla festa sky
Cos’hai imparato da lui?
“Fu il primo allenatore italiano a dire: “Basta parlare di terzini che difendono. Il terzino avversario voglio andare a prenderlo col mio terzino.”
Ti ha cercato per questa esperienza della Carrarese?
“Sa benissimo che il nostro rapporto va oltre al lavorare insieme. Cosa che peraltro non escludo, quella di tornare a fare l’allenatore. Oggi sto bene così, mi piace quello che faccio. Mi gratifica in particolare sapere che mai nessuno si permette e si permetterà mai di dirmi cosa devo dire.”
Quella volta che hai detto no al Mancio come vice all’Inter.
“Scelsi di continuare a fare ciò che amavo, comunicare, raccontare il mio calcio.”
Tu e il Mancio, a occhio, non sembrate così affini.
de rossi maglietta forza sean
“Del Mancio è facile farsi un’idea sbagliata. Lui non è bravo a mostrarsi in certi picchi che invece a me conquistano. C’è questo suo piccolo snobismo del non darsi, ma lui è molto profondo. Un uomo di fede, con una grande interiorità. E’ stato lui a portarmi nelle comunità dove la gente soffre. Se lo conosci bene, il Mancio, non ci fai più nemmeno caso ai suoi vezzi estetici.”
Quella volta a Brescia che, in contrasto con l’ambiente, mollasti tutto con una lettera pubblica. Imitato dal giovane Guana. Si fecero mille illazioni.
“La verità è molto più semplice. Una storia di amore tradito. A Brescia ero cresciuto come giocatore e come uomo. Sentivo di doverci tornare. Ma non trovai più corrispondenza, a partire da un direttore sportivo, tale Nani, che non ha l’umanità e la conoscenza per fare questo lavoro. Si creò un’amicizia solenne con questo ragazzo bresciano, Roberto Guana. Quando decisi di fermarmi, lui per solidarietà si fermò con me.”
Si parlò anche di sette religiose, quella all’epoca di Michelle Hunziker con la quale avresti avuto una storia.
“Cazzate inventate dai giornalisti locali. Magari avessi avuto una storia con la Hunziker. Te lo direi. Io so solo che rinunciai per i miei principi a tre anni di contratto, dopo aver rifiutato il Benfica del Trap, lo Shakhtar di Lucescu e il Bologna di Mazzone. Ripartii da Ascoli per il terzo dello stipendio.”
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Il collega più stimolante con cui parlare di calcio?
“Lo zio Bergomi. Sento profondamente il legame silenzioso e costante che va oltre la nostra differenza. Lui mi piace molto per il suo equilibrio, per la sua capacità analitica e lo stile colloquiale.”
Dove sta la diversità?
“Lui è più sobrio e più conservativo, ma anche più rassicurante. Rassicura anche me. E’ morbido, accompagna bene l’evento. Se devo ascoltare una partita a casa e c’è Beppe so che me la godo. Non so se sarei capace di ascoltare un altro me.”
Bergomi a parte?
“Mi piace molto Ambrosini. Lo sento il più affine. Sembra andare avanti con un filo di gas, ma ha grandi conoscenze.”
A volte ti prendono in giro per qualche tecnicismo in più. Ti disturba?
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“Non capiscono che è la passione che mi spinge ad approfondire fino a risultare eccessivo.”
In Italia ci si balocca maniacalmente con gli schemi e con i numeri.
“C’è molta approssimazione. Lo sport nazionale è distruggere. Salvo poi, quando cambia il vento, salire, senza nessun imbarazzo, sul carro che vince. Il sistema di gioco è solo un principio di partenza, non verso l’ignoto, ma verso l’incerto.”
Merita un approfondimento.
“Inizia la partita e dopo due secondi sei già nel caos. Tutto si scompagina. Il tuo sistema va a farsi benedire se non hai nella testa e nelle gambe le tre o quattro soluzioni che hai trovato prima grazie all’analisi.”
L’analisi delle variabili fa la differenza.
