Giancarlo Dotto per il Corriere della Sport
gasp
Festa per tutti quelli che hanno occhi insaziabili. Dalla prossima stagione, se resisto vivo e Bielsa non fa El Loco e s’inventa, che so, di allenare un club in Patagonia, mi piazzo su Sky, canale Premier League, mi chiudo a chiave e non me ne perdo una del suo immondo Leeds, nel senso di extra mondo, chiaramente ispirato allo sbarco in Normandia.
Una squadra che se non invade il nemico muore di consunzione, Marcelo Bielsa invece del generale Omar Bradley. E chi s’è visto, s’è visto. Chi se ne frega di dove vanno a parare classifiche e titoli. Con El Loco tutti noi abbiamo già vinto, lui e il suo Leeds hanno vinto da un pezzo.
klopp guardiola
Premessa. Una mattina mi sveglio (o era una notte che non mi ero mai assopito?) e mi ritrovo con tutta la mia carcassa e la voglia di un caffe fumante a galleggiare su un comodo materasso ad aria nell’isolotto di Utopia. Allegro come una foca. Invece del quintale solito, non superavo i due etti, l’equivalente di un pacco di biscotti o di un cappello da alpino, piuma inclusa.
Quattro nomi stampati nella testa. Di Bielsa abbiamo detto, il giorno che riporta il suo Leeds nella Premier dopo una vita. Gasperini e Juric nel giorno dello scontro fratricida (parricida?) e poi Roby De Zerbi, il giorno dopo che ha sfrittellato la Juve in campo neutro con i suoi magnifici insetti molesti. Conclusione. Questo è, deliberatamente, sfacciatamente, ignobilmente un pezzo utopico, che è peggio di utopistico, e dunque illeggibile. A meno che qualcuno di voi non si diverta a credere che si può guardare il mondo solo da una prospettiva di lungimirante, totale sospetto. Che guardare equivale a deformare.
juric
Scopro dunque, dalla leggerezza dei miei due etti scarsi, che mi sono sfranto di abbattere sulla tastiera valanghe di pensierini più o meno sensati, scrivendo cose già mille volte abusate, magari in bello stile, specie da quei grafomani sentimentaloidi che crescono come funghi in America Latina, militanti del cuore eternamente esposto, e seguaci annessi, orrendi come tutti i seguaci. E vai dunque con tutto lo sbrodolare, di “quanto è volgare vincere”, e di quanto sia “preferibile la sconfitta” come nutrimento dell’anima, nella stufa accesa della memoria.
de zerbi
Niente di tutto questo. La sconfitta sarà pure un nutrimento ma sta sulle palle a tutti e devi inventarti una poetica della malinconia per fartela piacere. O, forse, è solo una parola sbagliata. Tutti, in realtà, vogliamo solo vincere, che sia l’euforia di un attimo, l’illusione di un’ora, il vento in poppa di una giornata. Tutti vogliamo pesare due etti e galleggiare incorporei nelle cavità del mondo. Cantare come usignoli, danzare come Heather Parisi, gustare, amare, toccare, sfinire, svenire.
Si tratta solo di riscrivere paradigmi del “che significa vincere”. Dove sta scritto che vincere sia accumulare titoli, medaglie, coppe, riconoscimenti? E anche fosse scritto?
bielsa
Per restare nel nostro piccolo cortile, possiamo dimostrare numeri alla mano che Gasperini, Juric e De Zerbi hanno già vinto così più di Allegri, Ancelotti e Lippi messi insieme. Hanno vinto loro e abbiamo vinto noi. Che Guardiola e Klopp prescindono da se e cosa vincono. Che Bielsa ha vinto poco, ora la Championship con il Leeds, ma aveva già vinto prima, ovunque era stato, anche quando non vinceva nulla, Lille, Marsiglia, Bilbao, Barcellona, nelle varie Nazionali, in tutti i club argentini. Una volta, seduti a fianco in aereo, in viaggio per l’Inghilterra Euro ’96, El Loco chiese tutto serio a Jorge Valdano: “Hai mai pensato di ucciderti dopo una sconfitta?”.
