Giancarlo Dotto per Corriere dello Sport
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Fosse finita per decreto divino o qualche ecatombe celeste, avremmo esultato e gridato senza pudore al miracolo. Prima della gita a Lourdes. Per un tempo hai creduto all’impresa, dopo aver intensamente creduto alle streghe. Il rigore assurdo del 4 a 2, confermato da una Var più ottusa degli occhi dell’arbitro, era la fine di un sogno che si reggeva sugli spilli. L’aver preso dopo due minuti il gol del 2 a 2 inaugura l’ennesimo incubo all’Old Trafford.
Il disperante è questo: la Roma non perde, non cede, crolla di schianto, si arrende brutalmente. Muore come se non fosse mai esistita. Tutte le attenuanti del caso, tantissime, ma prendere cinque gol in quarantacinque minuti non ha attenuanti possibili, Prima o poi bisognerà capirla questa tendenza alla frana quando sarebbe sufficiente una brutta, onesta sconfitta. La Roma del primo tempo è una squadra contraddittoria, tra sfondoni, belle cose ed episodi avversi. Comunque, una squadra. La Roma del secondo è impresentabile a qualunque livello, è la Roma di Cagliari e del Benevento
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La sfida è subito sfiga. Hai voglia a non credere alle streghe. Tre cambi fisici dopo 37 minuti non si era mai visto nella storia del calcio, ma nemmeno del rugby, del football americano o di qualunque mischia umana che preveda contatti fisici non amichevoli, inclusi teatri di guerra.
Alla fine del primo tempo l’amabile Paulo Fonseca in panca ha perso due anni di vita dopo averne persi non so quanti in due anni di Roma. Non si era mai visto nemmeno che a un portiere gli uscisse una spalla cadendo a terra da una parata banale, come quante se ne vedono a migliaia. Streghe? Di più.
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Questo è un castigo divino. Ma cosa deve scontare di così enorme questa povera Roma? La faccia smarrita di Fonseca, del suo “non è vero, non ci posso credere”, non la dimenticheremo mai, quando anche Spina se ne va mestamente via, prima di portarsi il suo incubo in tribuna, senza nemmeno avere più la forza di guardare la partita che lo aveva appena escluso. Se aggiungi ai tre sinistrati, la sinistra facilità con cui il Manchester arriva in rete dopo nove minuti, l’antefatto di un bis dell’altro Old Trafford di 14 anni prima è tutto nelle cose.
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La domanda alla vigilia era questa: come reagiranno le teste di Pellegrini, Dzeko e compagni all’esagerata pressione su questa trasferta (l’ambiente Roma su questo non farà mai tesoro del passato): tigri fameliche o agnelli sacrificali? Non hai il tempo di cercare la risposta sul campo. Ma se credi alla psicosomatica, alle strette relazioni tra corpo e anima, non puoi non avere almeno il dubbio che tanta vulnerabilità fisica sia la conseguenza di un vulnus mentale.
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La Roma che tenta l’impresa all’Old Trafford e per un tempo quasi ci riesce è la Roma a specchio di una stagione, una squadra con enormi contraddizioni che la esaltano o la precipitano, a seconda di cosa prevale. Infortuni come grandine, due portieri che non ne fanno uno, talenti intermittenti, la tendenza a crollare se non al primo, al secondo incidente, accompagnato dallo sbracamento tattico che è la conseguenza di quello mentale.
DOTTO 2
Dall’altra parte, i talenti sparsi, il colpo di genio di Micki sul 2 a 1 è meraviglia che vale da sola, quel Pellegrini capitano totale, quello Dzeko che è stato capitano senza fascia come mai in vita sua, la personalità di Smalling (quanto è mancato!) e dei due sulla fascia fino a quando la sorte non ne ha cancellato uno. E infine, la qualità in panca. Il dover passare da Spinazzola a Peres la dice tutta. Pensare positivo? Davvero difficile stavolta, ma bisogna farlo. Non resta altro.
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