“Parliamo del Milan di Sacchi, ma il calcio totale, quello senza ruoli, arriva dall’Ajax di Crujff e ancora prima nasce con il River di Pedernera negli anni ‘40. Il primo finto nove della storia è stato lui. Il calcio totale nasce lì, con i cinque giocatori offensivi del River. Da allora non si possono più valutare i ruoli, ma i compiti.”
Ci sono state difficoltà nel tuo rinnovo con Sky?
“Ci sono stati alcuni problemi da risolvere, tanto più che avevo ricevuto una grande offerta da Dazn. Ma non c’entravano i soldi, come qualcuno ha insinuato. Tanto o poco è secondario. Quello che conta per me è il giusto. L’unico metro che mi rende felice.”
La felicità secondo Lele Adani.
“Il 24 novembre sarò al “Monumental” di Buenos Aires e avrò addosso la maglia del River Plate, la numero 25, quella che mi ha regalato Matias, un fratello per me. Li sarò un uomo libero, senza catene. Nell’unica condizione in cui vorrò essere.”
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Come dobbiamo immaginarti?
“Non nella versione del grido, ma in quella della preghiera. Vivrò quella partita nel dramma, il miglior dramma che si possa vivere. Quel giorno saranno tutti del River ma io so già che avrò molta comprensione per il Boca, se perderà.”
Quando, secondo Adani, si diventa fratelli non essendolo?
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“Almeyda è un guerriero che non ha paura di niente. Uno che porta dentro di sé la traccia dei suoi antenati. Un uomo vero che non si vergogna di raccontare i suoi quattro anni di depressione. Fino al giorno in cui la figlia più grande, Sofia, non trovò un disegno con la faccia del padre disegnata come un leone sdentato. La scintilla che lo spinse a reagire.”
Sarà con te al” Monumental”?
“Non potrà. Lui ora allena il San José negli Stati Uniti. Matias è un bravissimo allenatore che ha fatto bene in Argentina e in Messico. Ha tutto per allenare da noi. Esperienza italiana con apertura internazionale. Valori umani, capacità di rottura, perbenismo zero. In Italia abbiamo bisogno di gente come lui, Bielsa, Guardiola.”
Altri fratelli, oltre a Silvio Baldini e ad Almeyda?
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“Fabio Rossitto, una persona speciale che ha giocato con me a Firenze e mi ha aiutato a collocarmi dentro al percorso della fede.”
Sei un uomo di fede?
“Assoluta. Da peccatore so che la vita è una lotta eterna tra il bene e il male, ma so anche di essere totalmente volto al bene. Lo so perché sono un uomo che si emoziona, si commuove, piange spesso. A volte mi capita di peccare per poter poi testimoniare a me stesso che quello era il male.”
Parliamo di donne.
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“Mamma Vanna è stata la donna più importante della mia vita. Quello che sono lo devo a lei. E a Simona, la mia ex fidanzata, con cui non sto più da un anno e mezzo, dopo diciotto anni. Separarmi è stato il mio più grande atto d’amore nei suoi confronti.”
Saper riconoscere che una storia è finita.
“Era una situazione di comodo assoluto per me, ma non ero più all’altezza del suo amore. Continuare per l’abitudine non era decente, tra sofferenze e tradimenti. Le sue lacrime erano diventate insostenibili per me. Oggi tra noi è tornato il rispetto e l’affetto.”
Sai vivere da solista?
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“Faccio fatica a ripartire dopo una storia così importante. Sono aperto, ma non è facile. Non so amare senza passione, anche se per una notte. Di sicuro, la scelta che ho fatto mi renderà migliore con le donne. E sono diventato un virtuoso della lavatrice e della lavastoviglie.”
Hai una citazione di Muhammad Alì sul tuo cellulare.
“Muhammad Alì è un mio nervo scoperto. Se parliamo di lui non ne usciamo più. E’ la figura che mi commuove di più. Alì è stato tutto. Per raccontare la sua grandezza basta la storia di George Foreman che per dieci anni, dopo la sconfitta con Alì, si è ritirato a fare il predicatore.”
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