Detta da qualunque altro, una boutade da alta quota. Detta da lui, da non sottovalutare. Esempio estremo e luminoso, Bielsa, di come una magnifica patologia, quando trova un pretesto per non impazzire, sia la premessa migliora per una vittoria che se ne frega dei titoli.
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Arrigo Sacchi al Milan era patologia pura. Ha vinto molto meno di quanto avrebbe dovuto vincere, ma molto di più di quanto non dicano i suoi titoli. Non è un caso che sia stato quella simpatica canaglia di Jose Mourinho, uno che non sarebbe ospitato in nessun manicomio al mondo, uno scientifico imbroglione, a coniare il celebre “zeru tituli” per significare il fallimento dei rivali e nascondere il suo. Uomo intelligente come pochi, Josè sa bene che Guardiola e Klopp hanno vinto molto più di lui, nel tempo che conta, quello della memoria. Verità che brucia. Per confonderla, Mourinho, ha una sola arma, la fumisteria dei titoli e delle parole.
Ribaltare il mondo. I testi scritti e pigramente replicati, senza che siano sacri. Profittiamo di tutto, senza scrupoli, per rigenerare il nostro sguardo, per non subire più passivamente l’ordine costituito dei valori. Ci aiuta anche questo virus che ci destabilizza per quanto è perverso, che ci fa diventare definitivamente peggiori o migliori, più sudditi o meno sudditi, ottusamente attaccati alla vita o capaci della “giusta distanza”, e dunque liberi di lasciarla il giorno che lei ci lascerà.
mourinho
Il criterio guida del nuovo ordine? Lo “sbalordire”. Vale a dire tutto ciò che ci rende “balordi” in quanto sbalorditi. Se non a vita, almeno per il tempo che basta. Ho visto giocare il Leeds di Bielsa, lo scorso anno a Londra contro l’Arsenal, partita di coppa, l’ho visto perdere e mi ha reso balordo. Una partita, in cui la mia implicazione emotiva era pari a zero. Perché me la ricordo a distanza di un anno? Perché mi ricordo dell’Olanda di Cruijff e non della Germania di Vogts, campione del mondo?
Perché, mezzo secolo dopo, mi ricordo degli ajacidi di Rinus Michels e ci siamo dimenticati di quasi tutto il resto, ma non del Barcellona di Guardiola? Semplice. Loro hanno vinto e noi abbiamo vinto con loro. Loro non avevano bisogno di vincere. Noi, che non siamo loro, ma quelli che hanno il privilegio di riconoscerli, noi sì abbiamo bisogno. Senza chi ci rende “balordi”, siamo nessuno. Prossimi all’ameba.
mourinho 10
Proviamo allora a trasferire il tutto dal materasso ad aria dell’utopia al tavolo concreto della trattativa con il mondo reale. Contro quelli che berciano: i titoli restano, gli stupori svaniscono. I super intelligenti come Mourinho e tutto il codazzo dei poveracci a ruota. Diamo anche noi i numeri. Proviamo a stilare le classifiche di ciò che ci sbalordisce, dei vincenti e dei perdenti. Con tanto di cerimonia e fuochi d’artifici. Assegniamo un coefficiente alla percentuale di godimento, alla quota di stupore, alla permanenza dello stupore stesso, alla densità della pasta onirica, squadre e giocatori che ci vengono in sogno o nel deliquio della fase rem, fino ai dati più prosaici.
Quante volte, noi che non siamo mai stati tifosi dell’Atalanta, abbiamo rinunciato a un impegno per non perderci la folle gioia della squadra di Gasperini. Quante volte ci siamo fermati a vedere e godere dell’improbabile Sassuolo di De Zerbi o dell’ancora più improbabile Verona di Juric? Quante volte al bar o nelle chiacchiere social abbiamo citato questi nomi piuttosto di altri? Diamo un punteggio a tutto questo, tiriamo le somme e avremo il podio. Ridefiniremo così i valori. E le statue. Avremo soprattutto il nuovo paradigma di cosa voglia dire davvero vincere. Riscritto da tutti noi balordi.
MOURINHO GUARDIOLA